*Alessandro Fugnoli e’ lo strategist di Abaxbank. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – C’è un episodio di Yogi Bear (“Oinks and Boinks”, 1961, Hanna-Barbera Studios) in cui Yogi e Boo Boo incontrano i Tre Piccoli Porcellini, che aiuteranno a difendersi da Big Bad Wolf, il Lupo Cattivo. Manca solo Girl Bear (che negli anni successivi cambierà nome e diventerà Cindy Bear). Grugniti e bramiti sono i suoni che si sentono in questa fase sui mercati e che ci accompagneranno nei prossimi mesi. Grugniti soddisfatti dal quadro macro, dall’azionario e dalle materie prime. Bramiti leggermente inquietanti dall’obbligazionario e bramiti iniziali (vagiti, più che bramiti) dal dollaro e dalle case.
Le strade, dunque, si dividono. Orsi e porcellini sono andati tutti bene nel 2005, ma il ciclo che avanza comincia a spingere i primi verso il basso mentre mantiene in ottima salute i secondi. Avere portafogli privi dei primi e
ben forniti dei secondi farà la differenza da qui a fine anno e forse oltre.
Vediamo ora gli orsetti e partiamo dal più grande, Bond Bear, che ha solo tre mesi di vita ma ha già artigli sviluppati. Le sue zampate hanno portato il decennale americano dal 4.30 (il livello sul quale ha sonnecchiato per tre anni) al 4.85, facendo ancora più danni in Europa, dove il Bund è passato dal 3.25 al 3.85. Come scrivono zoologi, animalisti e guide di parchi naturali, gli orsi delle favole e dei cartoni animati sono tanto carini e buffi, ma quelli veri sono brutali e opportunisti. Non solo non bisogna dare loro da mangiare e non si deve fotografarli, bisogna proprio tenersi lontani.
Bond Bear crescerà molto lentamente, ma crescerà. Nel brevissimo no, perché un certo consolidamento ci può stare, ma nel tempo (nella prima parte del 2007) ce lo troveremo più grosso e più aggressivo. Niente di paragonabile ai suoi antenati del 1995 e del 1998, ma nemmeno qualcosa da prendere troppo sotto gamba. Di curve invertite e di recessioni imminenti che queste preannunciano o non preannunciano si è intanto filosofeggiato per settimane, con il risultato che il ciclo continua a scoppiare di salute mentre la curva si è disinvertita, se ci si passa la parola. Tanto rumore per nulla.
Dollar Bear ha avuto una lunga gestazione. La fascia tra 1.19 e 1.22 ha tenuto per molti mesi, ma nelle ultime settimane abbiamo visto due sortite verso 1.25, di cui una in pieno corso. Il disavanzo delle partite correnti americane continua a crescere, i policy maker mostrano preoccupazione crescente (con l’eccezione sospetta di quelli americani) e le teorie superrevisioniste che vengono avanzate per minimizzare il problema suonano sempre più stonate e in contraddizione tra loro (per un riassunto molto chiaro di queste teorie si veda “Global Imbalances. The New Economy, the Dark Matter, the Savvy Investor and the Standard Analysis”, scritto da Barry Eichengreen di Berkeley e pubblicato sul suo sito).
E’ possibile che anche quella in corso sia una falsa partenza e che ci sia ancora un ultimo o penultimo treno di ritorno verso 1.20. Prima o poi, in ogni caso, si partirà sul serio. Coprire il rischio di cambio è ogni giorno più raccomandabile.
Housing Bear non è ancora venuto alla luce, ma è in gestazione avanzata. Il fatto che si continuino a costruire molte case non è rassicurante, anzi. Avviene sempre così. I costruttori, non sapendo quando finirà il boom, vanno avanti come se non dovesse finire mai. Per loro sono di più i danni nel perdere un mercato che tira rispetto al problema di trovarsi qualche casa invenduta. Se però si guarda allo spread denaro lettera (in aumento), o al tempo necessario per vendere (sempre più lungo), o alla differenza (crescente) tra prezzo richiesto inizialmente e prezzo effettivo della transazione si hanno molti degli ingredienti che di solito portano a una discesa dei prezzi.
Parliamo essenzialmente di America, ma come ha mostrato Daniel Gross (“Bubbles in Real Estate” sul sito del CEPS) il mercato europeo è totalmente correlato nei tempi e nelle variazioni di prezzo con quello americano. Se teniamo conto del fatto che ci sono ancora aumenti dei tassi in programma possiamo ben dire che stiamo per vedere una completa stabilizzazione dei prezzi delle case e, in un numero crescente di situazioni, un inizio di discesa dolce.
Ben diversa è la musica tra i porcellini. Macro Pig si mantiene molto florido. In America i segni di raffreddamento dopo un primo trimestre fortissimo sono poco visibili. In Europa continua la riaccelerazione e in Asia si mantiene una velocità molto elevata, tanto che il Fondo Monetario ha rivisto in questi giorni verso l’alto le stime di crescita per il 2006. Equity Pig continua a ingrassare e mostra un appetito vorace. Digerisce tutto, incluso il petrolio che si avvicina a 70 e i tassi in crescita quasi dappertutto. Per il momento è difficile vedere ostacoli seri sul suo cammino, per cui al massimo se ne starà fermo e si guarderà intorno.
Commodity Pig era quello dato più spesso per finito in questo 2006 e invece mostra segni di grande salute, con nuovi massimi su rame, zinco, oro e quasi massimi sul greggio. I consumi di benzina negli Stati Uniti hanno ripreso a crescere. La produzione industriale è ovunque in crescita. L’offerta tiene più testa rispetto agli anni scorsi, ma è comunque esposta a qualsiasi incidente. Per il 2006, quindi, si prospetta una tendenza molto più calma rispetto a 2004 e 2005, ma comunque rialzista, per lo meno nella prima metà dell’anno.
Che ne è, in questo quadro, del Lupo Cattivo? Il lupo esogeno, Lupus Iranicus, è temibilissimo in prospettiva, ma fino all’estate, presumibilmente, continuerà a gironzolare sui monti Zagros senza scendere a valle. Un consenso su un programma di sanzioni si fa sempre più elusivo. In teoria questo rende più possibile un’azione unilaterale americana, ma solo in teoria. Il problema è così spinoso che rinviarne la soluzione al giorno dopo è, ogni giorno, la cosa più facile.
Quanto al lupo endogeno, il pieno utilizzo dei fattori, se ne vede la sagoma all’orizzonte. La Fed smetterà di alzare i tassi quando vedrà stabilizzarsi il tasso di disoccupazione. Se dopo qualche mese il numero di disoccupati riprenderà a scendere, la Fed riprenderà ad alzare i tassi. Oltre ai grugniti (più deboli nel 2007) e ai bramiti sentiremo così anche gli ululati.
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