di Jeffrey Cleveland (Payden & Rygel)

Inflazione, un problema persistente. Che fare?

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La causa principale dell’attuale impennata dell’inflazione è stata la domanda senza precedenti da parte dei consumatori statunitensi all’indomani della pandemia. Il Covid-19 ha infatti comportato un trasferimento alle famiglie Usa di circa 2.500 miliardi di dollari, con un conseguente aumento delle importazioni a livelli superiori del 20-25% rispetto al trend pre-pandemia, che si è riflesso sull’economia globale attraverso la pressione sulle catene di approvvigionamento. In assenza di un’altra serie di trasferimenti alle famiglie statunitensi, questa pressione dovrebbe dunque invertirsi.

L’attuale reindirizzamento della spesa pro-capite dei consumatori Usa dai beni ai servizi, come viaggi aerei e hotel, dovrebbe determinare una diminuzione dei livelli di inflazione a livello globale. Tuttavia, realisticamente, l’inflazione sarà un problema persistente per tutto questo e il prossimo anno. Una valida copertura contro l’inflazione è rappresentata dalle materie prime, in particolare dai metalli, quindi se l’inflazione dovesse raggiungere l’apice, si dovrebbe ridurre anche l’entusiasmo per questa asset class.

Conviene investire in bond?

Investire in obbligazioni tornerà ad avere senso se le banche centrali riusciranno a tenere sotto controllo l’inflazione entro la fine del 2022, riportandola a livelli più normali, anche se forse leggermente più elevati di quelli a cui abbiamo assistito negli ultimi anni.

A nostro avviso, gli investitori non sono pronti a rinunciare alle obbligazioni, che a maggio hanno iniziato ad agire più come uno strumento di diversificazione nei portafogli, muovendosi in modo positivo quando i titoli azionari cedevano. Da questo punto di vista, l’aumento dei rendimenti obbligazionari a livello globale significa che i vantaggi della diversificazione sono destinati a perdurare.

Banche centrali e obbligazioni

Aumentare i tassi significa ridurre le prospettive di crescita, ma le banche centrali devono mantenere la loro credibilità sul tema inflazione, perché questo ha consentito un mercato obbligazionario “toro” per 30 anni. I mercati obbligazionari stanno ancora cercando di orientarsi, cercando di capire se le banche centrali saranno in grado di affrontare l’inflazione o ci saranno passi falsi che danneggeranno l’economia.

Il nostro caso base è che le banche centrali abbiano successo nel tenere sotto controllo l’inflazione. Il nuovo scenario inflattivo, intanto, si è riflesso in un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato in tutti i settori: anche la curva dei rendimenti dei Bund tedeschi è positiva, su tutta la lunghezza, che va da 40 punti base nella parte breve a oltre l’1% a 10 anni, a fine maggio. Nel frattempo, i rendimenti dei Treasury Usa a 10 anni sono saliti oltre il 3%.

Gli asset obbligazionari particolarmente sensibili ai tassi d’interesse, come i titoli di Stato a più lunga scadenza e le società investment-grade, hanno subito pressioni. Gli asset meno sensibili ai tassi di interesse hanno resistito bene: l’high yield, i titoli cartolarizzati a tasso variabile e i prestiti a leva hanno registrato una buona performance rispetto agli asset a più lunga scadenza.

La minaccia di una recessione economica, a fronte dell’aumento dell’inflazione, non può non rievocare la stagflazione degli anni Settanta. Non si tratta certo di uno scenario ideale, con le aspettative di crescita del Pil per il prossimo anno riviste al ribasso, e le aspettative di inflazione riviste al rialzo.

I gestori osservano attentamente gli utili societari per determinare le tendenze future e il rischio che i margini si comprimano in modo significativo, con conseguenti problemi di aumento della leva finanziaria, riduzione degli indici di copertura degli interessi e deterioramento della qualità complessiva del credito. La dispersione è maggiore e bisogna focalizzarsi su stock picking e osservazione degli utili societari.