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Private equity, la nuova tassazione dei fondi esteri in Italia

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Il disegno di Legge di Bilancio per il 2021 sembra mettere un punto alla questione della tassazione dei fondi esteri di private equity ma solo pro futuro

di Francesca Vercesi

I fondi di investimento italiani sono esenti da imposte sui redditi. I fondi di investimento esteri sono interamente soggetti a imposte in Italia. È un trattamento discriminatorio?
La risposta potrebbe sembrare scontata ma spesso in materia fiscale le risposte scontate sono spesso sbagliate. Ciò è particolarmente evidenti nel caso dei fondi di investimento europei che, anche in questo periodo, sono soggetti a più accertamenti da parte delle autorità fiscali italiane, soprattutto con riferimento alle plusvalenze generate dal realizzo dei loro investimenti in target italiane.
Il disegno di Legge di Bilancio per il 2021 sembra mettere un punto alla questione, ma solo pro futuro: si tratta di una vittoria di Pirro per il passato? Ne parliamo con Paolo Ludovici, fondatore e partner dello studio legale Ludovici Piccone & Partners. Da gennaio 2021 lo studio legale assumerà il nome Gatti Pavesi Bianchi Ludovici. Lo studio ha fatto sapere di avviarsi «verso un importante percorso di crescita e internazionalizzazione» combinando le practice di Gatti Pavesi Bianchi con il Tax e Private, in cui Ludovici Piccone & Partners gode di una riconosciuta esperienza.

Dott. Ludovici, parliamo del regime fiscale dei fondi di investimento italiani…
I fondi di investimento italiani sono considerati soggetti passivi d’imposta dal punto di vista fiscale italiano ma, sebbene potenzialmente soggetti all’imposta sul reddito delle società (“IRES”), ne sono di fatto esenti.
Tale trattamento si applica a tutti i fondi stabiliti in Italia, regolamentati dalla Direttiva Oicvm o rientranti nell’ambito di applicazione della Direttiva AIFM. Le distribuzioni effettuate da tali fondi sono soggette ad una ritenuta in uscita in Italia, a meno che gli investitori siano residenti in Stati white list oppure siano istituzionali qualificati istituiti in tali Stati.
Ciò implica che, se gli investitori si qualificano per l’esenzione, il reddito di fonte italiana e gli utili realizzati dai fondi italiani sono esenti da qualsiasi imposta in Italia.

Mentre i fondi di investimento esteri non godono di alcun regime fiscale speciale in Italia. Come sono considerati?
Come ordinari contribuenti non residenti. Ciò significa che i dividendi a loro distribuiti da società residenti in Italia sono soggetti all’ordinaria ritenuta alla fonte prevista per i dividendi e che le plusvalenze di fonte italiana realizzate sono soggette ad imposta in Italia a meno che non si riferiscano a partecipazioni non qualificate (i.e., partecipazioni che rappresentano non più del 20% dei diritti di voto o del 25% del capitale sociale; ovvero rispettivamente non più del 2% e del 5% nel caso di società quotate).

Ci spiega quale può essere l’impatto nel mondo del private equity?
La maggior parte dei fondi di private equity effettua i propri investimenti non direttamente ma attraverso special purpose vehicles (“SPV”), e ciò riguarda anche i fondi italiani, sebbene siano esenti da imposte. Nel caso dei fondi italiani, in particolare, l’uso di SPV potrebbe anche comportare un carico fiscale più elevato ma, evidentemente, tali veicoli hanno finalità extrafiscali rilevanti (e.g., governance, garanzie sui finanziamenti, garanzie in caso di exit).
Per quanto riguarda i fondi di investimento esteri, le verifiche fiscali tendono a considerare come interposte le SPV attraverso cui vengono effettuati gli investimenti italiani. Nella maggior parte dei casi, le SPV sono società residenti e gestite in uno Stato con il quale l’Italia ha sottoscritto una convenzione contro le doppie imposizioni, hanno diritto alla protezione prevista dai trattati contro le doppie imposizioni ma sono comunque considerate parte di uno schema abusivo strutturato dai fondi esteri al fine di eludere le imposte sul reddito di fonte italiana.
Il reddito o le plusvalenze formalmente realizzate dalle SPV sono imputate ai fondi stessi e, in alcuni casi, le persone che amministrato la relativa società di gestione sono potenzialmente passibili di sanzioni penali in Italia.
Sembra trattarsi di una “discriminazione al quadrato”: in primo luogo perché i fondi esteri sono assoggetti a imposte a cui i fondi italiani non sarebbero stati assoggettati; secondariamente, perché la costituzione di SPV da parte dei fondi esteri è considerata come un’operazione effettuata principalmente per ragioni fiscali e non per le ragioni extrafiscali che muovono i fondi italiani.

Il disegno di Legge di Bilancio per il 2021 sembra andare nella giusta direzione?
Sì, dato che chiarisce che i fondi esteri di private equity non dovrebbero pagare le imposte in Italia su dividendi o plusvalenze di fonte italiana. Tuttavia, quella che può apparire come una vera vittoria per il futuro rischia di essere una vittoria di Pirro per il passato, in quanto il disegno di Legge prevede l’applicabilità di tale regime esclusivamente per il futuro.
L’intento è chiaro: evitare un’ondata di richieste di rimborso, soprattutto da parte dei fondi Oicvm, ma questo significherebbe anche la continuazione delle verifiche sugli anni passati? Per quanto dovrebbe prevalere l’ottimismo, una prudente dose di realismo ci suggerisce di mantenere la prudenza.

E in relazione ai fondi extra-UE e ai fondi immobiliari?
Il disegno di Legge non sarebbe applicabile ai fondi non-UE che, in linea di principio, rimarrebbero soggetti a imposte in Italia nonostante il Trattato UE vieti ogni restrizione alla circolazione dei capitali anche con riferimento a investitori extra-UE. Allo stesso modo, il disegno di Legge non sarebbe applicabile a fondi immobiliari esteri, con riferimento ai quali, tuttavia, la discriminazione è tanto evidente quanto per gli altri fondi.