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QUELLI CHE LA BORSA E’ UNA COSA MERAVIGLIOSA

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*Alessandro Fugnoli e’ lo Strategist di Abaxbank. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Quelli che la vita è una cosa meravigliosa hanno la seguente teoria sulla relazione tra tassi e borse. Quando i tassi salgono è perché l’economia va bene, anzi benissimo, come è stato del resto in questi due anni passati, allietati da 15 rialzi da parte della Fed. Ovvio che, con un’economia florida, le azioni non possano che salire. Quando i tassi smettono di salire, o stanno per smettere di salire, le borse stappano lo champagne migliore. Non c’è più da camminare in salita, si va in piano, si può andare più spediti. Le azioni non possono che apprezzarsi.

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Quando i tassi scendono vuol dire che le condizioni dell’economia stanno per migliorare. La Fed strizza l’occhio agli investitori reali e finanziari e li incoraggia a gettarsi nella mischia con i loro spiriti animali. Presto o tardi sarà boom. Le azioni, in ogni caso, è meglio comprarle subito, perché non potranno che salire. Nel paese di Bengodi, dunque, la borsa sale con i tassi in salita, fermi o in discesa. Negli Stati Uniti, al contrario, l’ultima volta che i tassi hanno smesso di salire la borsa è scesa per 26 mesi di seguito e alla fine si è ritrovata dimezzata di valore.

E’ difficile comprendere l’entusiasmo di ampi settori del mercato per l’ipotesi che la Fed stia per concedersi una pausa. I rialzi che vanno dietro alla crescita sono un segno di salute, in fondo, al contrario di quelli che vanno dietro all’inflazione. Lo stesso vale per il petrolio e per le materie prime in generale. Se salgono per shock da domanda è un segno di salute, al contrario dei rialzi per shock da offerta, assai malsani (l’ultimo rialzo del greggio, a proposito, è metà da domanda e metà da offerta ed è quindi meno sano dei precedenti degli ultimi due anni).

Se siamo ancora positivi sulle borse a 12 mesi, del resto, è proprio perchè è probabile che la Fed si conceda sì una pausa, ma per riprendere più avanti e arrivare alla fine al 5.50 per cento. L’economia mostra segni di forza e questo è buono, ma non va dimenticato che il trade off tra crescita e inflazione, da qui in avanti, può solo peggiorare. Per chiudere il discorso sui tassi, i cuorcontenti per la Fed in pausa non devono dimenticare altre tre cose:

1) Una Fed che abbandona il pilota automatico e impugna i comandi manuali introduce un elemento di incertezza, che a rigore dovrebbe portare a un piccolo aumento del premio per il rischio.

2) Per una Fed in pausa ci sono decine di banche centrali che continueranno o inizieranno ad alzare i tassi.

3) Se la Fed si ferma, il compito di correggere gli eccessi di crescita o di inflazione verrà assunto dai bond, come già stiamo vedendo.

Non esistono i vuoti di potere, prima o poi qualcuno li riempie. Il deterioramento del trade off tra crescita e inflazione, tipico della seconda metà di ogni ciclo di espansione, ha come corollario il deterioramento del rapporto tra azioni e bond. Nella prima metà di questo ciclo abbiamo visto le azioni salire molto e i bond stare tranquilli. Nella seconda vediamo e vedremo le azioni salire più lentamente e irregolarmente e i bond, tendenzialmente, scendere ancora. Un altro deterioramento che si prospetta è quello tra rischi e rendimenti, per lo meno per i prossimi mesi. Finora abbiamo avuto, sull’azionario, pochi rischi e grandi rendimenti. Da qui in avanti avremo più rischi di prima e meno rendimenti.

Il rischio di gran lunga maggiore, che cresce di giorno in giorno, è l’Iran. Qui rischio va inteso nelle due direzioni. Una soluzione positiva, infatti, non è da escludere a priori. Quello che comunque si avvicina è il redde rationem, nel bene o nel male. La scienza iraniana, in quest’ultimo mese, ha compiuto mirabili progressi. La capacità di arricchimento dell’uranio è passata dal 3.6 per cento al 4.8. Guarda caso, per l’uso pacifico basta il 5 per cento, per quello militare bisogna andare oltre.

Il 4.8 è di un soffio sotto il 5 e nulla ci toglie dalla testa che il 4.8 sia un numero politico, cucinato per potere lasciare aperte, quando fra un mese saranno scaduti gli ultimatum, due strade. Nel caso migliore a fine maggio o inizio giugno la scienza iraniana sarà arrivata miracolosamente al 5 e il governo potrà affermare di avere portato a termine il suo programma (potrà cioè abbozzare senza perdere la faccia).

Nel caso peggiore l’Iran rovescerà il tavolo, romperà con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e varcherà silenziosamente il Rubicone del 5 per cento. Nel primo caso il mondo tirerà un sospiro di sollievo, il petrolio perderà almeno 5 dollari e le borse daranno vita a un rialzo (piccolo, perché i petroliferi andranno controcorrente). Nel secondo si aprirà una fase sempre più buia, fatta di minacce e di gesti concreti uno peggio dell’altro.

Il secondo motivo che rende il rapporto tra rischio e rendimento meno brillante per i prossimi sei mesi è l’avvicinarsi della stagione degli uragani, una roulette russa i cui esiti non dipendono solo dall’intensità dell’evento ma anche e soprattutto sul dove va a impattare. Se è possibile fare previsioni di massima sul primo fattore (l’intensità), è impossibile farle sul secondo (i luoghi colpiti). Il terzo motivo è dato dal fatto che in questi primi mesi dell’anno i mercati azionari si sono già giocati una parte importante dei rialzi ragionevolmente spettanti al 2006, in particolare in Europa. Ovvio che, da qui in avanti, si debba comunque andare più piano. Ridurre le posizioni e partire per lunghe vacanze estive, per poi eventualmente riacquistare in novembre, non sarà magari ottimale, ma non dovrebbe neppure produrre danni rilevanti ai portafogli.

A scanso di equivoci ripetiamo che questa non è assolutamente una visione pessimista sulle borse da qui a fine ciclo (ipotizzando fine ciclo in qualche punto da fine 2007 in avanti). E’ solo la constatazione che per qualche mese non avremo forti rialzi e avremo piuttosto quell’antipatica asimmetria per cui i rialzi sono lenti e faticosi mentre i ribassi sono veloci e incisivi.

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