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POST-CRACK: I GESTORI RIPARTONO DALL’HI-TECH

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Bear Stearns, Fannie e Freddie, Lehman Brothers, Aig. Istituzioni blasonate della finanza americana, fallite o fuse con altre banche. E sembra che non sia ancora finita. L’effetto panico sta travolgendo tutto e tutti, senza fare selezione. Nel mirino degli speculatori sono finite anche Morgan Stanley e Goldman Sachs. La bussola finanziaria si è rotta. La domanda dei piccoli risparmiatori ora è: cosa conviene fare? Nel breve periodo, la risposta è stata già fornita sabato scorso da «Plus24»: stare liquidi in attesa che passi la buriana. Qualcuno già ad agosto, in maniera provvidenziale, ha parcheggiato il denaro nei fondi comuni di liquidità. Un comportamento consigliato soprattutto a chi ha un profilo di rischio conservativo. In queste pagine si è tentato (vedi anche pagina a fianco) di dare ulteriori suggerimento in prospettiva di lungo periodo.

C’è però bisogno di nervi saldi. E c’è chi li tiene saldi per mestiere: sono i gestori delle grandi case di investimento che, hanno spiegato, stanno accumulando in maniera graduale posizioni sui mercati azionari. Portafogli di lungo periodo. A questi corsi di Borsa, affermano, è ovvio che si comincia ad accumulare titoli benché in maniera molto selettiva e graduale. Prima dicono però cosa è assolutamente da evitare: le azioni delle banche specializzate esclusivamente nell’investment banking, senza una rete commerciale che consenta di fare raccolta tra i clienti correntisti. Ciò vale pure per le società quotate, non finanziarie, troppo indebitate. Da qui il focus di molti analisti sulle tecnologie e in particolare sulle aziende software, tornate in auge dopo la bolla di fine anni 90.

Tecnologia e pochi debiti

Hi tech. Ma non solo. Pure consumi di base e tlc sono giudicati settori appetibili. «Consigliamo di sovrappesare tlc, consumi di base e tecnologia – sottolineano in un report del 15 settembre gli analisti Ubs –. Al contrario sottopesiamo energia, materie prime, consumi discrezionali e utilities». I cugini del Credit Suisse preferiscono in particolare il segmento software perché, tra le altre cose «la situazione debitoria netta di questo settore è molto più bassa rispetto al mercato»: fra le azioni tech indicano Sap, Microsoft e Symantec. Con gli analisti elvetici, concorda Leon Pedersen, responsabile investimenti dei fondi Nordea, il più grande gruppo finanziario scandinavo: «Sì, le tecnologie sono un buon investimento proprio per il loro basso indebitamento. In portafoglio abbiamo Electronic Arts e Nintendo. Sono invece scettico sulle tlc: tra loro ve ne sono alcune molto indebitate».

Credito al setaccio

Al bando le investment bank e grande attenzione invece sulle banche retail. Spiegano gli analisti di Credit Suisse in un report del 16 settembre: «A noi piacciono gli istituti poco indebitati con sedi in Paesi come Grecia, Italia, Germania e Singapore». Sulla stessa linea Pedersen: «Al momento preferiamo investire in banche ben patrimonializzate e con una solida rete commerciale». Il gestore scandinavo ora non ha titoli bancari italiani in portafoglio ma sta monitorando la Penisola per futuri investimenti.

Anche i grandi rischiano

«Lo slogan too big to fail (troppo grande per fallire, ndr) non funziona più – afferma netto Claudio Tosato, vicedirettore generale di Mps A.M. Sgr –. Federal Reserve e Tesoro Usa hanno deciso di salvare la compagnia Aig per evitare rischi sistemici. C’è dunque qualcuno che ha in mano il volante e decide caso per caso come comportarsi. In un’ottica di lungo periodo, è giusto in questo momento accumulare azioni, in maniera graduale». Sui tempi della crisi però nessuno si sbilancia. « Data la mancanza totale di visibilità nel mercato – dichiara Vanina Babbini, analista di Bnp Paribas A.M. , specializzata sugli Stati Uniti – è impossibile dire se si sia raggiunto il “fondo”. Pertanto crediamo che l’unica strategia possibile sia quella di bottom-up (selezione delle azioni in base all’approfondita conoscenza dei bilanci ndr), slegata dai movimenti del mercato».