Wall Street sta finanziando il candidato democratico Barak Obama nella sua corsa alle Presidenza degli Stati Uniti, nonostante la preoccupazione che la sua amministrazione possa alzare le tasse e avere un approccio più severo su commercio e regolamentazione. I segnali che Wall Street legge puntano verso la vittoria dei Democratici nelle elezioni presidenziali e generali di novembre, con gli elettori che puniranno il Partito repubblicano in carica per il rallentamento dell’economia e la lunga guerra in Iraq. Il fatto che Obama abbia iniziato a rastrellare una quota crescente di denaro mentre la sua campagna spiccava il volo, fa pensare che gli investitori vogliano semplicemente sostenere il probabile vincitore.
Obama, senatore dell’Illinois, che ha conquistato martedì la candidatura democratica alle presidenziali con oltre i 2.188 delegati necessari per sconfiggere Hillary Clinton, senatrice di New York, ha ricevuto 7,9 milioni di dollari (5,1 milioni di euro) di finanziamenti dal mondo della finanza e delle banche, secondo i dati elaborati dal Center for Responsive Politics (Crp). Il suo avversario, il senatore dell’Arizona repubblicano John McCain, ha incassato poco meno di 4,2 milioni di dollari (2,7 milioni di euro), meno dei suoi colleghi repubblicani Rudolph Giuliani e Mitt Romney, che hanno abbandonato la corsa molto prima. Nel complesso i Democratici hanno raccolto il 57% dei finanziamenti erogati dai big della finanza. Se questa tendenza continuerà per tutto novembre, sarebbe la prima volta dal 1994 che in un’elezione presidenziale sono stati in grado di attrarre più soldi da Wall Street dei Repubblicani, secondo i dati del Crp. Sebbene il flusso di denaro quest’anno abbia decisamente cambiato direzione, il fatto che i Democratici siano riusciti a raccogliere più fondi dei Repubblicani può dire molto di più sulla natura di questa competizione che sulle alleanze di Wall Street.
Obama e Clinton hanno avuto più bisogno di soldi per finanziare la loro lunga battaglia per ottenere la nomination. Alla fine del 2007 la Clinton era al primo posto nella graduatoria dei finanziamenti da Wall Street con 6,3 milioni di dollari (4,1 milioni di euro), Obama era terzo dietro a Giuliani, secondo il Crp. McCain era sesto. Robert Boatright, professore della Clark University in Worchester (Massachusetts), che studia l’aspetto finanziario della campagna, ha detto che le cifre di McCain potrebbero essere distorte nel caso Wall Street stesse facendo delle donazioni al Comitato nazionale repubblicano piuttosto che alla sua campagna.
ROTTA DI COLLISIONE
Se investire non è altro che scommettere su quel che il futuro ha in serbo, e le elezioni presidenziali non fanno eccezione, i trader stanno dando al candidato democratico un buon margine. Intrade, sito internet con base a Dublino nel quale si comprano e vendono contratti legati a eventi del mondo reale, dà a Obama un robusto vantaggio su McCain. Anche questo contribuisce a spiegare perché il denaro di Wall Street si stia accumulando nelle sue casse, sebbene molte delle sue posizioni politiche non siano molto popolari tra i grandi investitori. La Security Industry and Financial Market Association (Sifma), che rappresenta più di 650 società finanziarie, banche e asset manager, si è espressa a favore di rendere permanente i tagli alle tasse introdotti mentre George W. Bush era in carica.
Obama ha promesso di eliminarli. La Sifma inoltre vorrebbe introdurre accordi per il libero scambio con paesi tra cui la Corea del Sud, cosa alla quale Obama si è opposto. Il commercio al momento è particolarmente importante per Wall Street dato che è il segmento più sano dell’economia statunitense. Le esportazioni hanno costituito la maggior parte della crescita dell’economia dello scorso trimestre e quasi il totale dei profitti aziondali. “Senza il commercio internazionale l’economia sarebbe in condizioni decisamente peggiori”, ha detto Joseph LaVorgna, economista capo della filiale Usa Deutsche Bank.
Obama e Clinton si sono confrontati su chi avvrebbe avuto posizioni più dure sul commercio mentre lottavano in stati con un’alta presenza manifatturiera, come Ohio e Pennsylvania, dove molti elettori incolpano la globalizzazione per la perdita del lavoro. Entrambi hanno detto che avrebbero rinegoziato il North American Free Trade Agreement (Nafta, Trattato per il libero commercio nel Nord America) per aumentare le tutele dei lavoratori. Secondo Andrew Busch, stratega del commercio estero globale per BMO Capital Markets a Chicago, la retorica della campagna elettorale potrebbe raffreddarsi ora che la lunga stagione delle primarie è finita. Riscrivere il Nafta “sarebbe un disastro”, ha detto Busch. “Non possiamo tornare dai nostri partner commerciali e dire che non ci piace questo o quell’aspetto dell’accordo. I nostri partner commerciali potrebbero avere da ridire su ciò che non gli piace”.