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Povero Franceschini (PD), travolto dal Madoff dei Parioli

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Per un po’ è stato all’indice dei militanti del suo stesso partito. Preso a sberle (metaforiche) dai blogger di sinistra insieme agli altri 58 colleghi del Pd era assente in aula quando la Camera votò la pregiudiziale di incostituzionalità sull’odiato scudo fiscale di Giulio Tremonti.

>>>>>>L’ELENCO CON TUTTI I NOMI

Pierdomenico Martino, deputato e portavoce di Dario Franceschini, ha cercato subito di recuperare. Il giorno del voto finale sullo scudo fiscale era in prima fila, ben visibile a urlare il suo no. E ha messo pure il carico da 90, fumando in solitaria un ordine del giorno che tuonava contro l’operazione che riportava in patria i capitali “detenuti illegalmente all’estero”, spiegando che “dietro lo scudo fiscale troveranno copertura non solo i reati tributari, ma una serie molto più ampia fino al riciclaggio e alla corruzione”.

Era il 30 settembre 2009. Nemmeno due mesi dopo, il 20 novembre, l’onorevole del Pd ha bussato alla porta di Gianfranco Lande, il Madoff dei Parioli. E si è fatto lo scudo fiscale, rimpatriando 338.208 euro e pagando 16.910 euro di imposta.

Gli investimenti dell’uomo-ombra di Franceschini erano a quella data così divisi: 83.257,39 euro nel Blue water fund, 19.468,27 euro nell’obbligazione Euxbb 0,05%, 41.282,29 euro nell’obbligazione Eim hl fund.

Povero Franceschini. Lui, che sullo scudo fiscale aveva impostato la campagna congressuale del Pd tuonando contro il governo che dava “uno schiaffo in faccia agli onesti volendo premiare i furbi”, non si era accorto di essere circondato di furbissimi da tre cotte. Perché non solo il suo portavoce predicava in un modo e razzolava assai diversamente.

Ma pure il numero due della sua lista da segretario del Pd, Francesco Saverio Garofani. Pizzicato ora nella lista dei clienti del Madoff dei Parioli, Garofani (deputato e per 8 anni direttore de il Popolo) ha messo subito le mani avanti: «Io? No. Ne sono uscito da tempo. Erano restati solo gli investimenti di mia moglie, e faremo causa».

E invece in quei conti sono finiti i risparmi di tutta la famiglia. Rigorosamente investiti all’estero e poi rimpatriati in Italia grazie al denigrato scudo fiscale di Tremonti, di cui hanno usufruito i fratelli del deputato Pd di rito franceschiniano Giovanna (305.576 euro) e Carlo (436.371 euro).

Anche loro avevano investito negli stessi fondi e obbligazioni in cui si era impegnato Martino. Schema identico quello usato dai gemelli del goal di Franceschini: assenti nel giorno in cui il parlamento avrebbe potuto bocciare lo scudo (che così è entrato in vigore), poi guerriglieri contro Tremonti solo nella certezza che la legge fosse andata in porto.

E infine beneficiari al momento buono insieme a tutta la famiglia. Con un dubbio: il Madoff avrà davvero versato le imposte dovuto sullo scudo o anche lì ha truffato i malcapitati? Perché se così fosse i deputati Pd rischiano ancora ulte­riori guai pronti ad aggiungersi alle non poche disavventure vissute.

Ai Parioli insomma è riandato in onda il film più classico della sini­stra italiana, che in pubblico dice una cosa e in privato fa l’esatto contrario. Come accadde nel 2003 con il condono fiscale di Giulio Tremonti. I Ds e il loro segretario Piero Fassino tuonarono in pub­blico. Poi lo usarono in privato. Perfino per tutte le società del par­tito.

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Non doveva essere proprio l’ultimo della lista, il portavoce di Franceschini Pierdomenico Martino. Sembra, infatti, che il fedelissimo del capogruppo Pd, “vittima” del Madoff dei Parioli, in realtà sponsorizzasse gli investimenti ad alto rendimento finiti in truffa da parecchio tempo, addirittura dagli anni Novanta.

Lo ha dichiarato ieri Mario Adinolfi, l’ex candidato alle primarie Pd uscito indenne dalla cricca pariolina di Lande, in alcune dichiarazioni rilasciate alla giornalista del “Messaggero”, Valentina Errante: “Erano gli anni Novanta, tra il ’94 e il ’95, credo. Ho tenuto i soldi ‘fermi’ per circa quattro anni e già mi sembrava tantissimo. Poi ho capito che l’aria non era buona. Andavo negli uffici, ma non c’era una targa, né accanto al portone, né sul citofono.

Dopo qualche anno ho avuto indietro il denaro e gli interessi. E’ andata molto bene. (…) Io allora ero giovane, avevo investito circa 50 milioni di lire. Lande me lo aveva presentato Pierdomenico Martino, l’ex democristiano (oggi deputato Pd ancora nell’elenco dei clienti di Lande ndr). Ma io ero diverso dagli altri. C’erano tanti nomi noti, ‘pariolini’ io non avevo le stesse origini e forse ero meno ingenuo”.

Un altro compagno di partito di Martino indirettamente lo chiama in causa. E’ l’ex presidente del primo municipio di Roma, Giuseppe Lobefaro, che ha perso 36mila euro. In un’intervista a “Repubblica Roma”, Gabriele Isman gli domanda: “Sull’elenco lei è indicato come amico del deputato Pd Martino Pierdomenico”. Risposta incerta: “No, non c’entrano altri politici. Torregiani me lo indicò un imprenditore, mi pare”. Intanto in Transatlantico è caccia al cognome della signora Garofani: si parla di altre centinaia di migliaia di euro di investimento…

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