Società

PARANOIE & VERITA’ SULLA CRISI IMMOBILIARE

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) – Supponiamo che tutti, ma proprio tutti quelli che in America hanno ottenuto un mutuo subprime nel 2005 e 2006 si siano messi d’accordo e abbiano deciso in un’assemblea infuocata e preinsurrezionale di non ripagare più nemmeno un centesimo. Supponiamo anche (partendo dall’ipotesi da salotto Ancien Régime che i poveri siano malvagi, invidiosi, perfidi e rancorosi) che l’assemblea abbia deciso di opporre resistenza agli ufficiali giudiziari che verranno a mettere i sigilli e in ogni caso, quando verrà il momento di cedere, di dare alle fiamme la casa che si dovrà abbandonare, così da azzerare completamente il suo valore di mercato.

Bene, il danno così prodotto ammonterebbe a 750 miliardi di dollari (nostra elaborazione su dati della Federal Reserve). Quanto hanno perso le borse mondiali in queste due settimane? Quasi quattro trilioni, più di cinque volte tanto.

Teniamo a mente queste cifre, perché nelle prossime settimane la caccia al finanziatore di mutui subprime sarà spietata. Come nelle grandi epidemie di paranoia, chiunque sarà sospettabile. Si partirà (si sta già partendo, ovviamente) dalle finanziarie e dalle banche regionali americane, si proseguirà con le grandi banche commerciali e d’investimento di tutto il mondo che potrebbero avere finanziato le prime.

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Poi si spediranno avvisi di garanzia a tutte le finanziarie che potrebbero avere comprato questi mutui, facendone proprio il credito. Poichè molte di queste avranno cartolarizzato i mutui e li avranno rivenduti a fondi pensione, fondi d’investimento e perfino privati cittadini, praticamente nessuno sarà escluso dalle liste dei sospetti. Qualcuno dirà poi che, per elementare prudenza, il valore azionario di chiunque andrà abbassato, nell’ipotesi, non si sa mai, che abbia nei mesi scorsi venduto tutto quello che aveva per comprare questi crediti ormai inesigibili.

Che sia giusto sospettare di chiunque è confermato dalle prime confessioni. Perdite da mutui per 650 milioni sono state trovate nelle casse della General Motors, che nella mente dei semplici viene ancora collegata alle automobili, ma che per tentare di sopravvivere fa finanza come tutti. Nulla o quasi è stato invece rinvenuto nelle grandi banche d’investimento di Wall Street, che hanno appena comunicato utili record, ma il loro valore di borsa è stato punito lo stesso. Non si sa mai.

Non dimentichiamo però che la perdita massima del sistema, nell’ipotesi apocalittica che abbiamo formulato, resta di 750 miliardi. Scendendo adesso su un piano di verosimiglianza, i quattro quinti dei mutui subprime verranno onorati (attualmente è pagato puntualmente l’87 per cento). Per di più, le case reclamate agli insolventi varranno ancora qualcosa, si presume. Certo, visto che abbandoniamo l’ipotesi che vengano date alle fiamme, queste case rimesse in vendita deprimeranno il mercato, ma in termini di valore si tratterà di case piccole e poco pregiate.

Non vogliamo con questo passare per ottimisti a oltranza. Il mercato immobiliare mondiale vale il doppio del mercato azionario (è un’anomalia degli ultimi anni, storicamente il loro valore è sempre stato grosso modo simile) e qualsiasi suo problema può teoricamente diventare un problema di tutti. Detto questo, vorremmo fare qualche osservazione.

1) Il ridimensionamento dell’immobiliare è stato preannunciato da Greenspan quando ancora era governatore e ribadito come previsione da Bernanke. E’ per di più un ridimensionamento voluto, in particolare negli Stati Uniti. Il progetto è di fare scendere lentamente le quotazioni degli immobili, fare sentire leggermente più poveri i proprietari, farli consumare un po’ meno, fare crescere gli Stati Uniti meno degli altri paesi e per questa via contenere prima e poi ridurre il disavanzo americano delle partite correnti.

Il piano può naturalmente non riuscire perfettamente. Sono manovre difficili e delicate, qualcosa può sfuggire di mano. Finora, ad esempio, manca all’appello la ripresa degli investimenti produttivi, cui la Fed, giustamente, tiene molto. In compenso, la riduzione del disavanzo delle partite correnti sta prendendo velocità, grazie al boom delle esportazioni (che compensa almeno in parte, in termini di Pil, il rallentamento dei consumi). Correggere lentamente il disavanzo senza passare per una recessione o una megasvalutazione richiede pazienza, collaborazione internazionale e abilità. Finora non ci si era mai nemmeno provato.

2) Le borse avevano comunque bisogno di correggere. Non è questione di Shanghai (già dimenticata) e nemmeno di carry trade (le oscillazioni dello yen sono in questi giorni controllatissime e non giustificano certo da sole quello che accade sull’azionario).

I subprime sono un pretesto migliore ma, come abbiamo visto, non possono spiegare più di tanto. Resta dunque un’esigenza tecnica di ridimensionamento (con il rituale del test dei minimi perfettamente rispettato) con in più, sullo sfondo, l’ipotesi di un rallentamento importante della crescita degli utili, che impone una discesa una tantum delle quotazioni, non un bear market. Ci sembra del resto che le borse stiano ripercorrendo le famose tre C di Byron Wien (complacency, cautela e capitolazione) e che siano entrate nella terza fase, quella della paura e questo, di per sé, è incoraggiante. Il pavimento è pieno di detriti, occorreranno settimane per ripulire, una volta fatto ordine si andrà avanti molto adagio ma questo non è, lo ripetiamo, l’inizio di un bear market.

3) Non è l’inizio di un bear market perché le quotazioni non sono più sopravvalutate (questo lo dicono negli ultimi giorni anche i policy maker) ma soprattutto perché l’economia mondiale non è alla vigilia di una crisi.
Ci sembrano sufficienti questi tre elementi, tutti degli ultimi due giorni. Il primo è Weber della Bundesbank, che stima temporaneo il rallentamento tedesco del primo trimestre, prevede per quest’anno una crescita che sfiorerà il due per cento e per il 2008 dice che si andrà tranquillamente oltre.

Il secondo elemento è dato dalle previsioni Ocse. L’Ocse è spesso la più arcigna tra i grandi istituti di ricerca e questo contribuisce a renderla interessante. L’Ocse prevede per il trimestre in corso una crescita G7 certamente inferiore a quella del fortissimo quarto trimestre, ma superiore a quella del terzo trimestre 2006, un periodo in cui le borse recuperarono molto bene dopo la correzione di maggio. Per il secondo trimestre che sta per cominciare ci sarà poi una piccola accelerazione. Altro elemento interessante, l’Ocse si unisce al Fondo Monetario nel chiedere al Giappone di non alzare i tassi, anche se questo dovesse creare problemi ai mercati (ovvero spingerli a riprendere alla grande il carry trading sullo yen).

Il terzo elemento è dato dalle anticipazioni Reuters del World Economic Outlook semestrale del Fondo Monetario che sarà pubblicato nei prossimi giorni. Può darsi che quelli del Fondo, pur seguendo minuziosamente con il microscopio tutti i paesi del mondo (è appena uscito il report su San Marino), non si siano accorti della questione dei mutui subprime. Sta di fatto che, secondo le anticipazioni, la crescita globale per il 2007 e 2008 è mantenuta al 4.9 per cento, poco sotto il 5.3 dello scorso anno.

Il Fondo, evidentemente distratto da San Marino e dalle Isole Tonga, ha tenuto inalterata la stima 2007 di tre mesi fa e questo ci sembra molto degno di nota. Notiamo per inciso che, sulla base di queste stime, il Pil mondiale reale a fine dicembre 2008 sarà del 31 per cento più alto rispetto a quello del primo gennaio 2003. Il mondo sarà cresciuto di quasi un terzo in sei anni, una cosa straordinaria, che in epoca non postbellica ha un precedente solo negli anni 1934-39 successivi alla Grande Depressione.

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