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ORRIBILE 2008 ADDIO, PEGGIOR ANNO DAL 1931

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(WSI) – (Aggiornato) Il 2008 e’ stato per Wall Street l’anno più nero di tutti i tempi. L’indice Dow Jones ha accusato un calo nel 2008 di -33.8% (peggior risultato dal 1931). L’indice S&P500 ha perso -38.5% e il Nasdaq ha archiviato il suo peggior anno di sempre con un crollo di -40.5%. Secondo l’indice Dow Jones Wilshire 5000, quest’anno i listini statunitensi hanno bruciato la cifra record di circa 7.300 miliardi di dollari.

Subprime e non solo. Tutto è cominciato con la crisi del settore immobiliare Usa e in particolare con quella dei subprime, che ha contagiato il settore finanziario, conducendo prima al credit crunch, la paralisi della liquidità creditizia, e poi alla recessione. Le borse hanno fatto da catalizzatore di questa tempesta economica e finanziaria, che non ha ancora finito di imperversare e che ha drammaticamente cambiato il panorama di Wall Street. Alcuni dei pilastri su cui si reggeva il grattacielo della finanza Usa non hanno retto. Prima è toccato a Bear Stearns, poi ad Aig, il gigante delle assicurazioni, che il governo Usa ha dovuto nazionalizzare.

Tra Lehman e Madoff. A seguire, è arrivato il crollo di Lehman Brothers, dietro al quale, con un impressionante effetto a catena, forse inizialmente sottovalutato dalle autorità Usa, tutto il mondo dorato delle grandi banche d’affari americane, si è sbriciolato nell’arco di pochi mesi. Goldman Sachs e Merrill Lynch hanno dovuto rinunciare al loro status di investment bank per trasformarsi in normali holding bancarie e cercare protezione dietro all’ombrello della Fed.

Le banche centrali di tutto il mondo hanno cercato di rimettere in moto il sistema finanziario internazionale, paralizzato dalla crisi, con gigantesche immissioni di liquidità e tagliando i tassi fin quasi a quota zero. Poi, quando la crisi dal sistema finanziario è passata all’economia reale, allargandosi dagli Usa a tutto il mondo, prosciugando i consumi e innestando la retromarcia alla crescita produttiva, è toccato ai governi nazionali mettere in campo colossali piani di aiuti.

Gli Usa hanno avviato il Tarp, un programma di stabilizzazione del sistema finanziario da 700 miliardi di dollari, che ultimamente la Casa Bianca ha accettato, a denti stretti, di allargare anche al comparto dell’auto, per evitare il fallimento di General Motors e Chrysler. Come se non bastasse a peggiorare il quadro è arrivata nell’ìultimo spicchio dell’anno la gigantesca truffa finanziaria di Bernard Madoff, l’ex presidente del Nasdaq, che ha bruciato 50 miliardi di dollari con la sua società finanziaria.

La ricetta di Obama. Il presidente eletto Barack Obama, che s’insedierà il prossimo 20 gennaio, ha già detto che intende varare un altro piano di stimoli all’economia, che molti esperti stimano tra i 700 e gli 850 miliardi di dollari, il cui obiettivo dovrà essere quello di creare almeno 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro.

Intanto anche il Giappone e la Cina hanno messo in campo due piani di aiuti all’economia da oltre 800 miliardi di dollari l’uno, mentre l’Europa sta faticosamente cercando di mettere assieme risorse e la commissione Ue ha predisposto un piano da 200 miliardi di euro, pari all’1,5% del Pil dei 27 Paesi membri, che il Fmi ha già definito insufficiente.

Gli osservatori internazionali parlano di una crisi globale di proporzioni mai viste prime, definita la peggiore crisi economica dai tempi della Grande Depressione degli anni Trenta.

In queste ultime sessioni che mancano alla fine dell’anno, non si è visto nessun rally di fine anno, o di ‘santa Claus’ per i mercati azionari, segno, secondo gli analisti, che si prepara un 2009 ancora più nero del 2008 e quindi un nuovo drastico ridimensionamento della capitalizzazione di borsa dei titoli quotati.

La prossima settimana si prevedono scambi leggeri in Borsa e poi, martedì 30 dicembre, arriveranno i dati del Conference board sulla fiducia dei consumatori Usa a dicembre. Mentre venerdì 2 gennaio, verranno diffusi i dati Usa dell’indice Ism manifatturiero di dicembre, previsti ancora in calo e ben al di sotto dei 50 punti e cioè del livello che separa una fase di contrazione da una di espansione dell’economia.

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