Società

QUANTO DURERA’
IL BRIVIDO CHE SCUOTE I MERCATI

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(WSI) – «I mercati azionari attraversano una fase di correzione: ma non significa l’inizio di un periodo di mercato debole. Tutt’altro. Appena passerà una certa stanchezza dell’economia i mercati si riprenderanno». Robert Doll parla dall’alto di una incredibile montagna di denaro, 581 miliardi di dollari per la precisione, non suoi ma della società che presiede, la Merrill Lynch Investment Managers.

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Doll è uno dei più accreditati analisti di mercato nonché Fed watcher d’America. Ci tiene a puntualizzare che l’attuale semicrisi delle Borse l’aveva prevista già all’inizio dell’anno: «Al momento di esprimere le previsioni per il 2006, avevamo messo in preventivo uno scivolone, diciamo dell’ordine del 10%, che è quello cui stiamo assistendo in questi giorni». Con Doll commentiamo le prime pagine dei giornali di giovedì, che contengono titoli allarmati: il giorno prima il Dow Jones è sceso di ben 214 punti, pari all’1,87%, e il Nasdaq ha perso l’1,49. Il giorno dopo, giovedì, dopo un inizio favorevole, il nervosismo è di nuovo prevalso portando il Dow Jones al ribasso di un altro 0,69% e il Nasdaq dello 0,70. E nella settimana precedente il Dow, dopo essere arrivato ad un soffio dai massimi storici, già aveva perso l’1,7% e il Nasdaq ben il 4,2.
Cosa sta succedendo?

«E’ un momento in cui si accaniscono sulle Borse, a partire da quella americana, diversi fattori negativi. C’è un rallentamento della crescita. Ci sono utili che in molti casi hanno lasciato l’amaro in bocca. Ci sono poi una debolezza del dollaro che genera nervosismo e suscita inquiete domande, la fine del boom immobiliare confermata addirittura da Greenspan, tassi alti eppure un’inflazione che qualche preoccupazione la dà, le incertezze politiche connesse con le elezioni di novembre. Serve altro?»

E voi tutto questo l’avevate già messo in conto?
«Avevamo sostenuto che secondo i cicli storici della Borsa, ogni 19 mesi c’è una correzione. E qui erano quattro anni che non si vedeva. Era inevitabile. Ma non è l’inizio di una crisi. Prendiamola come un momento in cui si creano delle opportunità, da cogliere prima che il mercato riparta e torni a svettare verso nuovi massimi».

Perché ciò accada serve però che passi l’ondata di paura sull’economia. E quanto tempo ci vorrà?
«Poco. Nessuno dei fattori di debolezza dell’economia che citavo prima appare grave né determinante. Entro fine anno sarà tutto passato. Certo, il pil non salirà del 4,5 per cento come l’anno scorso, e neanche del 3,5 come si prevedeva quest’anno, ma comunque di un più che decente 3%. Come vede, non c’è crisi, solo un rallentamento».

L’inflazione fra tutti i fattori di semicrisi è quello che stupisce di più. I tassi in America sono saliti dall’1 al 5% in due anni, eppure il Consumer Price Index è schizzato dello 0,6% in aprile rispetto ad uno scatto dello 0,4 in marzo e allo 0,5 previsto dagli economisti. Il tasso annuale è al 3,5. L’inflazione è fuori controllo?

«Attenzione perché quella di cui parla è la headline inflation, il dato sì che viene pubblicato ma quello che contiene le componenti energia e alimentari spesso volatili. Noi preferiamo riferirci alla core inflation, depurata di questi due fattori. E quella è salita in aprile solo dello 0,3».
Che è anche qui peggio delle previsioni che parlavano dello 0,2…

«L’inflazione non è fuori controllo. L’economia americana e anche mondiale sta dimostrando di reggere allo shock petrolifero. I motivi li conoscete: la riconversione industriale verso produzioni energysaving, i miglioramenti di produttività, la redistribuzione globale della produzione, l’abbondanza di materia prima. Semmai, riscontriamo un minimo di rialzo nella componentelavoro dell’inflazione che era stata tanti anni dormiente, e poi c’è da fare i conti con la redistribuzione internazionale del potere di ‘fare i prezzi’ dovuta al dollaro debole. Ma sono elementi temporanei e non a livelli d’allarme. Anzi, l’America deve tener presenti le pressioni deflattive, dovute proprio agli stessi fattori che le ho appena esposto».

E gli altri mercati? L’Europa?
«Anche per le Borse europee siamo ottimisti sul medio periodo, così come per le economie. Certo, siamo su livelli inferiori a quelli americani, ma conta il tasso di crescita, che sta migliorando».

Torniamo alla Fed: non ha penalizzato i mercati lasciando la porta troppo aperta a ulteriori rialzi dei tassi quando tutti ritenevano che la questione fosse ormai risolta?
«I dati sull’inflazione dimostrano che non è chiusa. Bernanke, a differenza del passato, vuole essere meno netto nel parlare delle future mosse. E’ una differenza di metodo: vuole essere più libero di decidere secondo dove va l’economia. I mercati si chiedono allora quando sarà raggiunto il punto di neutralità dei tassi, quando cioè non agiranno né da freno né da incentivo, e reagiscono con incertezze. Così si spiegherà la volatilità dei prossimi mesi».

Restando alla sua ‘lista’ di fattori negativi, lei citava anche gli utili delle aziende che in diversi casi non sono all’altezza delle aspettative. E’ anche questo un fenomeno temporaneo?
«Sì. Le aziende, nella media, hanno avuto una serie di anni di risultati molto buoni, in parte grazie ai miglioramenti di produttività e di efficienza resi possibili dalle nuove tecnologie, e hanno probabilmente toccato il picco. Ora c’è un rallentamento, e la Borsa reagisce spesso con decisione così come con grande entusiasmo, a volte eccessivo, aveva reagito ai miglioramenti».

Ma questa iperreaction è riservata ai titoli tecnologici o a tutti?
«Direi a tutti, pensi ai casi di alcune banche oppure a settori come l’automobilistico, soggetti di crolli altrettanto clamorosi».
A cosa è dovuto questo rallentamento temporaneo negli utili delle aziende?

«Anche qui c’è un mix di fattori. Principalmente ad un raffreddamento dei consumi per i tassi e la fine del refinancing immobiliare».
E quanto durerà?
«Avremo uno o forse due trimestri ancora deboli. Poi gli utili si riprenderanno. Per fine anno ci aspettiamo un miglioramento, non così forte come dicono alcuni analisti che prevedono fino al +13% negli utili, diciamo che si starà intorno al 7%».

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