Scusi, vuole un posto di ministro? “No, grazie. E se insiste, mi offendo”. La dichiarazione elegantemente tattica di Marco Follini, servita a defilare il partito neodemocristiano dalla cosiddetta verifica, è stata accolta dal plauso degli osservanti, e si immagina che alla lunga possa anche rendere elettoralmente.
Così anche le pressioni di Alleanza nazionale sono sempre seguite, con spirito più o meno pettegolo, da un codazzo di commenti: ma questi vogliono posti. E loro sono tenuti a smentire ogni volta che escono dalla tana del lupo tentatore.
Chiunque voglia raggiungere una posizione di potere, nel nostro paese così ipocrita e fintamente perbene, deve negare che quello sia il suo scopo. Il potere deve cadere come una manna su corpi privi di materia, enti spirituali individuali devoti alla politica come servizio.
Per non parlare dei soldi, che continuano a essere gli illustri scomparsi del gioco politico. Si rimprovera al riccone di averli, e di spenderli minacciando la democrazia, ma non si impone la regola di procurarseli, il fund raising come norma di una democrazia matura e misura del consenso: sono americanate.
Insomma: poveri e disinteressati. Così amano pensarsi e rappresentarsi gli statisti di sinistra e di destra, una favola perbenista trasversale come poche, con la sola eccezione del riccone e del suo stile flamboyant. Invece la prima riforma della cultura e mentalità corrente dovrebbe consistere nel normalizzare la ovvia e indispensabile relazione del politico con il potere.
Aspirare a un posto di comando, volerlo fortissimamente, è il primo passo decisivo, e rassicurante, attraverso il quale un uomo politico mostra in trasparenza il suo percorso. Candidarsi, ambire, faticare per essere lì dove si decide: sono i vagiti della democrazia elettorale e di un sistema di governo liberale.
Le visioni, i programmi, e perfino quella pacchiana moralizzazione delle idee che sono i “valori”, è tutta roba che può coesistere perfettamente con la spinta di potere tipica di ogni buona politica. La verifica ha origine dal fatto che, di fronte a note difficoltà elettorali e di partito, Udc e An hanno chiesto un serio riequilibrio di potere.
Berlusconi, Bossi e Tremonti hanno un posto visibile e influente nel governo, con il loro corteggio di ministri, mentre i due partiti alleati risultano squilibrati e in svantaggio. Punto. In condizioni politiche normali si organizza uno scambio di metà legislatura, con o senza la crisi di governo in mezzo, e si stipula un compromesso (di potere) per aumentare il vantaggio complessivo della macchina di comando.
E così si governa un paese, si dà sostanza e moto alle idee, ai programmi, alle cose da fare. Ma non siamo in condizioni normali, ci balocchiamo con il disinteresse e così la gnagnera interessata durerà ancora a lungo. Peccato.
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