Sopra tutti gli altri c´è un quesito che rende la vicenda Parmalat un nodo angoscioso. Non solo per le migliaia e migliaia di italiani che hanno visto andare in fumo i propri soldi, ma anche per tutti i risparmiatori, piccoli o grandi che siano. Come è stato possibile che le truffe architettate dal gruppo Tanzi abbiano potuto superare indenni per anni almeno sette livelli di controllo? Possibile che nessuno si sia accorto di qualcosa, non i sindaci, non i certificatori del bilancio, non le varie autorità di vigilanza, dalla Consob su su fino alle prestigiose stanze di Bankitalia?
Era essenzialmente a queste domande che si sperava potesse e volesse rispondere il ministro dell´Economia nella prima riunione della commissione con la quale Camera e Senato si ripromettono di raccogliere il materiale di conoscenza per una seria riforma dei meccanismi di controllo sui mercati finanziari. Purtroppo, l´onorevole Tremonti ha scelto un´altra strada, trasformando anche quest´audizione parlamentare in un´ennesima puntata della sua ormai ossessiva battaglia contro il governatore della Banca d´Italia.
Sarà, come ha detto il ministro, che lui non ha mai voluto fare una «questione di poteri e di persone», ma il suo discorso non conferma queste intenzioni. Perché anche ieri il suo rapporto al Parlamento ha riconfermato l´impressione di un regolamento di conti che si sovrappone a una sciagura nazionale, degna di ben più lineare gestione politica, nell´interesse dell´opinione pubblica e dei risparmiatori che vogliono un chiaro accertamento di responsabilità, a qualsiasi livello.
Va bene, poniamo pure che la Banca d´Italia abbia colpevolmente sottovalutato – ma forse più nel caso Cirio che in quello Parmalat – i rischi che si stavano affollando sul mercato creditizio e le conseguenti minacce per il mondo dei risparmiatori. Si tratta indubbiamente di una responsabilità sulla quale non si può far finta di nulla. Ma tutte le colpe sono unicamente e soltanto di Bankitalia?
Non è con questa impostazione manichea che si danno risposte oneste e soprattutto efficaci ai cittadini che oggi reclamano una svolta radicale nella vigilanza sugli operatori finanziari. C´è qualcosa che non torna nella pagella dei buoni e dei cattivi stilata ieri da Tremonti in Parlamento.
Il ministro ha creduto di salvarsi l´anima sostenendo di aver lanciato il primo allarme sulla vicenda Parmalat fin dall´otto luglio 2003. E, per coprirsi meglio le spalle, ha soggiunto che da quella data in poi l´attività della Consob sul gruppo Tanzi è stata «molto intensa ed efficace». Già, tanto efficace che sono passati ben cinque mesi invano prima che la crisi esplodesse. Un lasso di tempo francamente eterno se si pensa a che cosa avrebbero potuto e dovuto fare tanto la Consob quanto un ministro dal fiuto così vigile per limitare quanto meno i danni subiti dai risparmiatori.
L´amara realtà è che in questo scandalo, pur con differenti gradi di responsabilità, non c´è autorità pubblica né soggetto controllante o gestionale che possa impartire lezioni di correttezza. Dunque, se non si parte da questa drammatica, ma inconfutabile, constatazione diventa impossibile immaginare una riforma del sistema dei controlli che risponda davvero alla sete di trasparenza e di certezza del mondo del risparmio. E anche le buone intenzioni di riassetto degli organi di vigilanza espresse ieri dal ministro rischiano di essere soltanto fumo gettato negli occhi già piangenti dei risparmiatori.
Certo, può essere un´idea interessante quella di creare una specifica Autorità per la tutela del risparmio. Ma in un sistema – dove già convivono su confini incerti Consob, Bankitalia e Antitrust – alto appare il pericolo di un´ulteriore confusione di competenze, che potrebbe ricreare le condizioni dello stesso scaricabarile visto in queste settimane. In ogni caso, ciò che suscita maggiori perplessità è questo metodo tremontiano del voler ricostruire la casa dei controlli partendo dal tetto.
D´accordo che bisogna ridefinire poteri e funzioni delle varie Autorità, ma logica vorrebbe che si cominciasse dalle fondamenta. Per esempio, rivedendo il regime di responsabilità (e di sanzioni) per tutti quei ruoli che sono più direttamente all´origine dei falsi allegramente compiuti nel bilanci societari: dagli amministratori ai sindaci fino ai certificatori.
È da qui che il marcio ha cominciato a diffondersi nella vicenda Parmalat, è qui che sono stati inventati i trucchi per depistare i controlli e per ingannare i risparmiatori. Capisco che sia difficile addentrarsi in questa palude da bonificare per il ministro di un governo che si è fatto vanto di aiutare l´economia allargando le maglie del reato di falso in bilancio. Ma la principale partita a difesa dei risparmiatori si gioca, innanzi tutto, su questo terreno. Solo se si comincia da qui la nuova casa dei controlli avrà la solidità necessaria: i risparmiatori lo hanno capito, a quando anche il governo?
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