di CHRIS IGGO (AXA) Chris Iggo, CIO Fixed Income di Axa Investment Managers.

I mercati e la versione di Iggo

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Risk-on, risk-off, helicopter money, tassi di interesse negativi, fiducia o scetticismo nei confronti delle banche centrali. Questi sono i mercati finanziari di oggi. Abbiamo assistito a un rialzo da metà febbraio che potrebbe continuare, visto che non ci sono segnali di recessione globale all’orizzonte. Ma sappiamo anche che la crescita non è poi così solida: uno shock o un’inversione del sentiment potrebbero farla deragliare.

Mentre le banche centrali stanno sperimentando nuove tipologie di intervento e l’inflazione è intorno allo zero, anche i tassi di interesse sono a zero e non c’è molto spazio per un rialzo della curva dei rendimenti.

Titoli di stato decennali di paesi sviluppati con un rendimento superiore il 2% sono un lusso di questi tempi. Sono i mercati del credito a farci appassionare e ad avere beta. Oggi, dopo circa un anno di ampliamento, gli spread sono leggermente più alti rispetto a quello che stimiamo essere il fair value.

Ma bisogna affrettarsi perché si sono già ristretti quando il mercato è diventato più bullish a metà febbraio dopo vari alti e bassi.

Il segmento high yield in Europa sarà favorito dalla generosità della Banca Centrale Europa, mentre gli spread sull’inflazione beneficeranno della scelta della Federal Reserve di lasciar salire l’inflazione. E se sarà riuscita a impedire un rialzo del dollaro, i mercati emergenti potrebbero tornare ad attirare flussi di capitale.

Il dollaro è sceso, i prezzi delle materie prime sono saliti e la Cina promette di fare “tutto quanto necessario” per sostenere la crescita.

Diamo credito a chi se lo merita – Nel mio ultimo contributo ho espresso una visione più positiva sui mercati del credito. Mi è andata bene: sono saliti molto da metà febbraio, gli spread high yield negli Stati Uniti si sono ristretti di quasi 200 punti base dall’11 febbraio, mentre il debito dei mercati emergenti in valuta forte è sceso di 100 punti base.

Il petrolio scambia vicino ai 40 dollari al barile e l’indice S&P 500 è salito del 10%. Fattore ancora più importante, i pessimisti hanno fatto un passo indietro e non si parla più molto di una recessione globale imminente.

In realtà nulla è veramente cambiato nello scenario macroeconomico. La crescita negli Stati Uniti è poco oltre il 2%, l’ Eurozona prevedibilmente non salirà oltre l’1,5% quest’anno e nei mercati emergenti resta sotto tono, a partire dal rallentamento in Cina.

Le aspettative di crescita sono contenute, col PIL nominale sempre debole, e la maggior parte degli economisti ha continuato a rivederle al ribasso: tutti questi fattori mi impediscono di essere troppo ottimista in questa fase.

La crescita non può contare su un cuscinetto protettivo adeguato, ogni fattore di delusione (volatilità del mercato, Brexit, le notizie finanziarie provenienti dalla Cina) spingerà a prevedere un’imminente recessione, deflazione e un calo dei rendimenti degli strumenti più esposti al rischio.

Per una strategia di investimento in obbligazioni, questo significa prestare molta attenzione alle valutazioni. Ci troviamo in una fase dei mercati obbligazionari in cui i tassi risk free sottostanti sono estremamente bassi (costosi), mentre gli spread del credito in genere sono un po’ più alti del fair value a più lungo termine.

Il rischio di duration negli indici obbligazionari è quindi alto (la duration degli indici dei titoli di stato è ai massimi record, mentre i rendimenti sono ai minimi record), e la maggior parte del carry sul mercato proviene dal credito. In tale contesto, le strategie di credito short duration sono molto interessanti. Circa un mese fa c’erano opportunità nel debito bancario e nei settori dell’energia e dei metalli/minerario, ma si sono già volatilizzate.

Più QE – Le banche centrali hanno contribuito a incrementare la propensione al rischio. La scorsa settimana la BCE ha adottato nuove misure di allentamento ricorrendo ancora una volta alla sua situazione patrimoniale (più che ai tassi di interesse) per immettere nuovi stimoli monetari sul mercato e centrare l’obiettivo inflazionistico. Aumenterà gli acquisti mensili di titoli da 60 a 80 miliardi di euro e inizierà ad acquistare obbligazioni societarie non appartenenti al settore finanziario denominate in euro. Inoltre, la BCE offrirà finanziamenti a più lungo termine alle banche a tassi di interesse pari a zero (o negativi) attraverso le operazioni di rifinanziamento a lungo termine LTRO, progettate per ricompensare le banche che sono in grado, nonché intenzionate a erogare nuovi prestiti.

Il tasso sui depositi è stato tagliato ancora, ma il Presidente Draghi ha spiegato che la BCE ha tenuto conto dell’impatto che potrebbero avere i tassi sui depositi negativi sulla redditività delle banche e si è concentrata sulla riduzione degli impieghi a più lungo termine (ciò dovrebbe migliorare la redditività in caso di ripresa dell’attività di credito). Non sono certo di aver compreso lo scopo dell’acquisto di obbligazioni societarie. Dovrebbe far scendere i rendimenti dei titoli corporate con la contrazione del mercato, ma sono già incredibilmente bassi. Non ci sono ancora tutti i dettagli del piano, ma come investitore mi concentrerò sull’impatto sui prezzi delle obbligazioni e sulla liquidità e cercherò di capire quali altri strumenti verranno riprezzati nel momento in cui i titoli acquistabili dalla BCE diventeranno costosi e poco liquidi. Il segmento high yield in Europa beneficerà della nuova caccia al rendimento. L’indice dei credit default swap (CDS) europei per i titoli crossover nel mercato del credito (proxy del segmento high yield) è salito di 50 punti base subito dopo l’incontro della BCE.

Una Fed più accomodante – Il mercato ha reagito con ottimismo anche all’incontro della banca centrale americana del 16 marzo. La Federal Reserve ha mantenuto i tassi di interesse invariati e ha rivisto al ribasso la forward guidance; probabilmente ci saranno solo due rialzi dei tassi nel 2016 anziché i quattro previsti al momento del primo rialzo a dicembre 2015. I segnali sono chiari. La banca centrale americana vuole consentire all’inflazione core di salire prima di operare una stretta monetaria, poiché un eventuale rallentamento dei mercati internazionali potrebbe frenare l’economia locale americana. Possiamo anche ipotizzare che la Fed non voglia far salire ancora il dollaro. Effettivamente, se mettiamo insieme l’esito degli incontri della BCE e della Federal Reserve, si delinea uno scenario piuttosto interessante. La BCE (almeno per il momento) ha escluso nuovi tagli ai tassi, facendo rimbalzare l’euro. La banca centrale americana non ha operato nuovi rialzi nell’immediato e ha rivisto la forward guidance, facendo scendere il dollaro. Forse si voleva intervenire in risposta a tre fattori concomitanti, ovvero il calo del prezzo del petrolio, il rafforzamento del dollaro e la debolezza delle economie emergenti.

Considerato che il petrolio ha ricominciato a salire da quasi un mese, forse la BCE e la Federal Reserve hanno cercato di approfittarne cambiando le dinamiche sui mercati dei cambi.

Se il dollaro invertirà, o almeno interromperà, la tendenza al rialzo nel più lungo periodo, potrebbe avvantaggiare i mercati emergenti con debito denominato in dollari. Inoltre potrebbe alleviare le pressioni sulla valuta cinese. In effetti, se il tasso eurodollaro si stabilizza, allora non c’è ragione di continuare a svalutare la moneta cinese o di altri mercati emergenti.

L’ “accordo di marzo” – È pertanto improbabile che il dollaro salga ancora. Negli Stati Uniti, l’aumento dei prezzi al consumo core al 2,3% a febbraio e la decisione della Federal Reserve di non intervenire favoriscono le obbligazioni indicizzate all’inflazione rispetto ai titoli del Tesoro nominali. I breakeven dell’inflazione (con scadenza a 10 anni) sono saliti di 40 punti base da metà febbraio, ma potrebbero salire di altri 40 punti base al 2,0%, se la banca centrale americana fosse disponibile a far salire ancora l’inflazione. L’approccio accomodante della Federal Reserve è positivo per i mercati emergenti se il dollaro non si rafforza ulteriormente, soprattutto a fronte del rialzo dei prezzi delle materie prime (petrolio, rame, minerali di ferro). Effettivamente, i tassi bassi e stabili negli Stati Uniti, l’ascesa del dollaro frenata dalla Federal Reserve e le migliori condizioni di scambio per i mercati emergenti potrebbero far ripartire i flussi di capitale diretti verso questi paesi. Nel medio termine, l’economia mondiale ha bisogno di stabilità in Cina e di crescita nei mercati emergenti per impedire il rallentamento degli scambi commerciali, far ripartire gli investimenti e consentire alle imprese di incrementare gli utili.

Rallenta la crescita, ma l’inflazione è stabile – Il nostro riesame trimestrale sullo stato dell’economia globale ha identificato un tema comune tra gli economisti: una crescita potenziale del Pil molto più contenuta e tassi reali di equilibrio molto più bassi.

Secondo questa tesi, c’è un tasso di interesse reale che dovrebbe prevalere quando l’economia è in equilibrio: inflazione su valori target, disoccupazione in calo, equilibrio stabile tra risparmio e investimenti. Secondo molti osservatori, il tasso reale oggi è vicino allo zero: risparmi e investimenti in equilibrio, dinamiche demografiche e tassi di produttività molto bassi hanno fatto rallentare il trend della crescita economica (o della sua potenziale crescita). Il calo del tasso di crescita è interessante poiché implica che l’inflazione potrebbe salire più rapidamente e a fronte di tassi di crescita più bassi rispetto al passato. Prendiamo gli Stati Uniti. L’occupazione è cresciuta del 2% circa all’anno negli ultimi anni, ma il PIL è cresciuto mediamente del 2,1% soltanto dal 2010, quindi la crescita della produttività è praticamente assente. Se la forza lavoro cresce a rilento, la crescita potenziale è bassa e la capacità inutilizzata si esaurisce rapidamente. Le pressioni inflazionistiche iniziano ad aumentare a un tasso di espansione molto più basso. I pessimisti prevedono bassa crescita e inflazione.

In termini reali, il tasso sui Fed Fund negli Stati Uniti è ancora negativo e potrebbe salire del 2,0% circa nel giro di un paio d’anni. Per le obbligazioni questo significa che i rendimenti dovrebbero salire nel medio termine, trainati principalmente dall’aumento dell’inflazione. In questo momento, l’inflazione core è del 2,3% e il rendimento dei Treasury decennali è dell’1,9%. È possibile un picco ciclico del 4%. Ma, come ho già specificato, forse è più efficiente puntare sul mercato dell’inflazione, i tassi reali dovrebbero restare bassi ma gli spread dovrebbero salire.

Stati Uniti meglio dell’Europa per lo spread del 2% sul credito – In Europa il tasso reale di equilibrio probabilmente è molto più basso a causa delle dinamiche demografiche meno positive, dei livelli eccessivi di risparmio, della domanda di investimenti carente e dei vincoli strutturali che impediscono l’aumento della produttività. Pertanto la BCE ha bisogno di tassi nominali bassi o negativi e di un aumento dell’inflazione per produrre un tasso di equilibrio reale abbastanza basso. Mentre il Quantitative Easing resta la principale politica monetaria, è difficile che assisteremo a un forte aumento dei rendimenti obbligazionari, pertanto lo spread tra Stati Uniti e Germania resterà ampio e potrebbe avvicinarsi ancora al range 180 – 200 p.b.

Comunque l’asset allocation è certamente fondamentale. Dato che i rendimenti in Europa sono ancorati su livelli più bassi dai tassi di interesse negativi e dal QE, i flussi verso il mercato obbligazionario americano limiteranno il rialzo dei rendimenti nella regione. In termini di rendimento assoluto e considerate le previste dinamiche dei flussi, in questa fase tendiamo a privilegiare il reddito fisso negli Stati Uniti rispetto all’Europa.

Nessuna sorpresa – Non dovrebbero sorprenderci le revisioni al ribasso della crescita economica nel Budget del Regno Unito. Come le altre economie, il paese ha risentito della debolezza degli scambi commerciali e della mancanza di fiducia nel settore manifatturiero. Il bilancio previsionale non contiene modifiche tali da alterare le stime sui tassi né il grado di interesse per Gilt o obbligazioni societarie. In realtà, gli effetti del Budget saranno certamente surclassati nelle prossime settimane dall’attenzione sul referendum per l’uscita dall’UE. Secondo me, in caso di vittoria di chi è favorevole all’uscita dall’Unione Europea ci sarà certamente uno shock finanziario, considerate le incertezze che circondano la crescita nel Regno Unito, la crescita in Europa e i flussi dei mercati finanziari.

La Federal Reserve si riunirà il 15 giugno e gli economisti che credono che i rialzi dei tassi quest’anno saranno solo due pensano anche che il primo sarà a giugno. In quel momento si tornerà a parlare anche della Grecia e inizierà il primo TLTRO. Insomma cercate di godervi il secondo trimestre, la situazione sui mercati e le prospettive di crescita oggi appaiono migliori: l’estate ci porterà molti motivi di preoccupazione. D’altra parte il Regno Unito potrebbe votare per restare nell’UE, la Federal Reserve potrebbe essere in grado di innalzare ancora i tassi senza causare reazioni troppo dolorose, la Grecia potrebbe soddisfare i creditori attuando il suo piano di riforme strutturali e le banche potrebbero accontentarsi dei prestiti
della BCE. L’Inghilterra potrebbe persino riuscire ad arrivare in semifinale agli Europei.

Finalmente è primaveraLe obbligazioni si stanno comportando bene nel 2016, credito e tassi contribuiscono entrambi al rendimento. A fronte della volatilità dei mercati e dell’impossibilità di identificare i fattori che potrebbero portare a un cambiamento della propensione al rischio, gli investitori a lungo termine nell’ambito di un portafoglio obbligazionario devono assumere un’esposizione sia sugli spread di credito sia sui tassi di interesse. Ai due estremi del mercato obbligazionario, i titoli di stato AAA sicuri e le obbligazioni societarie sub-investment grade, i rendimenti e gli spread tendono a muoversi in direzioni opposte nei momenti di svolta del ciclo di rischio. Al giorno d’oggi non è facile seguirle, ma ci sono fasi di avversione al rischio che possono spingere i tassi core sui minimi e gli spread al rialzo, mentre salgono le pressioni ribassiste e il sentiment peggiora finché la politica non interviene nuovamente oppure finché non vengono pubblicati dati economici imprevisti che sistemano le cose. Siamo appena passati attraverso questa fase: il segmento high yield negli Stati Uniti ha riportato performance inferiori ai Treasury tra lo scorso giugno e il febbraio di quest’anno. La fase di propensione al rischio potrebbe proseguire per un po’. Godetevi il secondo trimestre, è la mia stagione dell’anno preferita in Europa. Tornerò dopo Pasqua, quando i manager della Premier League staranno organizzando la festa d’addio e forse il Leicester starà festeggiando la prima vittoria delle Midlands Orientali da quando il Nottigham Forest di Brian Clough dominava l’Europa.