In questo momento l’inflazione è un mostro a due teste. Una è quella che vediamo quando facciamo il pieno di benzina o quando arriviamo alla cassa del supermercato. L’altra, che è indipendente dalla prima, è l’inflazione salariale nei paesi in cui c’è il pieno impiego e in cui chi cerca lavoro può spuntare una retribuzione più alta perché ci sono pochi disoccupati che gli fanno concorrenza. I mercati guardano molto alla prima testa e si preparano a festeggiare la discesa dell’inflazione al consumo che vedremo già nei dati delle prossime settimane.
Inflazione e banche centrali
Le banche centrali guardano soprattutto la seconda testa perché sanno che l’inflazione salariale è più insidiosa, perché può generare una rincorsa con i prezzi come quella che caratterizzò gli anni ‘70. Per paradosso, anche se le materie prime andassero a zero, ci potrebbe essere lo stesso inflazione salariale nel caso in cui continuassero a esserci più offerte di lavoro da parte delle imprese che lavoratori disponibili sul mercato.
Questo quadro, piuttosto raro, renderà complicato navigare i mercati nei prossimi mesi.
Da una parte, infatti, l’inflazione al consumo che scenderà darà un sostegno ai mercati, che penseranno a una minore necessità di rialzi aggressivi dei tassi da parte delle banche centrali. Se la discesa dell’inflazione si dovesse poi accompagnare a un quadro economico ancora di crescita, sia pure debole, il pessimismo attualmente così diffuso nei mercati lascerebbe spazio a una visione più costruttiva e a recuperi delle borse, in particolare nei settori di crescita.
Questi recuperi, tuttavia, per quanto possibili e perfino probabili, dovranno però prima o poi fare i conti con l’altra testa dell’inflazione, quella salariale che guardano le banche centrali.
Come già accadde negli anni Settanta, l’occupazione potrebbe continuare a crescere ancora per qualche mese, anche se si dovesse già essere entrati in recessione. Le banche centrali, quindi, si sentirebbero motivate a continuare i rialzi dei tassi, o quanto meno a mantenerli alti, più a lungo di quanto il mercato non si aspetti.
Per l’Europa il quadro è reso ancora più complesso dalla questione delle forniture di gas russo nei prossimi mesi. Il prolungarsi della sospensione delle forniture renderebbe certa la recessione europea, in particolare in Germania e in Italia, già entro la fine dell’anno. Al contrario, una ripresa anche parziale delle forniture verrebbe accolta da un grosso sospiro di sollievo dai mercati finanziari europei.
Che fare sui mercati?
Il punto più importante da tenere presente è che una recessione globale, da qui a un anno, è molto probabile. Questo significa che, ancora per qualche mese, sarà meglio alleggerire su rialzo piuttosto che comprare su ribasso. La buona notizia è che i mercati sono già prezzati per una recessione moderata e scenderanno quindi verso nuovi minimi di periodo solo in caso di recessione lunga e severa.
Comprare su debolezza sarà però consigliabile per chi attualmente è particolarmente liquido. Questi acquisti dovrebbero tuttavia avere soprattutto una logica di trading, con l’obiettivo di sfruttare i recuperi di mercato che accompagneranno la discesa dell’inflazione. Per acquisti di lungo termine sarà invece più prudente attendere ancora qualche mese.