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PER 3 ITALIANI SU 4 I PREZZI CORRONO TROPPO

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Nel dibattito in corso sull’attendibilità degli indicatori – statistici e non – della situazione economico-sociale del Paese, si fronteggiano raffigurazioni anche molto divergenti. C’è chi continua a rilevare un incremento tumultuoso dei prezzi e, di conseguenza, un accrescersi delle difficoltà che molte persone si troverebbero a fronteggiare. E chi descrive invece una situazione assai più tranquilla e in certi casi addirittura un trend di sviluppo e benessere.

Se si trattasse di normali disparità di vedute non ci sarebbe nulla di strano. Ma ha suscitato qualche perplessità il fatto che per avvalorare entrambe le ipotesi si presentino tabelle, indici, ecc., sottolineandone il carattere scientifico e obiettivo. Per orientarsi, è utile distinguere gli indicatori di fenomeni, per così dire, «oggettivi», da quelli che rilevano percezioni, sensazioni o giudizi «soggettivi». Si tratta di una semplificazione, perché spesso le dimensioni «oggettiva» e «soggettiva» si contaminano e influenzano reciprocamente. Ma è utile perché spiega come mai nel caso dei prezzi, ad esempio, l’inflazione calcolata sulla base di rilevazioni nei punti vendita divergesse sensibilmente dalla sensazione presente nel consumatore finale.

Nell’ambito delle rilevazioni «oggettive» non c’è dubbio che la metodologia adottata dall’Istat sia assai accurata e sperimentata. Rispetto ad altre analisi cui è stata contrapposta (ad esempio quelle di Eurispes che, tuttavia, non può probabilmente contare sulla capillarità e la continuità delle rilevazioni Istat) ha, come è stato sottolineato, il limite (o la necessità) di presentare quasi solo dati medi. Che hanno però effetti diversi nelle varie fasce di famiglie: uno stesso aumento di prezzi porta conseguenze differenti secondo il livello del reddito.
Anche per questo è importante – ma trascurato anche nel dibattito di questi giorni – studiare la percezione soggettiva dei fenomeni economici.

Non solo per i suoi effetti sugli orientamenti politici ed elettorali. Ma anche perché lo stesso comportamento economico «reale», specie per ciò che riguarda la sfera dei consumi, è – gli economisti lo sanno da tempo – tutt’altro che «razionale» e dipende in larga misura da sensazioni, credenze, addirittura passioni.

Al di là del dato «reale» dell’inflazione, colpisce dunque il fatto che, secondo tre italiani su quattro, i prezzi siano aumentati «molto» o «moltissimo». Contrariamente al solito, nessun intervistato risponde «non so», segno che si tratta di tematiche che coinvolgono davvero tutti. Naturalmente, il significato attribuito a «molto» o «moltissimo» varia da persona a persona: non a caso dichiarano più frequentemente che i prezzi sono aumentati «moltissimo» gli strati più deboli: le donne (in particolare casalinghe), gli anziani (in particolare pensionati), i possessori di titoli di studio meno elevati.

Tra costoro, come già si è documentato, l’inflazione «percepita» supera il 4%. E ci si aspetta che cresca ancora: in misura «rilevante» per l’11% della popolazione. Ma per il 26% dei pensionati e il 28% dei possessori di sola licenza elementare, a fronte del 7% tra i laureati.

Alla percezione di aumento dei prezzi corrisponde quella di riduzione dei consumi. Ancora una volta, il fatto che i cittadini dichiarino una contrazione delle loro spese non misura necessariamente la sua entità «reale». Ma rimane significativo che quasi tre italiani su quattro (erano poco meno del 60% sei mesi fa) dichiarino di aver ridotto i loro acquisti nell’ultimo periodo. Ancora una volta, si tratta in misura maggiore di donne, anziani e giovanissimi, persone con basso titolo di studio, pensionati, e, specialmente, disoccupati. In particolare residenti al sud, specie nei centri maggiori.
Di chi è la colpa di tutto questo? La convinzione popolare, a torto o a ragione, è che la responsabilità maggiore sia dell’euro. Lo pensano in particolare le categorie più «colpite» dall’inflazione. Mentre sono di parere opposto i laureati, che in maggioranza «assolvono» la moneta unica.

E’ un dato che si presta ad una duplice interpretazione. Da un lato, oggettivamente essi sono forse più in grado di conoscere e valutare tutti i dati necessari per misurare il reale impatto dell’euro. Ma dall’altro, dal punto di vista «soggettivo», essi sono, al tempo stesso, probabilmente colpiti in modo meno drammatico dall’aumento dei prezzi.

A questo punto, si tratta di intervenire e, se possibile, arrestare l’incremento dei prezzi, reale o percepito che sia. Chi deve farlo? Secondo la maggioranza, è compito prioritario delle istituzioni: in primo luogo lo Stato e, in misura minore, gli enti locali. Naturalmente anche le associazioni dei consumatori e i singoli cittadini, specie coloro che si recano quotidianamente a fare la spesa, devono fare la loro parte. Ma solo il 10% degli italiani ritiene che a questi ultimi spetti «principalmente» la vigilanza sull’aumento dei prezzi.

Ci si aspetta dunque che intervengano più decisamente le istituzioni. In fondo, molte delle percezioni e delle preoccupazioni soggettive sullo stato dell’economia sono anche l’indice di una crisi di fiducia nei confronti di queste ultime. Che è opportuno non sottovalutare e che è incentivata in questo stesso periodo da molti altri episodi di varia natura. E alla quale, come continua a ricordare Ciampi, occorrerebbe reagire con decisione.

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