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Prostitute? No, sono schiave

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Roma (WSI) – Il negozio me lo indica con un cenno mentre ci passiamo davanti. Il quartiere è quello della Maddalena, decantato da De André. Dietro la vetrina, una ragazza nigeriana parla con una coetanea. “E’ una Maman” mi spiega “una sorta di maitresse. E questo negozio è stato aperto grazie alla collaborazione di un italiano cui poi hanno regalato una ragazza per riconoscenza.

In generale, tutti i negozi di parrucchiere o di cosmetici sono di copertura, servono a mascherare il traffico di ragazze“. Ad accompagnarmi in giro per Genova è Claudio Magnabosco, fondatore dell’associazione “Le ragazze di Benin City” e marito di Isoke Aikpitanyi, una ragazza nigeriana vittima di tratta, ridotta in coma quando nel Duemila decise di sottrarsi ai suoi aguzzini.

La raggiunsero in un parco a Torino quando era appena fuggita, la circondarono in tre e la picchiarono selvaggiamente finché una signora, attirata dalle urla, non chiamò la polizia. Isoke rimase in coma per tre giorni e le dovettero ricostruire l’arcata sopraccigliare.

L’operazione antitratta. Quello della tratta di esseri umani è un fenomeno di cui non si parla quasi più, come hanno denunciato anche i responsabili di Caritas Immigrazione durante il coordinamento della scorsa settimana: un traffico semiscomparso dalle cronache nostrane.

Eppure proprio a gennaio una maxi operazione ha portato a ben 55 arresti, smantellando una rete internazionale che dall’Africa portava migranti in Italia. In manette è finito addirittura un mediatore culturale dell’Ambasciata italiana a Nairobi. Roba da prima pagina. E invece niente. E anche il giro d’affari era di tutto rispetto: circa 25 milioni di euro e proveniva dalla contraffazione dei documenti, dai proventi dei viaggi e dal vero e proprio commercio di persone.

Questione di Pil. In Nigeria, mi spiega Claudio, la tratta di esseri umani copre una percentuale del Prodotto interno lordo nazionale ed è gestita ad altissimi livelli. “Persone vicine alle istituzioni, molto potenti, che non si sporcano direttamente le mani ma gestiscono nell’ombra”.

E Claudio racconta la vicenda di Isoke: quando la ragazza chiamò i genitori sperando che potessero aiutarla, il padre, un funzionario del Tribunale, dopo qualche giorno le fece sapere che non avrebbe potuto far nulla: le coperture erano troppo potenti. “Si parlava, all’epoca, della moglie del governatore dell’Edo State, ma non ci sono prove”.

La prostituzione per fasce orarie. Per tre giorni Claudio mi accompagna a conoscere i vicoli su cui si svolge il traffico delle ragazze dall’Africa e dal Sud America, mi indica gli appartamenti in cui si consumano gli appuntamenti, molti facilmente individuabili da una luce rossa appesa sopra l’ingresso. E non siamo ad Amsterdam ma in vicolo Untoria: “Molte ragazze” racconta “aspettano l’ora della pausa pranzo degli impiegati. La prostituzione, qui come in molte altre città, avviene per fasce orarie. Di mattina trovi le italiane, di pomeriggio le latinoamericane e la sera le nigeriane”. Qualche ragazza di origine africana, però, la si incrocia anche di giorno. Aspettano, all’angolo con vicolo dei Droghieri o in vico della Scienza. Un dedalo di viuzze in cui si consuma la prostituzione genovese. Il quartiere della Maddalena, proprio dietro via del Campo.

Le ragazze “girano”. “Spesso” prosegue Claudio “le ragazze vengono trasferite. Le Maman le distribuiscono in base alle città, alle esigenze e ai gusti dei clienti. Molte di loro arrivano da Londra e a seconda del miglior offerente vengono smistate in Spagna, Francia, Olanda o Italia. I trafficanti di recente hanno iniziato a farle passare dalla Svezia e dai Paesi scandinavi, dove c’è una percezione minore del problema della tratta di esseri umani”. E proprio a Londra, prosegue “Isoke racconta di una busta sostanziosa consegnata alle guardie di frontiera per far passare sette ragazze, evitando qualsiasi controllo”. Mentre camminiamo per le vie, una porta di un appartamento al pian terreno si apre, una ragazza lancia verso l’esterno uno sguardo circospetto, ci studia. L’interno è ordinato: un letto, luce soffusa, alcune candele. Passiamo oltre.

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