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OBBLIGAZIONI ALLA RISCOSSA

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(WSI) –
Il consensus degli economisti parla chiaro: Oltreoceano, Ben Bernanke taglierà ancora il costo del denaro. Il numero uno della Banca centrale americana (la Federal Reserve) dovrebbe portare i tassi d’interesse dal 4,75% almeno al 4,50-4,25 per cento. Mentre in Europa, il suo collega Jean Claude Trichet, seppure sempre «ossessionato» dall’inflazione, dovrebbe tenerli fermi al 4 per cento. Insomma, la rotta è stata invertita e con il ritorno a una politica monetaria espansiva è scoccata l’ora dei bond. Il taglio dei tassi, infatti, ha causato un aumento della pendenza della curva dei rendimenti. Cui deve aggiungersi il livello attraente delle quotazioni, crollate con lo tsunami subprime.

Partendo da questi presupposti, i gestori consigliano di «spostare le lancette» soprattutto sulle obbligazioni a 5-10 anni, cioè investire soprattutto sulla parte medio-lunga della curva. In questo modo è possibile godere di tassi più elevati rispetto alla parte breve, ma anche di un potenziale guadagno in conto capitale derivante da un incremento delle quotazioni delle obbligazioni. E l’attuale quadro congiunturale va proprio in questa direzione, visto che in America tira aria di recessione, con lo tsunami subprime sulla testa e l’ultimo calo dei nuovi occupati a stelle e strisce. Certo, resta da capire quanto è grave la crisi americana. Su questo fronte, un primo appuntamento è a metà ottobre, quando verrà diffusa la stima preliminare del Pil sul terzo trimestre. La palla passerà poi alla Fed che, il 31 dello stesso mese, deciderà sui tassi. Per Luigi Romano, responsabile obbligazionario di Mp Am si aprono due strade: «La crisi potrebbe risolversi nel giro di pochi mesi, con la Fed che appunto si spingerà a tagliare complessivamente di almeno 75 punti base, come è già successo nel 1998. Oppure, nell’ipotesi peggiore, potremmo finire in recessione: Bernanke riduce il costo del denaro di oltre 75 punti base, con evidenti ripercussioni anche in Europa». Comunque, quel che è certo è che la Fed proseguirà sulla politica monetaria espansiva. «In entrambi gli scenari avere delle posizioni in governativi, soprattutto in quelli con una duration intermedia, a 5 anni, è più che ragionevole ».

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L’ASSET ALLOCATION. Ma, più nel dettaglio, che tipo di portafoglio conviene costruire? A un investitore con un profilo di rischio medio, il responsabile delle gestioni di Albertini Syz, Angelo Drusiani, consiglia di limitare al 25% l’esposizione sull’azionario per destinare una quota del 60% nel reddito fisso (il 50% in governativi europei e il residuo 10% in obbligazioni societarie). Il restante 15% va indirizzato a investimenti di breve periodo, come Bot, conti pronto termine e monetari. Per evitare i rischi valutari, vista la forte volatilità del dollaro, per Drusiani «sono da escludere i bond americani».

BTP DI CASA NOSTRA. Rispetto all’America, il mercato obbligazionario europeo resta, infatti, un porto più sicuro per il risparmiatore. In particolare, tra i titoli di Stato più da tenere d’occhio per i rendimenti ci sono proprio quelli italiani, con scadenze medie (5 anni): come per esempio il Btp che scade nel 2012 e che rende il 4,32 per cento. Per chi vuole rischiare un po’ di più e avventurarsi nella parte più lunga della curva, Tommaso Federici, gestore di Banca Ifigest, suggerisce il Btp che scade nel 2019, con rendimento al 4,5% (cedola al 4,25%), e il Btp 2037, cedola al 4% e rendimento al 4,95 per cento. Decisamente più prudente, l’approccio di Luca Cazzulani. Lo strategist del reddito fisso di Ubm consiglia di stare ancora sulla parte breve della curva, «per esempio col Btp a 3 anni al 4,25% per spostarsi, poi, sulla parte lunga solo quando ci saranno segnali più evidenti della recessione in America».

Insomma, è più che evidente che da parte degli investitori, anche istituzionali, c’è un ritrovato interesse verso il Btp: come d’altronde testimoniato dai risultati dell’asta che si è conclusa giovedì 27 settembre. Tra Btp e Cct sono stati collocati dal ministero dell’Economia titoli per 7 miliardi di euro. Nel dettaglio, sul mercato sono stati piazzati Cct con scadenze di sette anni per 1,5 miliardi di euro, a fronte di richieste per 2,3 miliardi a un rendimento lordo annuo del 4,2%, Btp decennali per 3 miliardi (contro richieste per 4,058 miliardi) a un tasso del 4,66 e Btp a 3 anni per 2,5 miliardi (contro domande per 3,8 miliardi) a un tasso del 4,25 per cento.

SCOMMESSA BOND USA. Ma se il Vecchio continente piace di più, c’è chi non disdegna i reddito fisso made in Usa. Per vari money manager rappresentano un’opportunità interessante, ma solo in un’ottica di lungo periodo (superiore ai 12 mesi). «La mia idea – spiega Federici – è che il dollaro possa recuperare terreno; da qui ai prossimi 12 mesi l’euro potrebbe scivolare da quota 1,41 a 1,25 dollari. Pertanto, a mio giudizio, la parte medio-lunga della curva, quindi un decennale o un trentennale americano, può rappresentare un buon investimento. Anche perché sono convinto che l’inflazione non salirà». Un recupero, quello del mini dollaro, che può essere giocato anche con l’acquisto di titoli corporate di casa nostra: come l’obbligazione Enel in dollari, che scade nel gennaio 2013. Oppure – ed è la cosa migliore, per un investitore retail non particolarmente esperto di reddito fisso – ci si può affidare ai fondi comuni che investono nei bond americani per cogliere eventuali rialzi del dollaro (vedere articolo sopra).

CAVALCANDO LO STEEPENING. Accanto ai tradizionali eurobond, ci sono altri tipi di obbligazioni che un risparmiatore può prendere in considerazione per aumentare la sua esposizione al reddito fisso. Per esempio, i cosiddetti titoli steepening, bond strutturati che fissano le cedole future sulla base dell’andamento del differenziale tra i rendimenti decennali e quelli biennali. Al riguardo, Drusiani di Albertini Syz suggerisce l’emissione Kfw 2015 che quota 86,5 euro e che al momento offre una cedola minima garantita del 2 per cento. «Il differenziale di rendimento è molto basso, circa 27 centesimi – fa notare Drusiani – Ma se il prossimo anno i tassi dell’area euro dovessero scendere o rimanere stabili è probabile che aumentino i rendimenti sulla parte lunga della curva». Insomma, in sei mesi il differenziale potrebbe salire da 0,27 euro a 0,50-0,75 euro. «In quest’ipotesi – prosegue l’esperto di Albertini Syz – la cedola passerebbe dal 2 al 2,25-2,50% e potrebbe salire ulteriormente, via via che il differenziale si allarga. Un’altra obbligazione steepening da guardare con attenzione è, poi, la Bei 17 luglio 2020, che ha un prezzo di 75 euro e ha una cedola dell’1,5 per cento.

IL RISVEGLIO DEI CORPORATE. Ma anche alcune obbligazioni societarie sono da inserire nella lista delle occasioni d’investimento. Per effetto del fly to quality, che ha comportato l’uscita da parte degli istituzionali dai corporate bond per, poi, posizionarsi sui governativi, i prezzi delle emissioni societarie, soprattutto dei finanziari, sono scesi molto. Pertanto, potrebbe essere un buon momento per comprare. «L’importante – sottolinea Romano di Mps – è guardare a obbligazioni investment grade, con rating di almeno tripla B». Rientrano in questa categoria, il corporate bond di Unicredit (cedola 6% e scadenza marzo 2011), che rende il 5,16% lordo ed è adatto anche al retail. «Invece, per gli istituzionali – osserva Romano – c’è la nuova emissione Unicredito 5,75% 2017, che rende 130 punti base più del titolo governativo, quindi il 5,60 per cento». All’estero, sempre tra i finanziari, c’è l’emissione dell’olandese Rabobank (rating tripla A) con scadenza 2016 e cedola del 3,75 per cento. Fuori dai finanziari, rendimenti interessanti arrivano da alcuni titoli tedeschi come Deutsche Telekom che scade nell’agosto 2009, con cedola variabile.

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