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(WSI) – Il ribasso del prezzo del petrolio e l’intenzione della banca centrale americana di estendere al 2009 le linee di credito di emergenza per le banche sono le ragioni del rimbalzo dell’altro giorno delle borse. La ripresa dei mercati azionari potrebbe durare alcuni giorni, ma è molto improbabile che segni un punto di svolta per i mercati.
La diminuzione del prezzo del petrolio non è per il momento tale da mutare le prospettive economiche. Solo una sua discesa sotto i 100 dollari il barile potrebbe avere un effetto tonificante sull’economia e sui mercati finanziari. Infatti per il momento non vi sono elementi certi per sostenere che è cominciato lo scoppio dell’enorme bolla speculativa che ha contribuito in modo decisivo all’esplosione del prezzo del greggio, anche se alcuni segnali potrebbero indurre a formulare questa ipotesi. Il segnale più importante è sicuramente rappresentato dal crescere della pressione politica volta a stroncare la speculazione sulle materie prime e sui generi alimentari.
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Il Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, ha proposto al G8 di aumentare in modo consistente i margini dei depositi oggi del 5% sui contratti future, il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, ha formalmente inoltrato a Bruxelles proposte di lotta contro la speculazione finanziaria, che hanno trovato orecchie attente sia da parte della presidenza francese sia da parte della Commissione europea. In campo è sceso anche il Congresso americano.
I provvedimenti in discussione tendono a dare maggiori poteri e personale aggiuntivo alla Commodity Futures Trading Commission (CFTC), ad aumentare i margini dei depositi sui contratti future e a scoperchiare la scatola nera (il settore meno trasparente del mercato) degli swaps creati da Goldman Sachs e Morgan Stanley per permettere a fondi pensione, Hedge Funds e società petrolifere di scommettere tra di loro sull’andamento futuro del prezzo del greggio.
Il mercato degli swaps, che non è sottoposto ad alcuna regolamentazione e che è molto opaco, è però quello in cui operano gli operatori finanziari ed è quello che ha determinato gran parte dell’impennata dei prezzi delle materie prime. Basti ricordare che la stessa CFTC sostiene che l’85% degli investimenti negli indici delle materie prime avviene al di fuori dei mercati regolamentati dei futures. La crescente pressione politica può indurre a sospettare che i «padroni» di questi mercati potrebbero desiderare un calo del prezzo del petrolio e delle altre materie prime per scongiurare il pericolo che cambiamenti delle norme rovinino il giocattolo che rende tanti soldi.
Se si eccettua l’incognita di una forte caduta del prezzo del petrolio, non vi è alcun motivo che possa spingere al rialzo le borse. Infatti, l’intenzione della Federal Reserve di estendere all’anno prossimo le linee di credito di emergenza è semplicemente un’ulteriore conferma che la crisi del sistema bancario è tutt’altro che superata.
Anzi, nei prossimi giorni assisteremo all’estensione di questa crisi al vasto mondo delle banche americane di medie e piccole dimensioni e assisteremo ai dibattiti politici sulla ricapitalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, ossia le due grandi agenzie parastatali americane, che attraverso l’erogazione di ipoteche o di garanzie sulle ipoteche concesse da altri istituti detengono la metà del totale dei mutui ipotecari americani. Che la crisi bancaria sia tutt’altro che superata lo dicono anche gli stessi mercati: basti guardare ai tassi sul mercato interbancario che stano tornando ai livelli massimi.
In realtà, non vi è ragione alcuna per cui i mercati azionari, già in pieno «bear market», debbano scendere meno di quanto calarono all’indomani dello scoppio della bolla delle cosidette dot.com, ossia dal marzo del 2000 all’aprile del 2003. La situazione attuale è ben più grave di quella dell’inizio di questo decennio.
Allora non vi era una crisi del mercato immobiliare americano, che si aggrava sempre più e che si sta allargando ad altri paesi (Spagna, Gran Bretagna ed Irlanda); allora non vi era una crisi del sistema bancario internazionale; allora il petrolio costava poco più di 20 dollari il barile; e allora le banche centrali avevano maggiore spazio di manovra, poiché l’inflazione non dava alcun segno di vita. Inoltre, oggi, oltre al chiaro rallentamento dell’economia statunitense, cominciano a moltiplicarsi i dati che segnano la prossima entrata in recessione di Spagna e Gran Bretagna e i segnali che anche l’economia tedesca comincia a perdere colpi.
Questa crisi, che è stata causata dalle follie della nuova ingegneria finanziaria, è solo agli inizi ed è destinata ad essere molto lunga. Infatti non si può uscire da questa crisi senza aver smaltito gran parte dell’enorme bolla del credito creata in questi anni. Ad esempio, il risanamento dei bilanci bancari richiederà molto tempo, che si allungherà ulteriormente per il prevedibile aumento delle sofferenze dovuto al forte rallentamento economico. In queste condizioni non vi è alcun motivo perché questo calo delle borse sia di proporzioni inferiori a quello dell’inizio di questo decennio.
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