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(WSI) – “Dimissioni” è una parola dura da pronunciare. Tanto più se all’enunciazione occorre far seguire i fatti. Soprattutto se a pronunciarla sono i parlamentari neo-eletti che devono scegliere se continuare a fare i consiglieri regionali, i parlamentari europei, gli assessori o consiglieri di amministrazione di qualche società.
Per molti di questi la riflessione è ancora in corso, anche se sono trascorsi quasi due mesi dalle elezioni. Il presidente del Senato ha fissato per venerdì prossimo la scadenza delle opzioni, ma si rischia ancora una volta di sciogliere solo i casi più eclatanti. Ovvero costringere alla scelta tra una carica elettiva e l’altra. Restano fuori tutte la altre incompatibilità, pur previste dalla Costituzione (art.122), dalle leggi e dai regolamenti, relative a cariche in enti e società che gestiscono servizi per conto della pubblica amministrazione o che ricevano contributi statali e coloro che siedono in consigli di amministrazioni di spa. In questo caso il numero degli “incompatibili” rischia di crescere a dismisura e in molti casi è difficile che la giunta delle elezioni venga messa a conoscenza dei fatti, visto che ci si basa su una semplice autodichiarazione che lo stesso parlamentare sottoscrive.
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Nella pur breve scorsa legislatura non sono pochi coloro che sono riusciti a mantenersi in equilibrio tra due poltrone. La legislatura nacque precaria e così a qualcuno è sembrato normale chiudere un occhio. Meno scontato sarebbe se ciò si verificasse ora, ma la fatica che stanno facendo i due presidenti delle camere, dimostra che nulla si può dare per scontato.
Al Senato sono recentissime le dimissioni della leghista Rosy Mauro e del senatore dipietrista Mascitelli dai rispettivi consigli regionali di Lombardia e Abruzzo, mentre alla Camera il sindaco di Roma Gianni Alemanno risulta componente la XIV commissione (politiche comunitarie).
Resta poi il nodo delle dimissioni da parlamentari chieste da Silvio Berlusconi a ministri e sottosegretari subito dopo lo scivolone in aula di un paio di settimane fa. In questo caso si tratta di “moral suasion” e non di un preciso obbligo. Una “moral suasion” che ripete quella che a suo tempo fece Romano Prodi, visto il risicatissimo margine che la precedente maggioranza aveva al Senato. In questo caso il Cavaliere rischia, almeno sino al prossimo scivolone, di avere meno successo del suo predecessore. Infatti nessuno dei ministri e dei sottosegretari ha dato seguito alla richiesta del premier. Ne è valso il pressing dei coordinatori regionali di partito. Ne sa qualcosa Niccolò Ghedini, parlamentare e coordinatore del Veneto di Fi, che ha incassato da Sacconi, Brunetta e Casellati un secco “no”.
Due i motivi che spingono ministri e sottosegretari a resistere: il primo riguarda la scarsa voglia di dar spazio sul territorio ad altri esponenti di partito. Il secondo è molto più concreto e attiene alle conseguenze per la perdita dell’immunità parlamentare.