*Antonio Cesarano e’ Head of Research and Strategy MPS Finance BM S.p.A. Questo documento e’ stato preparato da MPS Finance Banca Mobiliare S.p.A. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come
definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.
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– Per poter comprendere quanto accaduto e soprattutto cercare di immaginarne i potenziali risvolti è importante cercare di comprendere a grandi linee qual è stato il meccanismo finanziario che ha innescato la crisi di liquidità verificatasi nei giorni scorsi. Quanto accaduto assume una rilevanza maggiore se si considera che solo fino a poche settimane fa uno dei principali fattori addotti come spiegazione della continuazione del rialzo sui mercati azionari era rappresentato proprio dalla presenza di un elevato livello di liquidità nel sistema, come del resto testimoniato dagli aggregati monetari delle principali economie mondiali.
Come è stato possibile che la liquidità sia improvvisamente “evaporata”? Buona parte della spiegazione risiede in una delle tante forme di attuazione delle operazioni c.d. di carry trade, che in ultima istanza beneficiano del differenziale tra il costo del finanziamento ed il tasso di remunerazione delle attività acquistate con i fondi presi a prestito.
Ebbene, tipicamente gli hedge fund utilizzando lo yen come valuta di finanziamento sfruttando livelli di tasso prossimi allo zero e dirottano i fondi verso i paesi che invece presentano tassi più elevati.
Quanto accaduto negli ultimi giorni ha invece a che fare in buna misura con la creazione di veicoli finanziari strutturati in modo da investire su titoli collegati a mutui previo finanziamento soprattutto sul mercato delle commercial paper. Di seguito un apprendimento del funzionamento dei veicoli che per brevità di lettura può essere anche saltato passando alla successiva sezione.
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Il fenomeno dei veicoli finanziari conduit, SIV, SIV-lite
Il veicolo (chiamato conduit, Siv (Strucutred Investment Vehicle) o anche Siv-lite nel caso di veicoli con più alto grado di rischio collegato al più elevato livello di leva utilizzato) investe in titoli generalmente con rating elevato (spesso AAA) e finanzia tali operazioni in buona misura attraverso l’emissione di titoli a breve termine (mediamente con scadenza intorno ai 3 mesi), rappresentati in larga misura da commercial paper. Tali veicoli sono in gran parte sponsorizzati da banche che in molti casi concedono anche linee di credito che vengono utilizzate dal veicolo nel caso di temporanee situazioni di tensione sul mercato monetario tali da rendere più conveniente l’utilizzo della linea di credito piuttosto che il rinnovo delle commercial paper in scadenza. Il profitto in buona misura risiede nel differenziale di tasso tra attivo e passivo ricollegabile alla diversa durata del passivo (breve) rispetto all’attivo (lungo termine) ed all’elevato livello di rendimento offerto dall’attivo pur in presenza di titoli con elevato livello di rating.
Quest’ultima condizione è stata ritrovata in buona misura nell’investimento direttamente (ABS) o indirettamente (CDO) in titoli aventi come sottostante (ossia come garanzia collaterale) i flussi derivanti dai mutui Usa. Le commercial paper emesse per finanziare tali acquisiti a loro volta presentano pertanto una garanzia implicita rappresentata dalle attività finanziarie acquistate. Pertanto vengono denominate Asset Backed Commercial Paper, ossia le c.d. ABCP.
La breve spiegazione del meccanismo di funzionamento di tali veicoli finanziari porta pertanto alle seguenti considerazioni:
1) per il veicolo è fondamentale avere un efficiente mercato delle commercial paper tale da consentirgli rinnovi continui delle stesse per poter ripagare quelle in scadenza. E’ per tale ragione che il mercato delle ABCP ha assistito ad un vero e proprio boom dalla fine del 2004 in poi (si veda grafico allegato), parallelamente alla maggiore diffusione dei veicoli citati. Stando ai dati forniti dalla Fed, l’ammontare delle commercial paper in circolazione a metà agosto ammontava a circa 2100Mld$ di cui circa 1000Mld$ è rappresentata da ABCP. Nell’ambito di questi ultimi circa 500Mld$ (in base a stime di Citigroup) è situato in conduit europei. Infine, secondo la Fed, solo il 10% del totale delle commercial paper è rappresentato da titoli emessi da aziende non finanziarie;
2) l’acquisto di titoli aventi come sottostanti i mutui rappresenta l’anello principale di congiunzione tra economia reale (vedi mercato immobiliare) e mercato finanziario. Secondo quanto riportato da Standard&Poor’s circa il 23% dell’attivo dei SIV è rappresentato da titoli aventi come sottostante mutui residenziali. Di questi ultimi circa la metà fanno riferimento agli Usa.;
3) le banche sponsor non compaiono direttamente né tantomeno inseriscono in bilancio i titoli acquistati dal veicolo. Si limitano a concedere una linea di credito.
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Il punto di partenza di quanto verificatosi negli ultimi giorni è stato comunque rappresentato dal rallentamento del settore immobiliare Usa con forti cali dei prezzi delle case tali da metter in crisi i mutuatari statunitensi che avevano contratto mutui a tasso variabile, spesso strutturati in modo tale da comportare rate molto contenute nei primi anni (solitamente non oltre il terzo anno) e rate più elevate negli anni successivi dipendenti dall’andamento dei tassi di mercato.
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L’home equity extraction
I rialzi delle rate verificatosi nei mesi scorsi in seguito al contestuale incremento dei tassi (la Fed nel giro di due anni ha portato i tassi dall’1% al 5,25%), è stato inizialmente tollerato attraverso la continuazione dell’estrazione di valore dagli immobili. In altri termini i mutuatari hanno chiesto un prestito aggiuntivo offendo come garanzia il valore incrementato dell’immobile. Il meccanismo si è però interrotto quando anche i prezzi delle case hanno iniziato la fase discendente. In capo ai mutuatari sono pertanto rimasti un valore del debito complessivo più elevato e soprattutto livelli di rata in alcuni casi prossimi al 100% del loro reddito. Di conseguenza sono stati costretti a vendere la propria abitazione per passare in affitto. Successivamente, essendo la vendita piuttosto ardua vista l’ampia offerta nel frattempo creatasi, sono stati costretti a vedersi pignorata la propria abitazione.
Il forte rialzo dei prezzi delle case ha anche contribuito alla nascita e/o allo sviluppo di società specializzate nell’erogazione di mutui di elevata entità (i c.d. jumbo mortgage ossia quelli di entità superiore ai 417.000$ pari alla soglia oltre la quale per legge i mutui non possono essere riacquistati dalle relative agenzie Freddie Mac e Fannie Mae) e/o verso clientela con più elevato merito creditizio. Si sono pertanto diffusi i c.d. mutui subprime che in larga misura sono a tasso variabile (c.d. ARM Adjustable Rate Mortgage) in quanto in tal modo è stato più facile strutturare il meccanismo di riduzione della rata nei primi anni di vita del mutuo e renderlo pertanto sostenibile per il mutuatario. Non a caso un report del FMI su questo tema datato luglio 2007, parafrasando una nota canzone, titola un paragrafo “Brothers in ARMs”.
Le difficoltà dei mutuatari si sono a loro volta tradotte nella percezione di minore sicurezza dei titoli garantiti dai mutui stessi. Di conseguenza i veicoli hanno dovuto difficoltà a rifinanziare le proprie posizioni sul mercato delle commercial paper per assenza di compratori. Pertanto hanno fatto ricorso massicciamente alle linee di credito accordate dalle banche sponsor mettendo in forte difficoltà queste ultime nel reperimento dei fondi che in diversi casi ammontavano a diversi miliardi di Euro o di Dollari. Ecco allora che la situazione di difficoltà dei veicoli si è trasferita alle banche sponsor, in aiuto delle quali sono arrivate le banche centrali offrendo loro liquidità ed accettando come garanzia (collateral) titoli che sul mercato non trovavano più compratori né tantomeno soggetti disposti ad accettarli come garanzia.
In questo contesto occorre fare due precisazioni: 1) diversi titoli detenuti dai veicoli presentano spesso il rating massimo AAA trattandosi in buona parte di tranche c.d. senior, ossia quelle meno esposte al rischio di insolvenza dei creditori. E’ però accaduto che, malgrado i titoli continuassero ad essere caratterizzati da continuazione del flusso di pagamenti, ne è però fortemente peggiorata la possibilità di vendita se non a prezzi molto inferiori a quelli solo di qualche settimana fa. In altri termini, il rating è stato attribuito facendo riferimento al rischio di credito sottostante. Il problema di questi giorni fa invece riferimento ad un rischio di mercato in quanto ad un certo punto gli operatori non li hanno più accettati né in acquisto né tantomeno in garanzia, generando appunto una crisi di liquidità. La percezione di un basso rischio creditizio ha ad esempio portato Moody’s ad emettere un report a fine giugno scorso in cui i SIV venivano definiti “un’oasi di pace nel vortice dei subprime”.
La possibilità che le turbolenze di mercato potessero portare a rischi di liquidità seri a carico di soggetti fortemente esposti nel settore dei mutui via Abs e/o CDO, secondo quanto riportato dall’Economist era stimata praticamente essere nulla (per gli amanti della statistica 25 sigma, un valore bassissimo se si considera cha il fondo Long Term Capital Market fallito nel ’98 stimava una probabilità di default collocata a 7 sigma!).
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Se questa è la dinamica di quanto accaduto è risultato piuttosto singolare verificare come il processo di globalizzazione finanziario abbia generato riflessi soprattutto a carico di banche europee, in primo luogo quelle tedesche. Negli Ultimi anni infatti è stato soprattutto in questo paese che diverse banche hanno dato vita a veicoli strutturati nel modo prima descritto con diversi vantaggi in termini di assorbimenti patrimoniali e anche di profitto.
Perché mai l’operatività descritta dei veicoli si è diffusa soprattutto negli ultimi anni? In parte la ragione risiede nella perduranza di condizioni di curva dei tassi molto piatta: in altri termini il tasso di interesse offerto da un titolo governativo a lungo termine è solo di poco superiore a quanto offerto da titoli con scadenza ben più breve. Ecco allora la necessità di cercare di sfruttare al massimo il differenziale tra breve e lungo termine investendo in titoli che ottimizzassero il livello di rendimento incamerato con un livello di rischio (almeno creditizio) pari a quello di un treasury sulla base del rating attribuito.
Perché mai ha interessato principalmente le banche tedesche? Secondo quanto riportato dal Wsj in parte il fenomeno si ricollega alla minore concentrazione del settore bancario tedesco che presenta più di 2100 istituzioni finanziarie. A titolo di confronto ad esempio il regno unito presenta 440 istituzioni, la Spagna 359. I veicoli inoltre hanno preferito investire in titoli in Dollari dal momento che il mercato Usa offre condizioni più favorevoli sotto il profilo della liquidità sia degli asset sia delle fonti di finanziamento (commercial paper). Inoltre avere attivo e passivo denominati nella stessa valuta elimina il rischio valutario.
Gli eventi dei prossimi giorni aiuteranno probabilmente ad avere maggiore chiarezza sull’entità e sulla ramificazione del fenomeno dei veicoli finanziari. Al momento risulta probabilmente ostico anche per le banche centrali riuscire ad avere in tempo reale un quadro preciso dell’entità degli asset in circolazione e dei soggetti coinvolti, trattandosi di soggetti (i veicoli) che non rientrano nei bilanci bancari e quindi non tali da offrire un adeguato livello di trasparenza. L’assenza di certezza sotto questo punto di vista ha acuito il problema della crisi di liquidità anche di fronte ad asset con rating molto elevato, comportando la preferenza verso approdi sicuri rappresentati dai titoli governativi Usa e tedeschi.
In sintesi
Dopo il tentativo di ricostruzione del complesso intreccio che collega il mondo reale (mercato immobiliare nella fattispecie) con quello finanziario, cerchiamo di affrontare l’arduo compito di immaginare l’evoluzione futura degli eventi. Innanzitutto i primi due eventi importanti saranno la riunione della Bce del 6 settembre e quella della Fed del 18 dello stesso mese. Nel primo caso, in presenza ancora di turbolenze sui mercati è possibile che la Bce rimandi ad ottobre il rialzo preannunciato ad agosto, pur sottolineando che trattasi di rinvio e non di cancellazione. Del resto, proprio ad agosto Trichet si era premurato di metter nero su bianco il fatto che la Bce avrebbe “attentamente monitorato” gli sviluppi sui mercati che già ad inizio agosto si stavano manifestando.
Per quanto riguarda la Fed , probabilmente l’intenzione di Bernanke è quella di provare a mantenere i tassi Fed Funds fermi al 5,25% ed utilizzare, come già fatto, lo strumento del tasso di sconto per venire incontro alle esigenze delle banche in caso di necessità. Per quanto riguarda i Fed Funds, proviamo a mettere sul piatto i pro ed i contro di un eventuale taglio: da un lato aiuterebbe i mutuatari a tasso variabile (i famigerati “Brothers in ARMs” utilizzando la parafrasi del Fmi) ma in questo caso occorrerebbero manovre corpose (almeno di 50pb) e ravvicinate per avere un impatto concreto ed immediato. Dall’altro lato il repentino calo dei Fed Funds potrebbe aumentare le condizioni di liquidità del sistema contribuendo potenzialmente a creare nuovo terreno fertile per una nuova ondata di carry trade.
Per poter cercare di navigare in questo complesso contesto la Fed potrebbe appunto scegliere di manovrare per ora solo il tasso di sconto con opportune operazioni di iniezione/drenaggio di liquidità in base alle necessità degli operatori. In questo modo riuscirebbe a recuperare il tempo necessario per valutare l’impatto di quanto accaduto sull’economia reale. In questo caso riteniamo che l’impatto potrebbe essere manifesto sulla spesa per consumi già nel trimestre in corso e gradualmente anche nei prossimi due trimestri.
Fino ad ora i consumi avevano trovato supporto soprattutto nelle favorevoli condizioni del mercato del lavoro, riuscendo così ad evidenziare una buona tenuta anche dopo il venir meno del supporto offerto invece dal settore immobiliare mediante l’estrazione di valore dagli immobili. In prospettiva le aziende potrebbero far fronte agli aumentati costi di finanziamento nonché al calo della domanda ridimensionando i costi del personale. Si tratta di un rischio che potrebbe emergere in modo gradualmente crescente soprattutto nei prossimi due trimestri, dal momento che il mercato del lavoro tradizionalmente rappresenta un indicatore ritardato del ciclo macroeconomico. Di conseguenza, la Fed potrebbe operare un primo taglio dei tassi Fed Funds non prima di novembre o più realisticamente dicembre. Laddove i mercati dovessero però avvitarsi, allora il taglio conseguente dei Fed Funds suonerebbe come un provvedimento di estrema ratio che implicitamente recherebbe l’ammissione del fatto che i rischi di ridimensionamento della crescita sono già in atto.
Una precisione a questo punto è doverosa: il fenomeno del “repricing del rischio” avvenuto nei giorni scorsi era stato a più riprese auspicato dai banchieri centrali e probabilmente rimarrà in essere anche dopo il superamento dell’attuale crisi. Dal loro punto di vista l’importante però è che tutto si svolga senza generare panico e quindi senza arrivare a compromettere i fondamentali macroeconomici. Le forti iniezioni di liquidità degli ultimi giorni sono in buona misura finalizzate a tale obiettivo.
In altri termini dal punto di vista dei banchieri centrali il corretto funzionamento dei mercati (e di conseguenza il supporto per la continuazione di favorevoli condizioni di crescita) passa di tanto in tanto attraverso la pulizia di eccessi che per qualche operatore possono tradursi anche in sonore perdite. Se tutto andrà come le banche centrali auspicano, probabilmente a fine anno il forte livello di liquidità insieme alla sensazione di scampato pericolo che in genere consegue a fasi estremamente turbolente come quella degli ultimi giorni, potrebbe comportare il ritorno del sereno sui mercati finanziari per qualche mese.
Per verificare se anche questa volta (come ad esempio accadde nel 1998) si verificherà una situazione di tal tipo occorrerà attenderà almeno un mese circa, fino alla prossima riunione della Fed del 18 settembre. Nel frattempo, su un orizzonte temporale più lungo esteso anche al 2008, occorrerà altresì verificare se i fondamentali macro presentino o meno i primi sintomi della fine del lungo ciclo espansivo, principalmente negli Usa. Quanto accaduto nel settore immobiliare presenta potenzialmente i requisiti per comportare un impatto più marcato sulla crescita. Pertanto negli ultimi mesi dell’anno occorrerà ancor di più distinguere tra posizioni tattiche di un mese o due e quelle più strategiche in ottica 2008.
Infine uno sguardo sul mercato obbligazionario : gli eventi degli ultimi giorni si sono risolti in un movimento brusco soprattutto sul mercato monetario. I tassi a lungo termine sono anche essi scesi ma molto meno di quelli a breve. Le curve potrebbero mantenere una pendenza più accentuata rispetto a quella praticamente nulla cui ci avevano abituato da molto tempo. In area Euro il processo di irripidimento potrebbe comunque essere graduale visto che la Bce ancora non ha completato il ciclo rialzista. Nel caso Usa il processo di steepening potrebbe essere più accentuato rispetto all’area Euro ma in ogni caso meno violento rispetto all’era Greenspan: gli operatori stanno gradualmente familiarizzando con una gestione della politica monetaria caratterizzata da minori inversioni brusche in cambio di più lunghi periodi di stazionarietà dei tassi.
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