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QUANTI FALSI AMICI SUI TANGO BOND

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*Beppe Scienza è professore al Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – “Piove, governo ladro!”. È
un po’ questo l’atteggiamento di
chi addossa colpe al governo Prodi,
perché ora non riesce a ottenere
nulla dall’Argentina per i possessori
delle sue obbligazioni, rimasti
col cerino acceso in mano.
Cioè per i circa 200mila risparmiatori
italiani che hanno ancora in
portafoglio i vecchi titoli, non
avendo accettato il compromesso
offerto da Buenos Aires a inizio
2005.

È la stessa logica di chi allora accusava
il governo Berlusconi di
non adoperarsi abbastanza per ottenere
condizioni migliori per i circa
450.000 italiani coinvolti nell’insolvenza
dello stato sudamericano.
L’offerta pubblica di scambio
(ops) dell’Argentina fu infatti oggetto
di critiche veementi. Venne
definita offensiva, inaccettabile, irricevibile,
iugulatoria e chi più ne
ha, più ne metta, perché proponeva
titoli molto più lunghi e con tassi
molto più bassi in cambio di
quelli andati a gambe all’aria.

Attese salvifiche

In entrambi i casi il governo del
momento viene visto come un
deus ex machina che, qualunque
cosa vada storta, deve comunque
provvedere a raddrizzarla. E deve
farlo anche se non ha nessuna responsabilità
di quanto accaduto,
come per l’insolvenza dell’Argentina
a fine 2001.
Vale la pena di osservare che si
tratta di pretese tutte italiane. Una
quota non trascurabile dei titoli argentini
(5,1% corrispondenti a 3,2
miliardi di euro) era posseduta dai
risparmiatori tedeschi, ma in Germania
nessuno si sognò di chiedere
ai politici di intervenire. Per altro
adesso là il problema non si
pone più, perché saggiamente i tedeschi
aderirono in larghissima
misura all’ops.

La presenza di una quota così
elevata – grosso modo la metà – di
risparmiatori rimasti a bagno è di
nuovo una peculiarità tutta italiana,
che merita qualche spiegazione.
Ed è uno di quei casi in cui viene
proprio da dire: “Dagli amici mi
guardi Iddio!”.

Consigli sciagurati

A parte i pochissimi che hanno
ottenuto rimborsi dalle banche,
incastrandole per irregolarità
spesso formali, chi si trova adesso
a peggior partito è chi non ha dato
all’Argentina i vecchi titoli in cambio
dei nuovi, indiscutibilmente
molto meno redditizi.

Quando i giornali ritornano sull’argomento
del cosiddetto default,
ovvero insolvenza, dell’Argentina,
si riferiscono appunto a
quanti hanno ancora in mano o, a
essere volgari, ancora sulle croste i
vecchi titoli. Nei mesi scorsi sono
usciti parecchi articoli sull’argomento.
Mai una volta però che
l’autore abbia riferito com’è andata
a chi ha accettato il concambio
(vedi Marco lo Conte, Sole 24 Ore,
Plus24, 22-4-2006, pag. 6; Isabella
Bufacchi, Sole 24 Ore, 17-9-2006,
pag. 25; Elena Bonanni, La Stampa,
5-3-2007, pag. 27 e potremmo
continuare a lungo).

Un po’ di conti

Per questo possono essere interessanti
le valorizzazioni della tabella
pubblicata in questa pagina,
dove si tirano le fila della vicenda,
basandosi su dati incontestabili, in
quanto tutti pubblici. Si vede così
che i piccoli risparmiatori hanno
recuperato ai prezzi attuali oltre
metà di quanto investito, un po’
meno chi ha ricevuto le Argentina
Discount 2033, un po’ di più quanti
hanno avuto in cambio le Par
2038. Questa per altro è la situazione
di inizio agosto, nettamente
peggiorata dopo le salite dei tassi
d’interesse degli ultimi mesi. Chi
ha liquidato la propria posizione a
fine 2006, dovrebbe aver riportato
a casa 65 o rispettivamente 60 euro
ogni 100 euro di capitale nominale
iniziale. Che per un fallimento significa
leccarsi le dita.

Siamo quindi di fronte a perdite
ben inferiori al 70%, percentuale
spesso riportata anche contro ogni
evidenza (vedi Edmondo Rho, Panorama,
14-12-2006, pag. 203).

Colpe delle banche

Ovviamente non si tratta di assolvere
lo stato argentino per le
sue inadempienze. Ma di non dimenticare
neppure le gravi colpe
di altri. Per cominciare delle banche,
i cui dipendenti non hanno
sottolineato abbastanza il rischio
comunque insito in quei titoli. Per
altro l’Argentina è un caso nettamente
diverso dalla Cirio e dalla
Parmalat.

Per la Cirio è chiaro che alcune
banche l’hanno spinta a emettere
obbligazioni e poi aiutata a piazzarle
presso i risparmiatori italiani.
Le hanno fatto così arrivare in cassa
soldi, con cui essa ha potuto
rimborsare prestiti bancari.
Per la Parmalat la questione è
molto più complessa, ma stanno
venendo alla luce complicità da
parte di istituti di credito anche in
relazione a sue emissioni obbligazionarie.

Ma per le obbligazioni argentine
sicuramente non è la regola, checché
taluni affermino, che le banche
italiane le abbiano affibbiate ai
propri clienti, non sapendo come
altrimenti sbolognarsene. Normalmente
era infatti possibile venderle
senza difficoltà sull’euromercato.
Ma chi ha aderito all’ops, ha appunto
salvato il salvabile. È invece
grave la situazione di chi ha ancora
le vecchie obbligazioni e dal dicembre
2001 non ha più visto il
becco di un quattrino. E rischia di
non incassare nulla neanche in futuro.
Cioè una perdita del 100%.
Si tratta soprattutto di piccoli risparmiatori,
perché quasi tutti i
grossi investitori e tutti gli speculatori
hanno aderito senza esitazioni.

Altroconsumo

Sono invece rimasti fuori quanti
hanno dato retta alle pubblicazioni
del gruppo editoriale Altroconsumo
(si tratta, ricordiamolo, di
società di capitale con fine di lucro)
e ai consigli di molte associazioni
di consumatori, quali per
esempio Codacons, Adiconsum
ecc..

Tutti costoro si erano appiattiti
senza riserve sulla posizione della
Task Force Argentina (Tfa), un’associazione
imbastita dalle banche
italiane al fine di distogliere i propri
clienti dal proposito di rivalersi
su di esse. Essa ha invitato pervicacemente
gli interessati a rifiutare
lo scambio, senza lesinare i toni
fieri e le minacce risibili, come
quella del sequestro degli interessi
che l’Argentina avrebbe pagato ai
legittimi proprietari delle nuove
obbligazioni.

La newsletter

Altroconsumo attivò addirittura
una newsletter, come se ci fossero
state così tante cose da dire, mentre
bastava una parola: “Aderite!”.
Il Codacons chiese di cambiare il
nome a Piazza Argentina in Piazza
della Vergogna Argentina… per
non parlare dei perentori inviti a
smettere subito di ballare il tango.
Eppure bastava un minimo di
competenza per sapere che conveniva
dire di sì, come sostenni io
stesso su più testate (la Repubblica,
Quotidiano Nazionale, Milano
Finanza, lo stesso Libero ecc.). Chi
vuole conoscere meglio i dettagli
della vicenda, trova parecchio materiale
nel mio sito all’Università di
Torino (www.beppescienza.it).

Manna per avvocati

Una manna per gli avvocati. Ma
anche chi ha perso tutto, può perdere
altri soldi. Si aggirano infatti
alcuni avvocati, veri o finti, che si
fanno dare soldi per intentare cause
perse contro quell’uno o quell’altro
soggetto; alcuni addirittura
contro la Consob. Ma bisogna stare
attenti anche prima di citare
una banca italiana, ricordandosi
che nelle cause l’avvocato ci guadagna
sempre, il cliente solo a volte.
Chi poi ricorda varie sentenze
favorevoli a risparmiatori, tenga
conto che gli italiani vittime dei titoli
argentini sono appunto circa
450mila. Fossero quindi anche
duecento le cause vinte, si tratterebbe
solo dello 0,04 per cento.
In quanto all’arbitrato internazionale
promosso dalla Tfa, l’avvocato
Paolo Marzano ha dichiarato
che «il governo argentino dovrà
pagare il capitale, gli interessi. Poi i
danni» (Economy, 21-2-2007, pag.
9). Le probabilità che ciò accada
sono zero via zero.

Barlumi di speranza

Con tutto ciò forse non è irrimediabilmente
segnata la sorte dei
possessori delle vecchie obbligazioni.
Un qualche ripescaggio dell’Argentina
è anche possibile. Cadono
però le braccia a leggere che
il ministro degli esteri Massimo
D’Alema abbia come fonte d’informazione
e riferimento Nicola
Stock, presidente della Task Force
Argentina, famigerata per le sue
previsioni regolarmente smentite
dai fatti e soprattutto per i danni
provocato a chi le ha dato ascolto.
Infatti anche nel caso in cui l’Argentina
decida di riaprire il concambio,
esso sarà sicuramente a
condizioni peggiori rispetto a
quello chiuso nel 2005.

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