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REFERENDUM ABROGATIVO
SUL PREMIER

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(WSI) – Sei regioni strappate al centrodestra: Lazio, Piemonte, Liguria, Abruzzo, Calabria, Puglia. Un parziale di 11 regioni a 2, cui è quasi sicuramente destinato ad aggiungersi il punto ulteriore della Basilicata, dove si voterà fra due settimane. Davanti a tanto, Romano Prodi si sbilancia già nel tardo pomeriggio, quando lo scrutinio è ancora in alto mare: «Abbiamo largamente vinto in numero di voti e di regioni».

E mentre alle macchine elettorali dei partiti confluiscono i numeri reali delle elezioni, che minuto dopo minuto confermano il successo generale, i leader si concentrano con soddisfazione anche sui particolari: «Ci siamo ripresi Milano», dice un esponente dl davanti ai dati che nel capoluogo lombardo danno Riccardo Sarfatti a una incollatura da Roberto Formigoni («Ed è Sarfatti, mica Veronesi…», è la sua chiosa alle cifre). Ma anche dall’altra regione persa, il Veneto, arrivano segnali positivi: il candidato presidente Massimo Carraro dimezza il distacco subìto da Massimo Cacciari al giro precedente ed è davanti a Giancarlo Galan non solo a Venezia, che è cosa normale, ma anche a Belluno e Rovigo.

Tradotto, significa collegi uninominali che passano di segno, la fondata speranza nel 2006 anche il fortino lombardo-veneto fornisca al centrosinistra il suo buon contributo di deputati e senatori. «E non dimentichiamo che anche la Sicilia del 61 a zero è un lontano ricordo», aggiungono dal Nazareno, sottolineando che la maggioranza non ha appigli per ridimensionare la portata del voto di ieri. In serata l’ufficio elettorale del Botteghino calcola otto punti di vantaggio dell’Unione sulla Cdl a livello nazionale. Abbastanza per ribaltare quasi specularmente le proporzioni dell’attuale Parlamento.

Anche sui voti di lista la soddisfazione è diffusa. La divisione del lavoro tra lista unitaria e simboli di partito sembra aver funzionato al meglio, con soddisfazione di tutti. Nonostante la concorrenza di lista civiche e del presidente, Uniti nell’Ulivo ottiene un riscontro complessivo più che buono, trainato dagli exploit delle regioni rosse. Il listone sfiora il 50 per cento in Emilia, Umbria e Toscana, supera il 40 nelle Marche, il 30 in Liguria, si difende bene nel Lazio (attorno al 27) e in Veneto (quasi 25), diventa il primo partito in Lombardia (circa 26) sorpassando seppur di poco Forza Italia.

Per parte sua, la Margherita gongola per le performance nelle regioni dove si è presentata col proprio simbolo: con risultati intorno al 15 per cento risulta il primo partito in Campania e Calabria, va oltre il 10 in Puglia e anche in Piemonte dove alle ultime amministrative il risultato era stato sconfortante. Alla fine il traguardo della doppia cifra, considerato da Francesco Rutelli la soglia minima per proseguire la riconversione politica del partito, è ampiamente doppiato. Meno brillanti i Ds nelle cinque regioni senza listone, specie in Campania dove il 15 per cento raccolto dalla Quercia stride col trionfo al 60 per cento e rotti di Antonio Bassolino.

La preoccupazione unionista ora è riuscire a proiettare questi numeri verso il 2006: «Con questo voto – dice Prodi – gli italiani ci chiedono di prepararci a governare per fare crescere il paese». Dopo le regionali è probabile che tra i passaggi preparatori non rientrino più le primarie. Già dopo i primi exit poll si sono moltiplicati gli interventi per archiviare la pratica. Prima il coordinatore dl Dario Franceschini, quindi Massimo D’Alema, infine Franco Marini. Fausto Bertinotti aspetta di capire: «Noi non abbiamo chiesto le primarie, sono state proposte da Prodi, fatte in Puglia hanno dato un’ottima prova di sé. Aspettiamo e qualunque sia la decisione per noi andrà bene». Da ieri sera Prodi ha una buona base per motivare la rinuncia alle primarie, un non piccolo cambio di programma nella road map verso palazzo Chigi.

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