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(WSI) –
Nel 1998, quando Romano Prodi esaurì la sua missione europea di portare l’Italia nell’area dell’euro, bastò un occhiolino di Massimo D’Alema a Fausto Bertinotti (prontamente registrato e raccontato da questo giornale), e la fine dell’esecutivo fu decisa in poche settimane. Prodi aveva reso un servizio dei suoi al paese, commissariando l’economia e imponendo con un certo coraggio un regime di fiscalità che rese compatibile la liretta con il marco, dopodiché era riemersa la sua specialità: una forte tendenza impolitica. Tutti erano diventati scontenti della sua non-leadership, a destra e a sinistra, e il capo del partito più forte della sua coalizione non ebbe problemi a silurarlo, ciò che fu previsto al millimetro e ad horas, e a succedergli con elegante metodo sicario. Siamo alle solite, a nemmeno due anni dall’insediamento del secondo esecutivo presieduto dal professore, ma stavolta manca la professionalità omicida: sicario cercasi, e non si trova.
Il leader di Rifondazione, che sta pur comodo in una posizione di prestigio istituzionale, ha detto tutto il suo disamore per un governo che non esprime il “cambio”, e sulla questione della sicurezza dentro la maggioranza sono volati e volano i ceffoni. I centristi anomali come Di Pietro e Mastella sono clamorosamente e vistosamente alla ricerca di un’uscita di sicurezza, e non c’è polemica utile allo scopo che li veda estranei. Un pezzo determinante di centrismo anomalo, quello che fa capo a Dini, è palesemente fuori orbita, e discute e tratta intorno alla migliore rotta per lasciare definitivamente il pianeta governativo. Il Partito democratico ha abrogato non solo le code di cometa della Dc e del Pci, ma anche la base su cui Prodi ha eretto il suo governo, l’Unione, e della urgenza con cui la leadership di Veltroni si muove in direzione della crisi è stato detto tutto in privato, e molto è emerso in superficie.
L’opposizione, con l’attivismo di Fini e il ritorno all’ovile di Casini, per non parlare delle acrobazie funamboliche spericolatissime di Berlusconi, mostra di essere rimpannucciata e pronta. Tra le potenze sociali e finanziarie che contano, a parte un cinismo di prammatica incompatibile con il concetto stesso di stabilità politica, invano si cercherà fuori della stretta cerchia amicale di Prodi qualcuno disposto a scommettere sulla sua sopravvivenza o sulla sua ulteriore desiderabilità. Con Prodi al governo, più fischi per tutti, come ha provato sulla sua pelle il povero Epifani. La pistola puntata sul ministero indesiderabile è carica, ciascuno ha inserito nel caricatore il suo proiettile, in molti hanno paura che il ritardo nell’esecuzione del delitto comporti conseguenze sgradevoli, ma se il grilletto è alzato, ecco una situazione surreale, non si trova tuttavia un dito indice capace di premerlo.
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