(WSI) – L’impennata del prezzo del petrolio comincia a far paura e a gettare un’ombra sulle prospettive di crescita dell’economia mondiale. La marcia verso l’alto del prezzo del greggio sembra infatti inarrestabile: ieri il prezzo del barile ha sfiorato i 50 dollari, ossia circa 10 dollari di più dello scorso mese di giugno. È quindi legittimo interrogarsi se il suo prezzo continuerà a salire e quindi se l’oro nero si trasformerà in quella variabile che farà deragliare la ripresa.
Non vi è alcun dubbio che l’attuale prezzo è influenzato dalla guerra in Iraq e dai timori di instabilità politica soprattutto nella regione del Golfo Persico. Questo «premio di rischio politico», si stima, si aggira attorno ai 10 dollari il barile.
Il peso di questi fattori di incertezza è esaltato da un forte aumento della domanda di petrolio da parte degli Stati Uniti e soprattutto dalla Cina cui non ha corrisposto un aumento analogo dell’offerta, poiché negli ultimi anni le attività di ricerca e di sfruttamento di nuovi giacimenti sono state ridotte. Quindi, l’aumento del prezzo non è solo il frutto dell’incertezza geopolitica, ma è soprattutto il risultato di un forte aumento della domanda.
Come ha detto un analista americano «se alcuni pensano che l’impennata del greggio sia la manifestazione di una nuova bolla speculativa, dovranno aspettare la prossima recessione mondiale (ossia una diminuzione della domanda di greggio) per vederla scoppiare». Questo giudizio è confortato da quello dei mercati, che hanno visto un forte rialzo dei prezzi dei futures (ossia dei prezzi del petrolio che verrà consegnato in futuro).
Le tensioni geopolitiche, che non sembrano diminuire, e il gioco della domanda e dell’offerta sul mercato del greggio lasciano dunque supporre che questo aumento del prezzo del petrolio sia destinato ad essere duraturo e inducano a prevedere che l’impennata del greggio contribuirà a rendere più brusco il rallentamento dell’economia mondiale.
Secondo i modelli econometrici di OCSE, FMI e IEA un aumento duraturo di 10 dollari il barile riduce la crescita mondiale dello 0,5%. Si tratta di una percentuale significativa soprattutto per economie stagnanti, come quelle europee, ma non in grado di determinare una recessione per un’economia mondiale che quest’anno, secondo le previsioni, avrebbe dovuto crescere attorno al 4 per cento. Questi modelli econometrici presentano però il difetto di tenere in scarsa considerazione il fatto che un medesimo fenomeno può produrre effetti diversi in contesti diversi.
Infatti, come abbiamo sempre sostenuto su questo colonne e come sta emergendo dai dati degli ultimi mesi, la crescita dell’economia americana a partire dalla fine del primo trimestre di quest’anno sta rallentando in modo sensibile. Il motivo è semplice: l’esaurirsi degli effetti delle «droghe» monetarie e fiscali prodigate a piene mani dalla Federal Reserve e dall’amministrazione Bush.
La fine dell’era dei tassi prossimi allo zero e la fine dei ristorni fiscali, da un canto, e la diminuzione dei redditi reali e la scarsa prolificità di nuovi posti di lavoro che caratterizza questa ripresa dall’altro, hanno costretto le famiglie americane a ridurre la voglia di spendere. La riduzione dei consumi, calati dal 4% del primo trimestre all’1% del secondo, è stata sicuramente acuita dall’aumento del greggio, che ha ulteriormente ridotto le disponbilità finanziarie di molte famiglie.
Quindi il petrolio non è la causa prima di questo rallentamento della crescita statunitense, ma è destinato ad accentuarlo. E dato che l’economia americana rimane l’unica locomotiva dell’economia mondiale, è inevitabile che gli effetti, come sta già avvenendo, si manifestino anche nelle altre regioni del mondo.
In Europa, ad esempio (dove l’aumento del prezzo del greggio è stato in parte attutito dal rafforzamento dell’euro e del franco svizzero nei confronti del dollaro) è destinato a ridurre ulteriormente la già scarsa voglia di consumo delle famiglie e a rendere meno dinamiche le esportazioni verso gli Stati Uniti e l’Asia. Infatti i paesi asiatici, grandi consumatori di petrolio, subiranno gli effetti del rallentamento americano e dei tentativi di Pechino di raffreddare l’economia cinese per tenere a bada l’inflazione. Quindi, l’impennata del prezzo del petrolio staglia un’ulteriore ombra sulle prospettive dell’economia mondiale.
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