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(WSI) – La Fiat viaggia verso un grande spezzatino sul modello Alitalia? Da una parte le attività in buona salute destinate a svilupparsi e dall’altra la parte malata che, sostanzialmente, coincide con la divisione auto. Un progetto certamente di lungo periodo ma la Borsa comincia a rifletterci.
Ieri Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto, ha incontrato il nuovo ministro delle Attività Produttive, Claudio Scajola. Dal vertice non sono uscite novità. Semplicemente il fatto che il ministro e il capo della più importante azienda italiana finora non si conosceva n o. In realtà l’ipotesi dello spezzatino prende corpo da quello che sta accadendo in una provincia finanziariamente marginale dell’impero come il Corriere ma politicamente caldissima.
Le azioni della Rcs, holding che controlla il primo giornale italiano sono cresciute ancora del 4,5% raggiungendo la soglia di 5,7 euro. Un prezzo che non ha più radici nella realtà. È solo fumo che nasconde un arrosto che potrebbe avere la seguente consistenza: le banche, una volta, entrate nella Fiat cominceranno a far pulizia. Per prima cosa chiederanno l’uscita delle partecipazioni non direttamente legate all’auto, ai camion e ai trattori. Vuol dire la partecipazione in Mediobanca, nel Corriere e alla Stampa. Gli eredi Agnelli, da quanto risulta, cercheranno di portarseli a casa impegnando sia le risorse che hanno in cassa sia quelle derivanti da altre cessioni come, per esempio, la Juve. Tuttavia non essendo tempo di regali le partecipazioni dovranno essere pagate al loro giusto valore.
Da qui la possibile chiave di lettura del boom di Rcs. Mani forti che spingono in alto il titolo con un doppio obiettivo: costringere la famiglia a mobilitare risorse importanti per portarsi a casa il Corriere irrobustendo la Fiat. In alternativa costringere la dinastia ad abbandonare la partita lasciando il campo gli altri soci. Difficile, in questo momento, stabilire l’attendibilità delle voci. In ogni caso la rottura di via Solferino dalla Fiat sarebbe solo il primo passo di un’operazione a raggio più largo. Vale a dire la separazione delle attività e la nascita di due Fiat. Un po’ come già successo all’Alitalia.
Da una parte la componente forte del gruppo che va bene e fa soldi: vale a dire Iveco ( camion e bus), Cnh ( trattori, scavatrici, ecc.) e altre quote minori insieme a gran parte dei debiti. Nella Fiat 2 dovrebbero finire l’auto, le attività della componentistica e una buona parte della liquidità ( circa a 6 miliardi di euro) di cui il gruppo dispone. La ragione dello spezzatone non è tanto industriale quanto finanziaria. Il gruppo Fiat, in questo momento, ha un debito lordo di circa 25 miliardi di euro e netto di 10. Sono cifre gigantesche che, per essere ripianate, hanno bisogno di ciclopici immissioni di capitali freschi.
È chiaro che, senza un forte segno di cambiamento strutturale, non ci sarà mai nessuno disposto a scommettere un centesimo. Da qui la separazione: nella Fiat 1 andrebbe la polpa del gruppo e gran parte dei debiti. Questa società non avrebbe grandi difficoltà a trovare investitori pronti a rischiare cifre importanti sotto forma di aumento di c ap i t a l e . Per Fiat 2, che sostanzialmente avrebbe i confini della divisione auto, una situazione opposta: attività industrialmente fragili ma spalle finanziarie forti. Almeno quanto serve per concludere il progetto di ristrutturazione. Magari chiudendo gli stabilimenti ormai fuori mercato come, purtroppo, Termini e Mirafiori, e puntando su quelli che stanno a est in particolare in Polonia) In Italia, probabilmente, potrebbe restare solo la fabbrica del famoso polo del lusso destinato ad accogliere i marchi Alfa e Maserati. Le Fiat, in questa ottica, verranno fabbricate altrove. Magari in India o in Cina per servire i grandi mercati emergenti.
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