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RCS, FUTURO CON ROMITI O NO?

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Paolo Madron e’ il Direttore di Panorama Economy.

(WSI) – Aprile, tornano le rondini, e con esse immancabili le voci
dell’imminente ribaltone ai vertici del Corriere della Sera. Parole in
libertà – che peraltro già aleggiavano sulla gestione Romiti
all’indomani del suo insediamento nell’ormai lontano ’98 – o stavolta si
andrà oltre il mero sentore? Lo scopriremo di qui all’estate, quando le
grandi manovre per il rinnovo del patto di sindacato di Rcs MediaGroup
avranno compiuto il loro corso.

Nel frattempo, si ragiona sui pochi dati
certi: uno, appunto, è la scadenza del patto, e il possibile
allargamento ad altri che ambiscono parteciparvi. L’altro è che in Via
Rizzoli fervono i lavori sulla futura identità del gruppo, di qui la
remise en cause dell’alleanza con Burda nei periodici. Da ultimo,
l’irritazione di molti azionisti che mordono il freno di fronte a certe
scelte gestionali da cui si sentono scavalcati.

Sullo sfondo di tutto la
politica, ovvero il grande tema che da sempre tramuta uno starnuto nei
corridoi del Corriere in una reboante questione nazionale. E che
determina, a ben pensare, la debolezza dei suoi assetti. Specie dopo che
il venir meno dell’influenza dei due soci forti (gli Agnelli prima, e
con loro la Mediobanca di Cuccia) ne ha fatto una sorta di terra di
nessuno. La sua compagine, un tempo emblema di quel salotto buono su cui
sedevano i poteri forti, ora è la sommatoria di tante debolezze. Di ciò
Cesare Romiti ha saputo farsi abile interprete ottenendo un’inusitata
libertà di manovra. Con una quota largamente minoritaria, ha fatto della
Rizzoli un’azienda di famiglia: lui presidente, il figlio Maurizio
amministratore delegato con pieni poteri su manager e progetti
industriali.

Un binomio che ora molti dei soci sono decisi a spezzare,
legando per taluni la permanenza di Cesare, magari con un ruolo
onorifico (la forma perfetta tutto può, meno che nascondere l’età
anagrafica), all’uscita di Maurizio. Ma l’ex presidente della Fiat ha
respinto la proposta al mittente, ancor più sdegnosamente quando oltre
all’abbandono dell’erede qualcuno ha aggiunto sul piatto la situazione
debitoria della sua Gemina. La questione Corriere è tornata così al
dilemma di partenza.

Che fare? Un’Opa sulla holding dei Romiti, una
prova di forza in Cda con dimissioni a valanga, un’allettante offerta
perché si ritirino in buon ordine dal giornale, magari accompagnata
dalla promessa che le banche saranno benevole con gli altri beni di
famiglia? Ma soprattutto: chi dovrebbe fare il primo passo? Banca
Intesa, in virtù del fatto che il suo presidente vanta una sorta di
padrinaggio sui destini di Via Solferino, nonché un interesse a
mantenerne il tono antigovernativo? Marco Tronchetti Provera, le cui
recenti nomine nell’organigramma del quotidiano hanno ancor più
indispettito? Oppure un cavaliere nero dall’identità per ora
sconosciuta?

Nell’attesa che l’enigma si sciolga, i Romiti non arretrano
di un passo. Anzi, non si limitano a gestire l’ordinario, ma rilanciano.
La rottura con Burda sembra studiata a tavolino con l’obiettivo di
riavere i periodici e usarli come merce di scambio per rafforzare le due
attività strategiche (Libri e Quotidiani). E l’indubbio miglioramento
dei conti, con il ritorno al dividendo dopo un periodo di lunga
astinenza, complica ancor di più i piani di chi vorrebbe sbarazzarsene.

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