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QUANTO VALE LA FIDUCIA

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(WSI) – L’unica cosa che dobbiamo temere è la paura, disse Franklin Roosevelt nel suo discorso inaugurale nel gennaio 1933. E nessuna citazione sarebbe più appropriata di questa per il discorso inaugurale del neopresidente Obama. Recuperare la fiducia nel Paese e nelle sue capacità di crescita è fondamentale. I dati sulla disoccupazione sono drammatici: 2,5 milioni di posti di lavoro persi nel 2008, il 75 per cento dei quali negli ultimi quattro mesi. A questo ritmo la disoccupazione potrebbe raggiungere il 12 per cento alla fine del 2009.

Per fronteggiare questa terribile crisi la maggior parte dei policy maker si è riscoperta keynesiana. Tutti parlano della necessità di uno stimolo fiscale che sostenga la domanda aggregata americana, per compensare la caduta dei consumi familiari. Il rischio di una simile manovra è che curi i sintomi invece che le cause della presente recessione. La riduzione dei consumi delle famiglie americane è un effetto salutare della crisi. Negli ultimi anni le famiglie avevano complessivamente speso più di quello che avevano guadagnato, uno squilibrio sostenuto da un forte accesso al credito reso possibile dal boom immobiliare.


Da parte sua l’amministrazione Bush aveva accentuato questo problema con una spesa federale di gran lunga superiore alle entrate. Se sia le famiglie che lo Stato consumano più di quanto guadagnano, chi paga il conto? In parte le imprese, che hanno speso meno di quello che hanno guadagnato, ma soprattutto il settore estero: negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno importato molto più di quello che hanno esportato. In altre parole, a finanziare i consumi americani sono stati i tedeschi e i cinesi, che hanno forti avanzi nei loro scambi commerciali con gli Stati Uniti.

Questo squilibro puo essere risolto solo in tre modi: con un aumento della domanda da parte dei paesi in surplus commerciale (tedeschi e cinesi), con un’ulteriore svalutazione del dollaro, e con un aggiustamento nella produzione americana verso prodotti e servizi che rimpiazzino le importazioni o aumentino le esportazioni.

Un aumento della spesa pubblica finanziato con debito fa poco o nulla per risolvere questo squilibrio. Anzi lo esagera. Da un lato, sostenendo la domanda, non fa altro che perpetuare il disavanzo commerciale. Dall’altro, sostenendo l’occupazione nei settori tradizionali, rallenta se non blocca il processo di aggiustamento. Paradossalmente, l’unico modo in cui lo stimolo fiscale può aiutare a risolvere lo squilibrio di fondo è se il disavanzo pubblico diventa così elevato da creare una crisi di fiducia nel dollaro, che porti a una forte svalutazione. Non penso che questo sia l’obiettivo dell’amministrazione Obama.

Ma allora perché la maggior parte degli economisti si professano a favore di un forte stimolo fiscale? Da un lato per paura. Il rischio di una disoccupazione al 12 per cento e lo spettro incombente della Grande Depressione incutono il terrore tra i policy maker. Nessuno vuole essere percepito un domani come corresponsabile di una nuova depressione. E visto che la Grande Depressione fu preceduta dall’immobilismo dell’amministrazione Hoover, oggi tutti si mostrano iperattivi.


L’altro, più serio motivo, è la convinzione che la crisi corrente sia accentuata dal panico. Le scelte economiche non sono solo il frutto della parte razionale del nostro cervello. Sono spesso governate dagli istinti, quegli ‘animal spirits’ di cui parla Keynes. Questo è tanto più vero in momenti traumatici come l’attuale. Paradossalmente il Keynes a cui tutti si rifanno non è quindi il Keynes economista ma il Keynes psicologo, che vedeva nell’intervento statale il modo per calmare e guidare questi animal spirits.

Se lo stimolo fiscale è il prezzo che dobbiamo pagare per calmare questi istinti animali, ben venga. Ma su quali basi? Se l’obiettivo è tranquillizzare gli animi e ridare fiducia, perché non affidarsi a degli psicologi veri e non a degli economisti che si improvvisano tali? Magari riescono a risolvere il problema con meno di 700 miliardi. Perché il problema oggi non è che il consumatore americano non spende abbastanza, ma che non si fida più a investire in un mercato le cui regole sono falsate ogni giorno dall’intervento della Fed e del governo. Forse lo stimolo più efficace che Obama può dare all’economia americana è la promessa che d’ora in poi il governo americano interverrà solo a protezione dei deboli, ma non sovvertirà le fondamentali leggi di mercato. È una piccola promessa, ma vale più di 700 miliardi.

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