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POLITICA: SONDAGGI, 4 REGIONI IN BILICO

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(WSI) – Tra circa due settimane i cittadini di tredici regioni saranno chiamati alle urne per eleggere i nuovi consigli regionali e i rispettivi presidenti. Com’è stato sottolineato da tutti gli osservatori e commentatori, si tratta di consultazioni che, oltre all’ovvia importanza rivestita sul piano locale (dato che le scelte degli elettori orienteranno le politiche sugli ambiti di grande rilievo di competenza delle regioni, quali, in primo luogo, la sanità) assumono una notevole rilevanza anche sul piano degli equilibri e dei rapporti tra le forze politiche a livello nazionale. In buona misura, il voto del 28-29 marzo servirà ad appurare gli attuali orientamenti della popolazione nei confronti dei diversi partiti e potrà dunque dare anche un rilevante segnale sul gradimento o meno dell’esecutivo oggi guidato da Berlusconi.

Nessuno, naturalmente, può dire sin d’ora con precisione quale sarà l’esito della consultazione. In primo luogo, perché molti dichiarano di essere ancora indecisi. I risultati di un sondaggio condotto mercoledì scorso nelle tredici regioni interessate al voto mostrano come poco meno di un cittadino su cinque (19%), pur confermando l’intenzione di recarsi a votare, dichiari al tempo stesso di non avere ancora deciso per chi. È utile ricordare al riguardo che, negli ultimi anni, sempre più spesso, gli elettori effettuano la loro scelta nei giorni immediatamente precedenti il voto. Ad esempio, in occasione delle ultime elezioni europee, ben il 13% ha affermato di avere scelto il giorno stesso del voto e un altro 13% nel corso dell’ultima settimana. I quindici giorni ancora residui di campagna elettorale potrebbero dunque indirizzare, in modo o nell’altro, le scelte degli indecisi e, anche, modificare alcuni degli orientamenti già assunti da chi ha maturato la propria opzione di voto. Anche perché la comunicazione dei partiti, che finora è iniziata in sordina o, meglio, si è concentrata più sulle vertenze procedurali che sui temi e sui problemi di ciascuna regione, affronterà auspicabilmente questi ultimi nei prossimi giorni.

Tuttavia, pur considerando queste necessarie cautele, per molte regioni la previsione su chi vincerà lo scranno della presidenza è relativamente facile. Appare scontato, ad esempio, che Lombardia, Veneto e Calabria vedano la prevalenza del candidato di centrodestra. Così come, dall’altra parte, sembra pressoché certo che Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Puglia e Basilicata attribuiscano la vittoria al candidato del centrosinistra. In diversi altri contesti, invece, la situazione mostra elementi di incertezza. In Piemonte, Mercedes Bresso stacca in questo momento di pochissimo il suo rivale Cota: ma la differenza si aggira attorno ad un solo punto percentuale, ciò che rende impossibile una previsione fondata. In Liguria la distanza tra i due candidati è un po’ più consistente, ma sempre esigua: l’esponente del centrosinistra Burlando appare infatti, secondo tutti i sondaggi, in vantaggio di circa due punti. Nel Lazio, la situazione è ancora più contraddittoria. Secondo le rilevazioni più recenti, la radicale Emma Bonino supera la sua rivale Renata Polverini. Ma, anche in questo caso, la differenza è molto modesta.

La campagna della Polverini — che fino a qualche settimana fa risultava ottenere più consensi— è stata fortemente scombussolata dal pasticcio della presentazione delle liste. In particolare, la mancata presenza del simbolo Pdl le reca un danno potenzialmente grave: nell’insieme della regione, infatti, i consensi per le forze del centrodestra erano apparsi sin qui numericamente superiori a quelli attribuibili al centrosinistra, ciò che avrebbe facilitato non poco la performance della Polverini. L’assenza di una lista im portante come quella del Pdl mina fortemente questo vantaggio. In Campania, infine, Caldoro, del centrodestra appariva sin qui il vincitore. Ma un ultimo studio (Ipsos) suggerisce una inversione del pronostico e indica come probabile la vittoria del candidato del centrosinistra, De Luca. Nell’insieme, in occasione delle consultazioni regionali precedenti, di cinque anni fa, il centrosinistra riuscì ad aggiudicarsi ben undici regioni, sulle tredici chiamate al voto. Questa volta, potrebbe conquistarne da sette a nove. Naturalmente, un esito siffatto potrebbe essere interpretato in molti modi. Da un verso, potrebbe essere letto come un’avanzata del centrodestra dato che, con tutta probabilità, quest’ultimo «strapperà» qualche regione ai suoi avversari. Dall’altro, sarà certamente sottolineato che il centrosinistra mantiene — ciò che appare assai probabile—la maggioranza delle amministrazioni chiamate al voto.

In realtà, l’analisi dei risultati basata sul numero di regioni conquistate— che pure è quella più comunemente adottata—appare insufficiente. Alcune regioni sono infatti, come si sa, assai più importanti—e popolose — di altre. E, di conseguenza, «contano» in misura molto maggiore in termini di voti. Per questo, risulta più efficace ed indicativo il computo dei consensi complessivamente ottenuti da ciascun partito nell’insieme delle tredici regioni chiamate alle urne (anche se non si tratterà di un conteggio semplice, data la presenza di numerose formazioni locali e liste «del Presidente»). Ciò permetterà di misurare il peso reale delle singole forze politiche e stabilire se — e in che misura — i partiti di maggioranza (e il Pdl in particolare) hanno mantenuto il consenso della popolazione o se, viceversa, come suggeriscono i sondaggi pubblicati di recente dai vari istituti, essi hanno subito un calo più o meno rilevante.

Al riguardo, gli ultimi avvenimenti e, in particolare, la vicenda della presentazione delle liste, sembrano avere influito sugli orientamenti della popolazione. Secondo un recente sondaggio, più del 17% degli elettori, dichiara di avere mutato la propria decisione di voto a seguito del «pasticcio» delle liste. Ovviamente, ciò non significa che poi tutti costoro si comporteranno come preannunciato, ma costituisce un segnale del disagio presente nel Paese. Che, come si è detto, è già stato rilevato dalle più recenti ricerche sulle intenzioni di voto. Ad oggi — ma le stime sono riferite all’insieme del paese e non alle sole regioni in cui si vota—il Pdl risulta infatti indebolito rispetto ai valori rilevati un mese fa, dato che gli vengono attribuiti grossomodo due punti in meno. Se i risultati di questi sondaggi venissero confermati dall’esito delle elezioni — ma bisogna ricordare nuovamente che mancano ben quindici giorni di campagna elettorale che possono modificare anche sostanzialmente la situazione—il partito di Berlusconi otterrebbe un risultato inferiore alle ultime politiche, anche se più elevato delle europee dell’anno scorso.

La Lega, viceversa, anche grazie alla sua efficace comunicazione, risulta «tenere» bene. Sull’altro fronte, emerge dalle ricerche un qualche rafforzamento del Pd, di entità però inferiore al decremento del Pdl, che porterebbe comunque la forza guidata da Bersani a riprendersi dal triste esito delle europee (ma non a raggiungere il risultato delle politiche). Naturalmente, c’è stato solo un minimo trapasso diretto di elettori dall’uno all’altro dei due partiti maggiori: si rilevano invece complessi flussi tra svariate forze politiche e, specialmente, da e verso l’astensione. Quest’ultima rappresenta in questo momento il vero interrogativo delle prossime consultazioni regionali. Oggi, la delusione e il rigetto verso la politica espresso da un numero crescente di cittadini a seguito degli avvenimenti degli ultimi tre mesi suggeriscono la possibilità di una crescita della diserzione dalle urne. Dichiara di essere almeno in qualche misura orientato all’astensione il 18% degli intervistati, ma è probabile che la diserzione dalle urne sia ancora maggiore. Anche se il clima prevedibilmente infuocato degli ultimi giorni può spingere un segmento di elettorato a recarsi al voto (in certi casi «turandosi il naso ») e a mutare così il quadro attualmente delineato dei rapporti di forza tra i partiti e, in certi casi, quello relativo ai governatori delle singole regioni.

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