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ORA IL DOLLARO E’ PROPRIO AL VERDE

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(WSI) –
Il toto-valute scuote i mercati finanziari. Le previsioni più attendibili suggeriscono, infatti, per l’euro una tenuta dei picchi massimi toccati nei giorni scorsi. O perfino il superamento del record storico, fissato il 27 aprile scorso a quota 1,3680 dollari per euro, con la prospettiva di raggiungere il traguardo di 1,40, entro la fine dell’anno. Ben pochi, al contrario, scommettono che ci potrà essere un drastico ripiegamento nei prossimi mesi della moneta unica.

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«Il biglietto verde – argomenta il capo economista della Northern Bank Paul Kasriel – mostra i segni di una debolezza generale e strutturale, che lo ha già spinto a nuovi minimi assoluti contro la sterlina inglese, il dollaro canadese e quelli neozelandese e australiano. E la lista potrebbe anche continuare». Non c’è dubbio che la variabile principale su cui si gioca la partita è rappresentata dai saggi d’interesse.

Come sostiene Asmara Jamaleh, esperta in mercati valutari di Caboto: «Le aspettative sul costo del denaro sono stabili negli Stati Uniti, mentre quasi ovunque all’estero si preannunciano ancora rialzi. È questo che mette le ali al trasferimento di fondi verso i Paesi con i tassi più promettenti».

Secondo le opinioni prevalenti, la Banca Centrale europea metterà di nuovo mano alla leva monetaria nel prossimo settembre oppure a ottobre, e poi ancora a cavallo fra il 2007 e il 2008, con l’intenzione di portare il saggio di rifinanziamento al 4,5 per cento. «Ugualmente significativo – stando a Kasriel – sarà l’atteggiamento della Banca del Popolo. È assai probabile che le autorità di Pechino finiscano con lo stringere le condizioni del credito con maggiore decisione a partire dal prossimo autunno. E questo mentre, con ogni probabilità, negli Stati Uniti si ricomincerà a parlare di allentare il rigore della politica monetaria». Dove peraltro i tassi hanno compiuto una lunga corsa dall’1% del 2004, fino al 5,25% attuale.

Intanto il Fondo Monetario Internazionale ha reso noti i dati sulle riserve ufficiali nel primo trimestre 2007. Ne risulta che la quota del dollaro si è ulteriormente assottigliata passando dal 64,6% al 64,2 per cento. Viceversa l’euro e la sterlina inglese emergono come i massimi beneficiari delle tendenze in atto. E, come spesso è accaduto nell’ultimo biennio, si intensificano nuovamente le voci su possibili diversificazioni da parte del Drago cinese. Il gigante asiatico tiene racchiuse nei suoi forzieri riserve valutarie per circa mille e 250 miliardi di dollari, che diventeranno l’anno venturo una montagna ancora più alta da mille e 400 miliardi di dollari. Ormai, il 60% dei titoli del tesoro americano in circolazione è in mano ai cinesi. E da poco il Parlamento di Pechino ha approvato una proposta del ministero delle Finanze per la creazione di un’agenzia d’investimenti con 200 miliardi di dollari in dotazione, per gestire queste riserve «in modo attivo».

Secondo altre fonti la cifra sarà addirittura maggiore. Stephen Jen della Morgan Stanley pensa, ad esempio, che saliranno ad almeno 300 miliardi. Insomma, lo scenario più verosimile è quello di una continua e graduale diversificazione da parte della Cina, della Russia, del Medio Oriente e delle altre potenze emergenti, in favore delle divise europee, con in testa ovviamente l’euro. Nel frattempo, però, Pechino sta contribuendo a calmierare la volatilità nel mercato delle valute.

Come spiega Gianmarco Salcioli, cambista della Barclays: «Quando la moneta statunitense perde terreno, il valore delle riserve denominate in dollari perde a sua volta terreno. Così le Banche Centrali di mezzo mondo intervengono in acquisto per ripristinare le percentuali desiderate. Quando, al contrario, il biglietto verde mostra i muscoli, allora le autorità lo vendono per acquistare euro, sterline e via dicendo. Ciò tende a smorzare le oscillazioni, tanto è vero che la volatilità sull’euro-dollaro è attualmente la più bassa di sempre».

Sempre Salcioli raccomanda di guardare con attenzione anche sull’andamento del petrolio, giacché esiste una forte correlazione fra prezzo dell’energia e performance valutarie: «La Federal Reserve americana – insiste- tende a considerare soprattutto l’inflazione inerziale, cioè quella depurata dalle componenti di energia e derrate. Diversamente la Banca Centrale europea guarda al costo della vita nel suo insieme, e perciò reagisce con fermezza, se il grafico del greggio svolta pericolosamente verso l’alto. Inoltre, un barile caro incrementa il fatturato dei Paesi esportatori, con i quali l’Europa ha un giro d’affari che è diventato superiore a quello degli Stati Uniti».

Paul Mackel – analista della Hsbc – punta invece il dito sullo stato di salute dei mercati azionari: «Una delle forze trainanti dietro il successo della moneta unica è ascrivibile ai forti acquisti di azioni europee da parte dei gestori internazionali, peraltro motivati dalle ottime prestazioni delle piazze di Parigi, Francoforte, Milano, Madrid, ecc».

Per dare un’idea, basta dire che un risparmiatore italiano che ha sottoscritto cinque anni fa dei fondi comuni specializzati nell’area euro, oggi porta a casa un guadagno di circa il 47%, mentre se ha acquistato fondi statunitensi, si mette in tasca appena il 4,2 per cento. Addirittura, investendo nel reddito fisso europeo avrebbe ottenuto un dignitoso +13%, mentre in quello a stelle e strisce avrebbe perso il 9 per cento. Dunque, è abbastanza normale che si sia radicato un certo pregiudizio nei confronti degli asset statunitensi.

Al punto che, in base al sondaggio mensile della Merrill Lynch, il 36% dei money manager considera l’Europa ancora allettante, mentre solo il 14% giudica tale l’America. Gavin Friend, della Commerzbank, nota pure come il «crack» di qualche hedge fund, e i persistenti problemi nel credito ad alto rischio, abbiano ancorpiù minato la fiducia nel re dollaro. «A ciò – aggiunge Kasriel – deve sommarsi il concreto pericolo di iniziative protezionistiche in America se, come sembra, il prossimo inquilino della Casa Bianca sarà un democratico».

Dove può quindi arrivare l’euro? Per il momento c’è da scavalcare l’ostacolo di 1,36 – 1,37. Osserva ancora Salcioli: «L’impressione è che molti operatori siano pronti ad acquistare dollari a questi livelli, sulla scommessa di un ripiegamento del cambio verso la parte bassa della banda di oscillazione, verso quota 1,33». Se la rottura al rialzo avvenisse, allora si potrebbe ipotizzare un allungo in direzione di 1,40, da agguantare entro la fine del 2007. Ma non tutti sono convinti. I più sono inclini a immaginare un quadro di stabilità, attorno alle soglie massime raggiunte nei giorni scorsi. Almeno finchè reggerà la tenda a ossigeno delle banche centrali e dei governi. Non a caso non si trovano analisti che guardino in modo favorevole al dollaro, se si parla di ripresa duratura.

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