(WSI) – Si combatte in Ucraina, secondo molti osservatori, un conflitto per procura tra due diverse concezioni politiche. Nella democrazia autoritaria di Vladimir Putin il presidente sceglie il suo successore e non esita a servirsi, per vincere le elezioni, di tutti gli strumenti che il potere gli consente di utilizzare: la stampa, la televisione, la polizia, i servizi segreti. Nelle democrazie occidentali, invece, le elezioni sono una partita aperta fra candidati che giocano con le stesse carte, sono soggetti al dominio della legge e possono contare sulla neutralità delle istituzioni statali.
È vero. E se le cose fossero esclusivamente in questi termini l’Unione europea, il Consiglio d’Europa e gli Stati Uniti avrebbero certamente il diritto di opporsi al risultato elettorale degli scorsi giorni. Ma questa rappresentazione trascura altri fattori che hanno, in questa vicenda, una considerevole importanza. Per la Russia l’Ucraina non è un terra straniera. Appartiene sin dall’epoca di Vladimiro, grande principe della Rus di Kiev, alla tradizione politica, culturale e religiosa dello Stato moscovita. La sua unione con la Russia risale agli inizi del Seicento ed è percepita a Mosca in modo non diverso da quello con cui Londra considera l’unione fra l’Inghilterra e la Scozia.
I russi possono tollerare, sia pure a malincuore, la perdita di alcune delle terre che hanno conquistato nel corso della loro storia, dal Baltico al Caucaso. Ma l’indipendenza dell’Ucraina e quella della Bielorussa sono state per Mosca una dolorosa mutilazione. Aleksandr Solzhenycin fu tra i primi ad auspicare il collasso dell’impero sovietico. Ma non cessò mai di sostenere che occorreva rinunciare al superfluo per meglio conservare l’essenziale, vale a dire il cuore slavo della nazione, dall’Ucraina al Kazakistan (uno Stato in cui i russi sono il 40% della popolazione).
Putin ha rinunciato al Kazakistan, ma non a trasformare l’Ucraina e la Bielorussa in «Stati associati», strettamente legati a Mosca da vincoli economici e istituzionali. È un progetto che molti ucraini, soprattutto nelle province orientali della repubblica, condividono. È assurdo supporre che tutti i voti raccolti dal candidato filorusso Viktor Janukovic siano frutto di frodi e manipolazioni elettorali.
L’Unione europea ha interessi diversi. I suoi nuovi membri non hanno dimenticato gli anni in cui facevano parte del blocco sovietico e continuano a considerare la Russia come una potenziale minaccia. La Polonia, in particolare, vorrebbe avere sulle sue frontiere orientali un’Ucraina democratica, alleata dell’Occidente e forse membro, un giorno, dell’Ue. Più in là, al di là dell’Atlantico, l’America intende servirsi dell’Ucraina per tenere a bada la Russia.
Non è tutto. Negli Stati Uniti e in Canada esistono lobby polacche e ucraine che premono sui governi ed esercitano una certa influenza sulla loro politica. Il problema in discussione, quindi, non è soltanto quello della democrazia e delle sue regole. Dietro i duelli verbali sulla gestione della campagna elettorale e la conta dei voti, la posta in gioco è la collocazione geopolitica dell’Ucraina nell’Europa di domani.
L’Unione non può assistere indifferente alla violazione dei suoi principi politici. Ma se è interessata ad avere buoni rapporti con la Russia dovrà tener conto anche delle esigenze di Mosca. E dovrà evitare che la spaccatura elettorale fra l’Ucraina occidentale (dove si è votato prevalentemente per il candidato occidentale Viktor Juscenko) e l’Ucraina orientale (dove gli elettori hanno preferito Janukovic), diventi guerra civile e riproduca, su scala maggiore, il drammatico scenario delle guerre jugoslave.
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