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PETROLIO: NEL 2005 SALIRA’ A $75 AL BARILE, POI A $90

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Nel prossimo inverno il prezzo del petrolio salirà fino a 75 dollari a barile, e nel 2006 aumenterà di altri 10-15 dollari. Ne è convinto Jonathan Stern, direttore del “Gas research, Oxford Institute for energy studies” di Londra, intervenuto alla terza Conferenza internazionale dell’Aspen Italia a Firenze. Secondo Stern, anche per far calare la domanda di petrolio nel mondo, con “l’economia cinese che si sta surriscaldando”, ci vorrà tempo: “molti credono che calerà – ha concluso – ma ci vorrà tempo”.

Il prezzo del petrolio non dipende poi così tanto dal terrore

di Maurizio Stefanini

Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Il petrolio a 84,29 dollari al barile.
Non è un incubo del futuro se continueranno
gli attentati terroristici di al Qaida: è il valore
cui, traducendo i 35,65 dollari dell’epoca in
valori reali del 2005, arrivò il prezzo del greggio
nel giugno 1982, nel periodo più grave del
cosiddetto “secondo shock petrolifero”, quello
innescato dalla Rivoluzione iraniana di
Khomeini.

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Nel momento più grave del primo
shock, quello seguito alla Guerra del Kippur
del 1973, si stava invece in termini reali ai
45,71 dollari del 2005, anche se in termini dell’epoca
la cifra era di 11,58. Ma lì se l’impatto
non era stato il maggiore in termini assoluti,
lo era però stato in termini relativi, con la decisione
del vertice dell’Opec del 16-17 ottobre
del 2003 a Kuwait City, di quadruplicare il costo
di un barile, da 2,5 a 10 dollari. Finì per
un po’ con la gente che in tutta Europa era costretta
a farsi le gite domenicali in bicicletta.

Anche adesso ci troviamo in una situazione
di evidente shock petrolifero: dai 27,6 dollari
della mattina dell’11 settembre, a un’epoca
in cui gli economisti giudicavano “equilibrato”
un prezzo di 25 dollari, ai 58,49 della
mattina dell’attentato di Londra. Eppure, siamo
sotto al 1982 in termini assoluti, e in termini
relativi a un semplice raddoppio in
quattro anni contro il quadruplicarsi in un
giorno del 1973. Alcuni dati dimostrano che,
malgrado la guerra al terrorismo, in corso la
situazione economica non sia affatto così negativa
come allora, lo dimostrano altri dati. In
particolare, se consideriamo le serie di dati
economici disponibili dal 1970 a oggi, i bienni
1974-75 e 1981-82 sono stati gli unici in cui
il volume del commercio mondiale è diminuito,
e quello del 1981-82 l’unico in cui si ridusse
perfino il pil mondiale. Come ricorda Ernesto
Felli, professore di Economia politica
all’università di Roma3, “un effetto dello
shock del 1973 fu la trasformazione della tecnologia
dell’occidente nel senso del risparmio
e della diversificazione”.

Mentre nel 1973
oltre il 50 per cento dell’approvvigionamento
energetico mondiale era rappresentato dal
greggio, oggi l’energia elettrica è prodotta in
Francia per il 76 per cento dall’energia nucleare;
in Germania al 52 per cento dal carbone
e al 32 per cento dal nucleare; nel Regno
Unito al 39 per cento dal gas, al 28 per cento
dal carbone e al 26 per cento dal nucleare;
nella stessa Italia, pur con uno zero nucleare
da referendum, c’è un 34 per cento di gas e un
20 per cento da energie rinnovabili. Risultato:
nel 1974-75 la perdita dei paesi industrializzati
fu subito compensata dai guadagni dei
paesi esportatori; nel 1981-82 invece gli adattamenti
che c’erano stati nella struttura industriale
dell’occidente permisero un aggiustamento
più rapido. Così gli esportatori non poterono
profittarne al punto da far crescere il
pil mondiale, e subito seguì il ribasso dei
prezzi che favorì il boom della seconda metà
degli anni 80: già nel gennaio 1986 il prezzo
del Brent stava infatti sotto i 20 dollari, e nell’estate
era caduto sotto i 10.

Dal 2001 al 2005 sia il pil mondiale che il
commercio mondiale hanno continuato invece
a crescere. D’altra parte, l’attentato delle
Torri Gemelle non porta a uno shock dei
prezzi del greggio: tra 10, 11 e 12 settembre
2001 il barile di Brent sta a 27,6, 27,6 e 288,87,
e se il 14 sale a 29,55 poi il 24 è già crollato a
21,57, e a novembre è addirittura calato sotto
i 20 dollari, malgrado tutto l’allarmismo sulla
guerra in Afghanistan. E’ solo a gennaio
che oltrepassa i 25 e nel dicembre 2002 che
supera i 30, per però scendervi sotto a marzo,
e risuperarli ad agosto. Ma non è che nel giugno
2004 che oltrepassa i 40, e a settembre
che supera i 50, per poi precipitare fino a 38
a dicembre. L’exploit è dunque del 2005:
50,01 il 27 gennaio, 55,62 il 28 febbraio, 56,71
il 17 marzo, fino al 58,08 del 7 luglio. Effetto
degli attentati in Iraq? “L’Iraq sotto embargo
non contribuiva affatto alla produzione, né
con la guerra è rientrato nel giro – osserva
Giovanni Tria, professore di economia politica
a Tor Vergata – Piuttosto, bisogna considerare
che il petrolio si compra in dollari. E, rispetto
al dollaro, l’euro si è rivalutato del 70
per cento in un anno, con un apprezzamento
che non ha precedenti nella storia economica.

Colpa del consenso di Bruxelles, che ha
impedito all’Europa di utilizzare gli strumenti
della macroeconomia classica, proprio
mentre gli Stati Uniti vi ricorrevano a tutto
spiano per affrontare la congiuntura negativa”.
Una congiuntura negativa che, prima ancora
che dagli attentati, era stata innescata
dall’esaurirsi della bolla speculativa sulla
New Economy. Rispetto al livello di 11337,92,
che aveva raggiunto il 21 maggio 2001, infatti,
l’indice Dow Jones era già sceso sotto quota 10.000 il 30 agosto 2001, e anzi tornò a superarla
nel dicembre successivo, tre mesi dopo
gli attentati. L’evidenza attuale è piuttosto
quella di una crisi che non colpisce tanto gli
Usa in guerra ma l’Europa pacifista. “Per ragioni
che in molti economisti riteniamo strutturali”,
puntualizza Tria. Un altro elemento
che tira su contemporaneamente sia i prezzi
del petrolio che i volumi di commercio e pil
mondiale è la crescita delle economie cinese
e indiana.

Rispetto a questa tendenza generale,
le bombe di al Qaida non sono che la
ciliegina sulla torta. “Ma i prezzi del petrolio
erano già in aumento prima dell’11 settembre
2001”, conferma Felli. “D’altra parte”, fa
notare Tria, “tutto questo aumento dei prezzi
del greggio non ha avuto sulla società europea
un effetto lontanamente paragonabile
a quello che si ebbe dopo la Guerra del Kippur”.
Le domeniche a piedi le abbiamo avute
lo stesso, per ragioni di inquinamento.
“Segno che la dipendenza dal petrolio si sta
riducendo sempre più”.

Tra l’altro, proprio il primo luglio l’era dell’auto
privata a idrogeno è iniziata ufficialmente,
con l’annuncio della cessione in leasing
di una Honda FCX ai coniugi Jon e
Sandy Spallino di Ridondo Beach, California.
E già nel 1999 è partito in Islanda il piano per
realizzare la prima società “no oil” del mondo
entro il 2030. Foklore o tendenza ormai irreversibile?
“Tendenza irreversibile, anche
se a tempi lunghi”, concordano Tria e Felli.
“Ma proprio perché il processo è avviato”, ritiene
Felli, “sarebbe il caso che l’Italia ripensi
un po’ all’energia nucleare, ora che sono
state messe a punto tecnologie più sicure”.

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