«Un rialzo delle materie prime ucciderebbe in culla quel poco di ripresa che comincia a vedersi. Rischiando di accendere una pericolosa spirale inflazionistica». L’allarme arriva dai comparti produttivi del sistema Italia, alle prese con una difficile uscita dalla recessione.
Tutta colpa del nuovo “cartello” del ferro siglato dai big minerari mondiali con i grandi consumatori, soprattutto le acciaierie asiatiche, che supera il vecchio sistema degli accordi annuali sulla determinazione del prezzo, aprendo alla speculazione sulle fluttuazioni.
Al nuovo accordo si aggiunge poi «la pressione della locomotiva cinese ormai uscita dalla crisi», spiega Guidalberto Guidi, presidente di Anie, l’associazione di Confindustria che raccoglie le imprese elettroniche ed elettrotecniche. «Sono tornati a mangiarsi tutto quel che viene prodotto nel mondo spingendo i prezzi di rame e acciaio. Nel nostro comparto, ad esempio, stanno rincarando anche i componenti di base».
Per alcuni è fisiologico. Nel corso del 2009 molti hanno tagliato capacità produttiva. E insieme si sono ridotti i prezzi su base annua: -3,7% l’acciaio, -19,5% il rame, -22,8% lo zinco, -36,5% l’alluminio, -35,6 il nickel. Con i primi refoli di ripresa la pressione sta aumentando.
Ieri il petrolio Wti al Nymex ha toccato punte superiori a 85 dollari al barile, il massimo dall’ottobre del 2008. Mai così alti dall’estate 2008 anche i prezzi segnalati a Londra per rame (7.881 dollari per tonnellata), nickel (25.475 dollari per tonnellata) e platino (1.660 dollari per oncia).
«La richiesta di rincari da parte dei nostri fornitori è ormai quotidiana e annulla quasi completamente il vantaggio monetario sul dollaro – prosegue Guidi – accendendo una potenziale rincorsa prezzi/tassi che non possiamo certo permetterci».
Il baco del contagio è certamente la siderurgia, con ricadute immediate sulla meccanica e sull’automotive. Ma anche chi utilizza come materia prima il rottame (gran parte dell’industria italiana), è investita indirettamente dal rimbalzo, influenzando il prezzo dei prodotti finiti.
«Abbiamo visto un forte rincaro del minerale ferroso destinato alle acciaierie e anche delle lattine di acciaio o alluminio da riciclare e fondere – spiega Rosolino Redaelli, produttore di imballaggi di metallo e presidente dell’Anfima, l’associazione di categoria – ed è prevedibile che a valle rincarerà anche la banda stagnata, cioè la latta per produrre barattoli, scatolette e bombolette. C’è preoccupazione soprattutto per gli effetti che potranno esserci sul confezionamento di pelati e conserve, visto che si avvicina il periodo del raccolto del pomodoro».
Secondo i produttori di imballaggi metallici, infatti, con ogni probabilità saranno ritoccate le forniture di latta e alluminio, che in genere hanno contratti di lunga durata.
Anche la Federalimentare guidata da Giandomenico Auricchio teme questo contagio, più che il rimbalzo delle materie prime alimentari. «Il problema è l’acciaio, ingrediente fondamentale nel nostro made in Italy», ammette Auricchio. «I nostri processi di lavorazione – aggiunge – rispondono a normative molto restrittive proprio a tutela della sicurezza dei consumatori. Dunque se non ci sarà un impatto diretto, certamente i rincari peseranno lungo la filiera».
Preoccupato per l’infiammata dei prezzi è anche Paolo Culicchi, presidente di Assocarta, un settore che valeva circa 22mila addetti per 10,1 milioni di tonnellate di produzione negli anni d’oro (oggi dopo la crisi che ha chiuso 20 cartiere vale 20mila lavoratori e 8,4 tonnellate).
«Le materie prime fibrose (le cellulose) e le carte da macero nel primo trimestre 2009 erano scese a prezzi bassissimi», ragiona Culicchi. «Cinquecentosessanta dollari a tonnellata per la fibra lunga e 460 per quella corta».
I produttori sudamericani, tanta era la crisi, avevano addirittura fermato gli stabilimenti. Oggi lo scenario è diverso: la ripresa sta investendo il Far East trascinandosi dietro la pressione sui prezzi. «Nell’ultimo trimestre – prosegue il presidente di Assocarta – c’è stato un aumento di 30 dollari/tonnellata. Siamo ormai a 880 per la fibra lunga e 780 per quella corta».
Come uscirne? «Auspichiamo almeno una detassazione sull’incremento di fatturato».
Meno lambita dal rimbalzo la filiera dell’edilizia. Banalmente perché «il comparto resta immerso in una crisi profonda, sia sul lato immobiliare che nelle infrastrutture che negli appalti pubblici», commenta il presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti.
«Già nel 2005 ci fu un’impennata dei prezzi del 108% dopata proprio dalla rincorsa cinese. Ricordo che i container pieni di acciaio venivano tenuti fermi nei porti per far salire i prezzi. Il rischio vero, piuttosto – conclude il leader dell’Ance – è di restare in balia di congiunture internazionali volatili».
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