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(WSI) – Le “schegge di vitalità” hanno acquistato consistenza. Nel Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2006 il Censis rivendica la lungimiranza di aver già segnalato, un anno fa, quando tutti parlavano di declino, una evoluzione positiva della società italiana. Evoluzione alla quale nessuno oggi negherebbe la qualifica di “ripresa”, testimoniata da “progressioni di aumento del prodotto nazionale allineate intorno al 2 per cento, traguardo inverosimile a metà 2005, quando sembravamo impaludati nella crescita zero”. “Una solida crescita strutturale – attesta il rapporto – quasi una deriva di un piccolo e silenzioso boom”.
Quella vitalità del Paese che il Censis aveva colto già un anno fa si riscontra sempre di più nelle capacità di innovazione e di internazionalizzazione delle imprese, nel costante aumento dell’occupazione, nell’inserimento in prevalenza positivo degli immigrati. Ma non è sufficiente a far compiere all’Italia il balzo in avanti del quale avrebbe bisogno. Da un lato “persistono zavorre sistemiche”, a cominciare da una “indomabile spesa pubblica” strabordante. Dall’altro il Censis denuncia, pur senza puntare il dito, “una diffusa incertezza delle prospettive d’azione, con conseguente rimozione dell’impegno a capire e sostenere il processo di ripresa e sviluppo appena avviato”.
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Conclusione, “ci sarebbe da chiedersi che tipo di ripresa si prospetta – si domandano gli esperti del Censis- se si tratti di un semplice assestamento o di un mutamento rinvigorente in grado di sostanziarsi nella modernizzazione del Paese. A ben guardare rischiamo di posizionarci più sul primo scenario che sul secondo”.
Aziende traino della ripresa. Accusate di scarsa competitività e capacità d’innovazione, le imprese sono protagoniste di una rivincita. “L’industria appare pervasa da nuova vitalità, tanto che nei primi sette mesi del 2006 l’indice del fatturato e quello degli ordinativi sono aumentati rapidamente, attestandosi su valori superiori a quelli medi del 2005”, ricorda il rapporto.
Ma non si tratta solo di una questione di quantità: il Censis segnala anche i progressi nelle esportazioni, settore nel quale “l’Italia costituisce un partner estremamente competitivo a livello internazionale”, e in generale l’accresciuta capacità di movimento degli imprenditori nello scenario internazionale. Infatti il 13,3 per cento delle imprese manifatturiere italiane con oltre 50 addetti ha all’estero una parte di attività produttiva, il 18,7 per cento ha attivato forme di collaborazione con imprese estere, tra il 2002 e il 2005 il numero degli investitori italiani all’estero è cresciuto del 21,3 per cento. In particolare, tra il 2005 e il 2006 la presenza delle imprese italiane in Cina è cresciuta del 12,4 per cento.
I ‘big player’ protagonisti del mercato. Protagonisti di questo ‘rinascimento’ delle imprese italiane sono soprattutto i ‘big player’. “Da un’indagine svolta nel 2006 – si legge nel Rapporto – risulta che il segmento della grande impresa ha prevalentemente adottato una strategia aggressiva finalizzata all’acquisizione di nuovi clienti e all’ingresso in nuovi mercati”. Svettano, secondo l’istituto di ricerca, l’Enel, “con un fatturato superiore ai 34 miliardi di euro pari al 66,7 per cento i quello dell’Edf francese e al 48,7 per cento dell’operatore elettico nazionale cinese”; Finmeccanica, “che nel Campo dell’aerospaziale e della difesa garantisce una presenza italiana importante a livello mondiale”; e Unicredito, “un esempio di strategia aggressiva che può svolgere un’azione di primo piano nel risiko bancario che caratterizza oggi il settore del credito dentro e fuori i confini nazionali”.
I progressi nel mercato del lavoro. Il costante calo del tasso di disoccupazione e l’emersione del ‘nero’ hanno caratterizzato gli ultimi anni, insieme a un uso sempre maggiore del lavoro ‘flessibile’. Che però per le aziende “non è più una leva di gestione straordinaria”, rileva il Censis, ricordando che tra il 2000 e il 2005 la quota di occupati con lavoro a termine è rimasta invariata, mentre quella dei lavoratori a tempo indeterminato è passata dal 62,3 al 64,3 per cento.
Il mondo delle aziende non intende rinunciare alla ‘flessibilità’ e alle leggi che la sanciscono, ma il Censis riscontra invece di fatto un’inversione di tendenza, “una domanda di nuova fidelizzazione del lavoro” che si spinge persino alla valorizzazione degli ultracinquantenni e dei pensionati. Infatti i primi rappresentano oltre il 40 per cento dei nuovi occupati nel secondo trimestre del 2006, mentre i secondi sono sempre più richiamati dalle grandi imprese.
Le ‘zavorre sistemiche’: la spesa pubblica. A fronte di sistema imprenditoriale prevalentemente ‘virtuoso’, il settore pubblico permane nell’inefficienza e nello spreco. “Nel periodo 2000-2005 la spesa pubblica corrente al netto degli interessi è passata da 475 miliardi di euro (pari al 39,9 per cento del Pil) a 622 miliardi di euro (43,9 per cento del Pil) con un tasso medio di crescita annuo reale del 2,6 per cento, mentre nello stesso periodo l’indicatore riferito al Pil è cresciuto dello 0,6 per cento”. Un debito pubblico che dunque continua a lievitare, a dispetto dei proclami di direzione opposta, e per ragioni decisamente poco funzionali. “Nel periodo 2000-2005 il personale, in termini di unità di lavoro delle amministrazioni pubbliche, è cresciuto del 2,3 per cento circa, pari ad oltre 80.000 unità di lavoro in più”. Non solo, ma sono cresciuti notevolmente anche i livelli delle retribuzioni, per via dell’introduzione della quota legata al risultato.
Il Mezzogiorno sempre più lontano. Il risveglio del Paese accentua, come avviene da decenni, le differenze tra un Sud immobile e semmai in arretramento, sotto tutti i profili, a cominciare da quello del lavoro: “A metà del 2006 – ricorda il Censis – le otto regioni del Mezzogiorno hanno registrato un tasso di disoccupazione vicino al 12 per cento, quasi il doppio della media nazionale”.
Le altre inefficienze della P.A. Ma la gestione della cosa pubblica è inefficiente e costosa anche da altri punti di vista, rileva l’istituto di ricerca. Per le grandi opere (o supposte tali) manca “una logica di concertrazione allargata e anticipata”, e prevalgono invece i microinteressi. Per la scuola e l’università prevalgono “diseconomie di sistema” e, ancora una volta, mancano gli obiettivi di fondo “verso cui canalizzare azioni e risorse”. Il sistema del welfare rimane rigidamente clientelare: dai dati di un’indagine Censis-Forum “è emerso che, per poter accedere alle prestazioni ospedaliere, il 55,5 per cento degli italiani ha dovuto far ricorso a conoscenze e quasi il 9 per cento ha dovuto far regali anche in denaro”. E nella rappresentazione degli interessi del corpo elettorale prevale una logica di “microclientelismo localistico”.
Scende la fiducia nella classe politica. Tutte circostanze che indeboliscono la fiducia del cittadino nei confronti della classe politica: mentre nel 1994, si legge nel Rapporto, gli elettori che avevano “molta fiducia” nei politici erano l’8,8 per cento, la percentuale scende al 5,1 nel 2006; gli “abbastanza fiduciosi” scendono dal 38,4 al 36,2 per cento. Una curiosità: il principale elemento che ha influenzato il voto nelle ultime elezioni, secondo un’indagine del Censis, è stato “la diversa capacità dei leader di proporsi in Tv”.
Immigrati sempre più numerosi e integrati. In Italia non ci sono, e non ci saranno, le banlieues, i ghetti degli immigrati, nonostante il loro numero cresca costantemente, al momento quelli regolari sono oltre 2,6 milioni, il 4,5 per cento della popolazione. Infatti in Italia, a differenza che in Francia o in Gran Bretagna, ricorda il Censis, gli immigrati non sono concentrati nelle grandi città (tra Roma e Milano la quota non supera il 9 per cento), sono di provenienza estremamente variegata (quasi 200 cittadinanze) e mostrano un elevato tasso di occupazione, soprattutto al Nord e al Centro.
Le donne, confinate nella marginalità. A scuola e all’università svettano, con votazioni nettamente migliori, ma poi sul lavoro le donne continuano a essere discriminate e marginalizzate. Nella fascia di guadagno netto con meno di mille euro al mese, ricorda infatti il Censis, permangono il 48,9 per cento delle donne ma solo il 26,8 per cento degli uomini. Al tempo stesso, l’immagine che i media diffondono della donna è “quella strumentale, di più o meno spinta sollecitazione erotica”. Nella società italiana attuale, al di là delle discriminazioni sul lavoro e nella vita politica, sembra imperare, rileva il Censis, “una forma di sessismo reattivo”, che fa sì, per esempio, che oltre la metà delle donne in età 14-59 anni abbia subito almeno una molestia sessuale sul lavoro o una violenza, tentata o consumata, nel corso della vita.
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