di Andrea Rocchetti (Moneyfarm) Responsabile Area Consulenza di Moneyfarm

Fondi monetari: cosa cambia con il nuovo regolamento

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In totale i FCM europei gestiscono attività per circa 1000 miliardi di euro e costituiscono circa il 15% del settore dei fondi dell’UE. Possono costituire in determinate situazione un elemento di rischio sistemico, quindi non stupisce l’approccio molto stringente, considerato l’obiettivo di limitare le probabilità di assistere a una crisi di fiducia.

La norma interviene su tutte le categorie di FCM in vari modi: le previsioni più rilevanti sono circa quindici – dall’introduzione di un sistema di rating interno, sostitutivo a quello delle agenzie private per alcune categorie di strumenti, alla previsione di una lista stringente di investimenti ammissibili (con l’obiettivo primario di aumentare la liquidità dei fondi, partendo dalla liquidità dei sottostanti)

I fondi comuni monetari svolgono un ruolo fondamentale all’interno del sistema finanziario perché offrono agli investitori un’alternativa per impiegare la propria liquidità a breve o brevissimo termine e perché contribuiscono a garantire liquidità al sistema favorendo un funzionamento più fluido del mercato. Tuttavia, proprio per il ruolo peculiare che svolgono all’interno del sistema finanziario, essi possono costituire in determinate situazione un elemento di rischio sistemico, come si è evidenziato dopo la crisi del 2008.

Per questa ragione il legislatore ha inteso porre dei limiti, anche molto stringenti. Al gestore deve essere garantito un sufficiente grado di flessibilità, ma non si può ignorare che i fondi monetari rappresentino una asset class a parte. Le norme quindi, considerando che si rivolgono a operatori “consapevoli”, perché questo strumento è un’opzione principalmente per investitori istituzionali, potrebbero avere un certo effetto nell’aumentare il senso di sicurezza legato a questa asset class anche in casi di mercato limite, che sono proprio le situazioni sulle quali, secondo noi, il regolatore vuole porre l’attenzione. Non stupisce quindi l’approccio molto stringente, considerato l’obiettivo di limitare le probabilità di assistere a una crisi di fiducia su questa asset class in casi di mercato limite, viste le implicazioni sistemiche che ne deriverebbero.

Prima di entrare nel merito del regolamento è importante ricordare che esistono diverse forme di FCM. La prima distinzione può essere fatta tra gli short term FCM e gli standard FCM. Questi possono avere differenti tipologie di patrimonio netto (NAV). Finora il patrimonio poteva essere soltanto variabile (VNAV) o costante (CNAV). Il regolamento introduce una terza nuova categoria, i “FCM con NAV a bassa volatilità” (LVNAV) che mantengono un NAV costante fino ad un certo limite e possono essere una valida alternativa al CNAV.

La norma interviene su tutte queste categorie in vari modi, le previsioni più rilevanti sono circa quindici. Si va dall’introduzione di un sistema di rating interno, sostitutivo a quello delle agenzie private per alcune categorie di strumenti, alla previsione di una lista stringente di investimenti ammissibili (con l’obiettivo primario di aumentare la liquidità dei fondi, partendo dalla liquidità dei sottostanti).

Per ridurre la rischiosità di portafoglio, le restrizioni interessano anche la scadenza dei sottostanti. Questa può variare a seconda che si stia parlando di FCM VNAV, CNAV, o LVNAV. Vengono infatti stabilite limitazioni di maturity (la Weighted Average Maturity, usata per misurare la sensibilità del fondo al variare dei tassi di interesse del mercato monetario, non deve superare i 60 giorni e i 6 mesi rispettivamente per gli short term FCM e gli standard FCM) e di durata (la Weighted Average Life, utilizzata per misurare rischio di credito/rimborso e di liquidità, non deve superare i 120 giorni e 12 mesi rispettivamente per gli short term FCM e gli standard FCM). Si tratta di limitazioni particolarmente rigorose (e non indolori in questa fase di tassi contenuti), ma doverose; specialmente in vista di un futuro e non troppo lontano normalizzarsi dei tassi monetari.

Lato Money Mutual Funds manager, invece, vengono richiesti maggiori requisiti di trasparenza (su ogni documento del fondo) e anche procedure di KYC (know your customer). La riforma segue la logica di quella varata negli Stati Uniti nel 2016, dove il mercato dei fondi monetari vale tre volte quello europeo.

Secondo la Commissione europea (dato al 2013), in Europa i Fondi Comuni Monetari gestiscono circa il 38% del debito a breve termine emesso dal settore bancario e circa il 22% dei titoli a breve termine emessi da società e amministrazioni pubbliche. In totale i FCM europei gestiscono attività per circa 1000 miliardi di euro e costituiscono circa il 15% del settore dei fondi dell’UE. Come già detto, sono prevalentemente utilizzati da investitori istituzionali.

Fino a oggi i fondi monetari non sono stati una soluzione ideale per l’investitore retail per via dei costi, della complessità e delle implicazioni sistemiche. Tuttavia, vista la l’elevata propensione al risparmio, soprattutto nel contesto italiano e l’enorme (forse eccessiva) liquidità “parcheggiata” nei conti correnti (circa 1.300 miliardi di euro in Italia), questi strumenti potrebbero trasformarsi in un’alternativa in più per tutti i risparmiatori e il regolamento fa dei passi avanti in questo senso. Stando ai dati Assogestioni (limitatamente ai Fondi Aperti) notiamo come siano circa €34mld gli AUM in questa particolare categoria di strumenti. Circa il 3% del totale dei fondi aperti in Italia. Si tratta quindi di un’opzione marginale ma importante.

Infine, specialmente in questa fase del ciclo, non temiamo un rischio di liquidità nel sistema dopo l’introduzione della riforma (la liquidità, dopo l’intervento delle banche centrali, è l’ultimo dei problemi). In un contesto dove anche gli strumenti di protezione a breve vengono utilizzati in modo improprio la chiave della consulenza è la gestione del rischio (anche fissando “paletti” ai gestori), piuttosto che una segmentazione complessa della liquidità.