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PARTITO DEI LIBERISTI? MA POI CHI LO VOTA?

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(WSI) –
Francesco Giavazzi parla al Foglio della ritrovata vena di iniziativa – anche politica – di Mario Monti, di scatole cinesi, della non diabolicità di Marco Tronchetti Provera che le ha utilizzate perché esistevano, di italianità e di mercati aperti.

Partiamo dai temi del forum dell’Università Bocconi e del Corriere della Sera su “Mercato, concorrenza e globalizzazione” a cui Giavazzi ha partecipato ieri. E’ convinto che l’integrazione economica degli ultimi quindici anni, resa possibile dal crollo dei costi di comunicazione, sia un’occasione da non perdere. Dice al Foglio: “Una società è aperta se il destino dei suoi cittadini dipende dal merito, se non mantiene i privilegi: la globalizzazione, quindi, rafforza la società aperta”.

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La mondializzazione dell’economia crea maggiori spazi per chi se li sa guadagnare, e rende più visibili le posizioni di rendita. Eppure, prosegue Giavazzi, oggi stiamo assistendo al rovesciamento della profezia di Karl Marx: “I lavoratori, anziché unirsi tra loro per abbattere le frontiere, si alleano ai capitalisti del loro paese per rafforzarle”. Ciò è soprattutto vero in un paese come l’Italia, dove l’immigrazione da un lato e l’arrivo di capitali stranieri dall’altro hanno messo in crisi un intero sistema.

Ragiona Giavazzi: “La libera mobilità del lavoro è l’anello mancante della globalizzazione”. Dal punto di vista economico, gli effetti netti dell’immigrazione sono generalmente positivi. In un paese come gli Usa, essa porta nuova linfa al tessuto economico. La grande differenza con noi sta sia nel tipo di immigrazione sia nella struttura del paese che la riceve: “Negli Stati Uniti arrivano persone poco qualificate o molto qualificate: gli uni svolgono lavori che gli americani non vogliono, gli altri danno alla nazione capacità innovativa. In Italia arrivano solo i primi, e per giunta entrano in competizione con un segmento significativo della nostra forza lavoro”.

Per quel che invece riguarda gli investimenti stranieri, Giavazzi ritiene fuorvianti le questioni poste ieri sul Foglio da Giuseppe Rao. Ha una posizione completamente diversa sul ruolo del governo in una economia moderna e integrata nei mercati internazionali: “Un governo ha tre funzioni: tutelare i consumatori, proteggere azionisti e risparmiatori, e trattenere le esternalità positive delle imprese – per esempio quei centri di ricerca che possono interagire virtuosamente con le università”. La domanda, dunque, si sposta dagli obiettivi ai mezzi per ottenerli.

Per Giavazzi, “il primo fine lo si persegue attraverso la concorrenza o, in quei settori dove il mercato non è perfettamente concorrenziale come quelli dotati di infrastrutture a rete, con le autorità indipendenti. Il secondo grazie alla costante vigilanza di organismi come la Consob”. E le scatole cinesi? “Basterebbe approvare una legge che ne obblighi il consolidamento a valle, come avviene negli Usa e in Gran Bretagna. La catena di controllo di Telecom, che tutti considerano scandalosa, non è frutto della diabolicità di Marco Tronchetti Provera, ma di una cornice legale che consente il ricorso a certe alchimie”.

Infine, per attirare centri studi serve un sistema universitario competitivo in grado di produrre ricerca di qualità e buoni brevetti: “Per esempio, attorno al Mit di Boston ci sono i centri studi di una decina di multinazionali straniere. La nazionalità dei proprietari è del tutto irrilevante a questi fini. Se la considera un valore in sé, bisognerebbe spiegarne i motivi e soprattutto dire come s’intende garantirla”.

Serve un grande centro? “Non ne sono certo”

L’Italia per tornare a crescere deve diventare protagonista della globalizzazione. Questo richiede una serie di riforme strutturali per valorizzare concorrenza e merito: occorre scardinare le posizioni di rendita e far sì che il futuro di un individuo dipenda dalle sue capacità, non dal censo. La sfida richiede la soluzione di grane come le pensioni e il welfare state: “Dobbiamo chiederci se sia equa una società che aiuta i cinquantottenni a scapito dei loro figli e nipoti, anziché distribuire sulle spalle di tutti il peso della previdenza.

Analogamente, non vedo cosa vi sia di equo in un sistema che, invece di difendere le persone, conserva solo i posti di lavoro”. Per fare il salto di qualità “servono politici di visione, come Reagan e Thatcher, che siano abbastanza ambiziosi e coraggiosi da guardare oltre il loro interesse elettorale di breve termine”. Ritiene che la proposta di Mario Monti di un grande centro riformista possa spingere in questa direzione? “Non ne sono certo. I liberisti sono pochi e dubito che al centro ve ne siano più che altrove. Servirebbe forse un partito dei liberisti, ma poi quanti voti prenderebbe?”.

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