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PETROLIO: PERICOLO PREZZI, IL BARILE A $250?

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*Peter Cohan e’ il presidente di Peter S. Cohan & Associates. Insegna management al Babson College. Il suo ultimo libro pubblicato, l’ottavo, si intitola “You Can’t Order Change: Lessons from Jim McNerney’s Turnaround at Boeing”. Non ha alcun interesse finanziario nei titoli menzionati nell’articolo.
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Nel caso vi stiate chiedendo perche’ i tassi di interesse sono balzati di pari passo con il prezzo della benzina, la risposta e’ semplice: la paura dell’inflazione. Gli Stati Uniti hanno iniettato talmente tanto denaro nell’economia, compresi $12800 miliardi nelle casse delle banche e di altre societa’ nell’ambito del piano di salvataggio del governo, mentre al contempo la Fed ha tagliato i tassi guida praticamente allo zero. E’ normale che la gente abbia iniziato a farsi domande sulla forza del dollaro.

Questa paura crea un’opportunita’ di guadagno nei mercati finanziari, la stessa che ha spinto le quotazioni del petrolio a toccare quota $147 dollari al barile a luglio dell’anno scorso. Ora l’amministratore delegato di Gazprom ha previsto che i prezzi saliranno sino a $250 — piu’ di tre volte del valore attuale di circa $71. Questa e’ la previsione della quale i trader stanno approfittando. Come puo’ verificarsi un evento del genere? Semplice. I trader scommmetto sul calo del dollaro e sul balzo delle quotazioni del greggiol. Lo fanno speculando al ribasso sul dollaro e comprando allo stesso tempo contratti sull’oro nero.

Nonostante le previsioni per la domanda di greggio siano state riviste al ribasso del 3% per il 2009, dall’inizio dell’anno $3.8 miliardi sono stati investiti nei futures sull’oro nero e sul gas. Peggio si mettera’ per i consumatori e piu’ i trader cercheranno di sfruttare la situazione a loro vantaggio. Come se non bastasse, i rendimenti del benchmark decennale del Tesoro sono schizzati a quasi il 4% dal 2.5% di marzo.

Da quando i tassi sono utilizzati per stabilire il costo del denaro per i mutui e altri prestiti, il balzo dei rendimenti ha sempre finito per attenuare inevitabilmente le speranze di una ripresa economica. Se i rendimenti stanno salendo, in parte e’ dovuto anche alle scommesse contro il dollaro dei trader.

Lo scenario attuale crea un dilemma per la Fed, che dall’inizio della crisi ha gia’ allargato il suo bilancio da $800 miliardi a $2 mila miliardi. Se la Fed compra altri asset tossici, finira’ per complicare la situazione, iniettando altri dollari nel mercato. Cio’ alimentera’ infatti ulteriormente le paure inflative, non facendo altro che aiutare i trader sopra menzionati.

Si rivelera’ una mossa azzeccata, postitiva per la ripresa dell’economia, solo se riuscira’ ad allentare le pressioni sui rendimenti, spingendoli sotto il range del 2.5%. Se invece succedera’ l’esatto contrario, il nostro sara’ il peggiore dei mondi possibile. Le paure dell’inflazione cresceranno ancora, alimentando i tassi di interesse e i prezzi reali per i consumatori, compromettendo la ripresa economica.

In uno scenario di questo tipo, ad arricchirsi saranno solo i trader.

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