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Quello che si attendono i mercati e’ soprattutto di essere sorpresi

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

Rouge, noir. Pair, impair. Manque, passe. Samaras, Tsipras. Sono scommesse binarie, come quelle sulla Grecia prima del voto. O va in un modo o va nell’altro. Poi ci sono le situazioni aperte, con esiti possibili molteplici,
come è stato il caso per la riunione della Fed. Le aspettative avevano una grande dispersione, si andava dal nulla di fatto alla terza tranche di Quantitative easing, passando per la scelta più ovvia e di basso profilo, la
continuazione dell’operazione Twist, con la quale la Fed allunga la scadenza
dei titoli che ha in portafoglio senza allargare la dimensione del suo bilancio.

Nel fare le sue scommesse sulle decisioni della Fed il mercato ha voluto includere anche la possibilità o il desiderio di essere sorpreso con qualcosa di
nuovo e di creativo, qualcosa cui nessuno aveva mai pensato. Alla fine la Fed
ha scelto il basso profilo e ha servito al mercato l’ennesimo piatto di minestrone, nutriente ma certamente non eccitante. Il Fomc è pieno di autorevoli professori delle migliori università americane, grandi chef capaci delle creazioni più audaci.

Se ha scelto il minestrone è per due ragioni. La prima è che ha preferito tenere in frigorifero il meglio per servirlo nel caso in cui i leader europei, la settimana prossima, si prendano a male parole e abbandonino l’euro al suo destino.

La seconda è che gli chef del Fomc sono divisi per linee politiche, ideologiche, dottrinarie e perfino geografiche (le Fed regionali delle coste, aggressive, contro quelle del cuore del paese, quasi tutte prudenti) e solo il minestrone, per il momento, può metterli d’accordo.

Anche l’Europa è divisa, come è ben noto. Socialisti contro Ppe. Nordici contro
mediterranei. Pagatori di tasse contro prenditori di tasse. Formiche contro
cicale. Fautori della moneta facile e abbondante contro custodi di un minimo di
ortodossia. Federalisti neohamiltoniani contro neogollisti (anche se socialisti) favorevoli all’Europa delle patrie. Federalisti per scelta geopolitica contro federalisti pur di avere i soldi. Ci sono ancora otto giorni per posizionare i portafogli. Otto giorni di incontri ininterrotti tra ministri delle finanze, eurocrati e capi di stato e di governo europei.

Il frigorifero trabocca di ingredienti, la libreria è stracarica di ricettari. C’era un tempo in cui le migliori menti d’Europa giravano tra le università del continente discettando con ardore e passione di metafisica ed elaborando a ogni stagione nuove audaci teorie. Oggi le migliori menti d’Europa sono impegnate a trovare ogni giorno nuove strade per tirare fuori soldi ai tedeschi o, se tedesche, a sbarrare queste strade. I mercati, esattamente come per il Fomc, ma su scala molto maggiore, si attendono tutto, niente, molto, poco, ma soprattutto si attendono di essere sorpresi. Se non ora, quando, è il ragionamento. O il pranzo di Babette, generoso e commovente, o il rovesciamento del tavolo, la rissa d’osteria e il ritorno a casa a stomaco vuoto e tasche ancora più vuote.

E’ tutto un discutere di manicaretti. Eurobond. Eurobill. European Redemption Fund. Efsf ed Esm che comprano Btp e Bonos. Etf ed Esm che fanno la stessa cosa con in più la Bce che presta loro tanti soldi. O soldi infiniti, meglio ancora. La Vergeltungswaffe 2, l’arma di rappresaglia V-2 alla quale lavorano i tecnici migliori nei laboratori segreti di Bruxelles e Francoforte. In alternativa si contano le ore che mancheranno, finito il vertice del 28-29 giugno, alla disintegrazione, come si ama dire, di Eurolandia tutta. Al minestrone, invece, si pensa troppo poco quando proprio questo è l’esito più probabile, insieme a una piccola porzione di tiramisù sulla crescita, preparata senza fare la spesa ma utilizzando ingredienti già in frigorifero.

Intendiamoci, 120 miliardi per la crescita sembrano pochi in un’epoca in cui
ci siamo tutti abituati a parlare di trilioni, ma sono pur sempre l’uno per cento del Pil dell’Unione. Il fatto che siano tirati fuori dalle pieghe del bilancio comunitario conta poco se da residui passivi si trasformano in investimenti effettivi. Il piatto forte, in ogni caso, non sarà probabilmente quello che i mercati si aspettano confusamente e ardentemente, la mutualizzazione del debito, ma l’unione bancaria.

Quando, in dicembre, la Bce optò per l’Ltro e non per il Quantitative easing all’americana, i mercati rimasero spiazzati e la reazione iniziale fu di
scetticismo. Solo dopo qualche settimana ci si accorse che l’Ltro era, nei
suoi effetti pratici, una forma indiretta di sostegno ai titoli governativi. Con l’unione bancaria potrebbe succedere la stessa cosa. L’unione bancaria può essere intesa in senso limitato o in senso forte. Probabilmente il piatto che ci verrà servito sarà abbastanza robusto. La Germania è molto disponibile su questo terreno e gli altri cercheranno di fare entrare dalla finestra dell’unione bancaria tutto quello che non riusciranno a fare entrare dalla porta della mutualizzazione.

In pratica, in questa ipotesi, i costi della sistemazione delle grandi banche europee verranno mutualizzati. Questo vuole dire che non peseranno sui bilanci nazionali e non andranno ad accrescere il debito pubblico. Le banche smetteranno di gettare ombra sul rapporto debito-Pil di molti paesi. Questo rapporto, cui i mercati guardano ossessivamente, sarà più credibile.

Tecnicamente questa mutualizzazione avverrà attraverso l’Esm, ma ci sarà probabilmente una partecipazione della Bce. Quanto alla garanzia sui depositi, si costituirà verosimilmente un nuovo ente sul modello dell’Fdic americano. Le riserve di enti di questo tipo sono di solito alimentate dalle banche, che vi versano annualmente una piccola percentuale dei loro depositi, ma nulla vieta che, in una fase iniziale, l’Fdic si indebiti sul mercato. Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem, diceva Guglielmo di Ockham quando l’Europa colta si occupava di ontologia. Gli enti non vanno moltiplicati oltre il dovuto, ma nell’Europa di oggi la moltiplicazione delle entità comunitarie che possono indebitarsi è il paravento dietro il quale passa la mutualizzazione possibile.

L’unione bancaria è fatta su misura per la Spagna e ci conferma nell’idea che i Bonos, in questa fase, sono da preferire ai Btp. Anche l’Italia, comunque ne
trarrà beneficio. Le nostre banche, finora, non hanno pesato sul bilancio pubblico come in altri paesi, ma eliminare dubbi e sospetti farà comunque bene. Certo, il vestito su misura per l’Italia sarebbe la mutualizzazione diretta del debito.

Sulla stampa tedesca non passa giorno senza che si discuta del Fondo di ammortamento, ma è chiaro che la proposta è ancora indigesta. Il governo tedesco considera il rifiuto della mutualizzazione diretta un ottimo argomento elettorale e non cambierà idea facilmente prima delle elezioni del 2013. Per cercare di essere coerente, la Merkel si è irrigidita perfino sui Deutschlandbond.

In gennaio, quando alcuni Länder che pagano uno spread rispetto ai titoli federali avevano proposto di fare emissioni congiunte tra Bund e Länder (tra federazione e regioni), la Merkel si era mostrata possibilista. Da un mese, oltre a rifiutare gli eurobond, respinge anche i Deutschlandbond. Non aspettiamoci molto, quindi, su questo piano. Sarebbe già una bella sorpresa vedere indicata la mutualizzazione in una roadmap per i prossimi anni.

Anche se in questo momento ci si concentra sulla Spagna, l’Italia non verrà completamente abbandonata. L’aspirina dell’Esm (presente nel suo statuto fin da novembre, anche se oggi viene vissuta come chissà quale novità) non ci sarà di grande aiuto, ma non bisogna dimenticare la Bce. La Bce ha mantenuto negli ultimi mesi un profilo basso e, in particolare, ha smesso di comprare titoli governativi mediterranei. Lo ha fatto per non abituare troppo il mercato, per non irritare i tedeschi, per tenere sotto pressione Italia e Spagna, ma soprattutto per invitare i politici europei a prendere decisioni su questioni che sono fiscali più che monetarie.

Se dal vertice della settimana prossima uscirà una roadmap politica, la Bce si sentirà legittimata a fare da ponte nella fase di transizione. La logica della Bce di Draghi non è di fare meno quando i politici fanno di più, ma di fare di più quando i politici fanno di più. In pratica, rassicurata sul medio termine, la Bce potrà, in caso di bisogno, reintrodurre qualche forma di targeting sullo spread tra Btp e Bund.

L’Italia dovrà fare la sua parte e contenere le spinte populiste che con l’avvicinarsi delle elezioni si faranno via via più forti. Se l’esito del vertice sarà quello che abbiamo provato a immaginare, i mercati non si muoveranno molto dai livelli attuali. Ci sarà un certo disorientamento, ma le spinte a trasformarlo in delusione saranno contenute se la Bce scenderà in campo in seconda battuta, tagliando i tassi e annunciando altre operazioni di rifinanziamento.
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