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PER SUPERARE LA FINE DEL MONDO, TANTO CASH, FINO A GIUGNO

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(WSI) – Non è la fine del mondo. Ma ci assomiglia. La ripresa? Prima o poi verrà. E il ’29 ha più il sapore dello spauracchio che non di una nemesi inevitabile. Ma, dopo un 2009 a basso regime, meglio non farsi illusioni sul 2010. Morale? Fate come me, suggerisce Giovanni Tamburi: tanto cash. Anzi, tutto cash almeno fino a giugno. Poi si vedrà. Anche se le lusinghe già non mancano: sia per il più parsimonioso gestore di private equity italiano, da sempre nemico della leva, sia per gli investitori, allettati da rapporti fondamentali (basta guardare i valori di libro) che hanno il sapore del saldo. Ma c’è tempo, spiega il più coerente allievo italiano di Warren Buffett cui, tra l’altro, Carlo De Benedetti, rinunciando a tutti i suoi incarichi operativi, ha appena affidato l’onere di guidare le strategie di M&C.

Un fantasma si aggira nei mercati: il debito. Dottor Tamburi, come ne veniamo fuori?
Prendiamola alla lontana. Esistono due scuole di pensiero. Una, di cui fa parte ad esempio Alessandro Fugnoli, sostiene che non ci sarà inflazione. Ed è vero che finora la Fed e il Tesoro hanno fatto affluire capitali a fronte di asset accettati per buoni. Un’altra scuola, però, sostiene che l’azione delle banche centrali, prima o poi, non potrà che tradursi in un boom inflattivo.

Lei che ne pensa?
Io mi auguro che si scateni l’inflazione: è il modo migliore, se non l’unico, perché il debitore possa far fronte ai suoi impegni.


Quindi, a lungo termine, le azioni, in quanto beni reali, dovrebbero dare soddisfazioni?
Stiamo parlando di un futuro remoto. Per ora cerchiamo di vedere più da vicino: vedo segnali di ripresa per l’ultima parte dell’anno. Ma non mi faccio illusioni. Il 2010 sarà a crescita lenta. Non mi sembra realistico il quadro del neopresidente Obama che conta addirittura sul 3-5% del Pil per l’anno prossimo.

Sembra inevitabile, perciò, l’azione di sostegno dei governi. Anche di quello italiano…
La realtà è che in cassa non c’è un euro che sia uno. Una realtà che è quella di sempre: o ci salvano le Pmi, le stesse che ci hanno dato da mangiare in questi anni, o per l’Italia sarà dura.

Qual è lo stato di salute del sistema? Le statistiche sono «vecchie», comunque precedenti alla crisi Lehman.
Sì, nell’ultima parte dell’anno è cambiato tutto. Io ho a disposizione un campione d’eccellenza, quello delle aziende partecipate da Tip. Ebbene, anche le imprese più solide e meglio posizionate hanno dovuto confrontarsi con lo stop della domanda. Il mio consiglio? Non fate i budget prima della fine dell’anno: andate avanti, poi si vedrà.

E che si è visto?
Un calo significativo. Ma non un’ecatombe. Anche perché, nel frattempo, è crollato il petrolio, l’acciaio costa assai meno. E il clima favorisce le ristrutturazioni. Insomma, un calo del fatturato del 15%, per dare un’idea, non segna un’analoga caduta del Mol. Penso che, ancora una volta, le Pmi se la potranno cavare.

O crescere?
Possibile. Perché non passa giorno che banche, private equity o imprenditori alle prese con il credit crunch non presentino un dossier. Questa crisi può dare il via alla nascita di poli di settore. Ma…

Ma?
È ancora presto. Mancano le coordinate per muoversi.


Non esagera?
Guardiamo a Ferretti: bella azienda pronta alla quotazione. Poi, all’improvviso, scompare il mercato più promettente, quello russo. Anzi, i magnati russi sono venditori dei loro yacht. E per la Ferretti si apre un baratro.

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