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(WSI) – L’Opec ha abbandonato la tradizionale banda di oscillazione del prezzo del petrolio, fra un minimo e un massimo, con cui usava regolare la propria quantità di greggio offerta al mercato: l’abbassava quando la soglia minima del prezzo veniva varcata e l’aumentava quando, invece, le quotazioni internazionali andavano oltre il tetto massimo. Il livello minimo e quello massimo della banda ora abrogata ( 22 e 28 dollari il barile) in effetti era diventata per molti versi irreale. Ma l’Opec avrebbe potuto modificarla, come aveva ripetutamente annunciato, per aggiornarla alla nuova realtà di mercato. Ad esempio si era ventilato un tetto di 35 dollari, con un minimo di 32. Ma ora, inaspettatamente, l’Opec tace sulla possibile futura banda di regolazione dei prezzi. Perché?
La spiegazione che viene data è di tipo rialzista: la domanda asiatica è ormai ampia e così in crescita da esercitare una pressione permanente sul prezzo; la moneta americana invece è debole nel cambio con le altre valute importanti e ciò fornisce ulteriori ragioni per tenere alto il prezzo in dollari. Il presidente dell’Opec è Sheikh Ahand al-Fahd al-Sabah, ministro del petrolio del Kuwait, ma il principale paese produttore dell’Opec è l’Arabia Saudita. Bisogna guardare a Riad per capire che cosa significa la mossa di oggi.
Questo paese appare orientato a una strategia di rialzo spontaneo del greggio, anziché d’intervento per frenare le punte eccessive, che si possono determinare, a causa di perturbazioni politiche o di fattori climatici particolari (come i cicloni che di tanto in tanto devastano il Centro America e gli Stati Uniti) o variazioni di domanda. L’Opec controlla il cinquanta per cento dell’export mondiale, quindi una sua azione stabilizzatrice, benché non risolutiva, potrebbe essere efficace.
Ma l’Arabia Saudita ha bisogno di molto denaro sia per le sue finanze pubbliche che non vanno troppo bene, sia per l’incremento delle ricerche petrolifere, che desidera autofinanziare, ricorrendo il meno possibile a interventi delle multinazionali. In questo scenario, la diversificazione energetica, per l’Europa, diventa sempre più urgente. E ciò vale per l’Italia in particolare.
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