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(WSI) –
Il 2007 verrà ricordato come l’anno della «liquidità». O meglio della sua crisi, che nel bimestre luglio-agosto ha fatto «ballare» molti investitori istituzionali e non. Il credit crunch (la mancanza di liquidità), ha scatenato una reazione a catena tale da mandare in tilt tutto il sistema finanziario: equity, obbligazioni governative, corporate bond, hedge fund e fondi comuni (tradizionali e di nuova generazione). Solo l’intervento tempestivo delle Banche centrali, che hanno inondato di denaro le piazze finanziarie internazionali, ha evitato un immediato «contagio» dell’economia reale.
Così dai minimi del 17 agosto (giorno in cui la Fed ha tagliato il tasso ufficiale di sconto di 50 punti base, portandolo dal 5,75% al 5,25%), le Borse hanno messo il turbo innescando un rally che, sebbene con una volatilità molto elevata, potrebbe durare sino a fine anno. Una «galoppata» che, a detta di numerosi esperti, sarà supportata dai buoni fondamentali delle società e anche dall’assenza di valide alternative all’azionario. Ciò non significa che il credit crunch sia ormai un lontano ricordo. Al contrario, le autorità monetarie dovranno continuare a mantenersi vigili nella gestione di altre possibili crisi economico-finanziarie. Intanto, i bilanci delle principali banche d’affari americane, le più esposte sui subprime e collaterali vari, non hanno certo entusiasmato. Ultimi, in ordine di tempo, sono arrivati i conti di Citigroup che ha accusato nel terzo trimentre un calo del 57% dell’utile netto, e di Bank of America i cui profitti sono scesi del 32 per cento. Ora le attese sono rivolte per le banche europee coinvolte direttamente nei subprime (come Deutsche Bank, Hsbc o Bnp Paribas), molte delle quali hanno già lanciato dei profit warning. E se i risultati dovessero confermare le previsioni, nonché rispecchiare quanto già comunicato da molte big statunitensi, c’è il rischio di assistere a nuove ondate di volatilità sui mercati azionari. Resta il fatto che l’economia globale appare solida, e ciò si riflette a favore dell’equity, che rimane l’asset da privilegiare, anche se con un apprroccio improntato alla prudenza.
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In questa fase di mercato, una regola d’oro da seguire, ad esempio, è quella di comprare sulle correzioni, cioè quando le azioni si riavvicinano ai minimi degli ultimi 6-12 mesi. Anche perché le incognite sono diverse: oltre alla questione dei risultati e della sostenibilità dei profitti, l’inflazione potrebbe rialzare la testa, sospinta anche dalle quotazioni «stellari» raggiunte dal petrolio (90 dollari al barile il record segnato a New York).
Tanti interrogativi, quindi, discussi nel corso del Forum organizzato da Borsa&Finanza. Alla tavola rotonda hanno partecipato: Massimo Cesareo (direttore gestioni individuali e clienti istituzionali di Dws Investments Italy), Gianluca Ungari (responsabile azioni globali di Antonveneta Abn Amro), Luca Tenani (responsabile divisione mutual funds di Schroders), Nicola Trivelli (direttore investimenti di Sella Gestioni), Raimondo Marcialis (direttore generale di Mc Gestioni), Francesco Fonzi (responsabile gestioni bilanciate di Credit Suisse), Stefano Rossi (amministratore delegato di Edmond de Rothschild), Marco Brambilla (direttore generale di DekaBank Italia) e Guido Casella (strategist di Azimut Sgr).
Secondo i money manager, l’asset allocation ideale per affrontare la fine del 2007 deve essere composta quasi esclusivamente da equity e cash. Una piccola percentuale potrebbe essere dedicata anche al mondo obbligazionario, ma solo in un’ottica di copertura del portafoglio e focalizzando l’attenzione in Europa sulle scadenze brevi. Sul fronte azionario, il consiglio è di muoversi con molta prudenza, data la volatilità crescente, di privilegiare le blue chip rispetto alle small e mid cap e di continuare a cavalcare (con selezione) l’onda emergente. Ma per sapere come muoversi, quali piazze e quali settori privilegiare, nonché quale strategia adottare con le valute, lasciamo la parola ai gestori.
1 Le Borse si stanno preparando a una chiusura d’anno con il piede sull’acceleratore. È un rally da seguire o sarebbe meglio alleggerire il peso dell’azionario e puntare su altre asset class?
Cesareo: L’equity rimane l’asset class da preferire. Buona parte del rally di fine anno c’è già stata. I principali mercati di riferimento, Europa, Stati Uniti e Giappone, hanno messo a segno un consistente rimbalzo, tra il 10% e il 12%, mentre l’Asia, trainata dai tassi di crescita esplosivi, ha toccato rendimenti tra il 30% e il 40 per cento. Pensiamo che, grazie al traino dei Paesi emergenti, l’economia continuerà a crescere nel 2007 e anche nel 2008. Inoltre, non vediamo particolari tensioni inflazionistiche. E i mercati si stanno comportando di conseguenza. La crisi del credito, comunque, non si è risolta del tutto. Quindi il mio consiglio è sì di continuare a privilegiare l’equity, ma con molta cautela.
Ungari: Sono assolutamente d’accordo. La prudenza è d’obbligo. Il taglio di 50 punti base dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, le enormi iniezioni di liquidità effettuate dalle Banche centrali, nonché l’inarrestabile crescita degli utili, hanno sospinto tutte le Borse e rappresentano una condizione ideale per un rally della liquidità che si prolungherà fino a fine anno. Tuttavia, rimangono forti rischi legati al credit crunch. Il periodo critico sarà il primo trimestre del 2008, poiché ci aspettiamo un ritorno delle preoccupazioni legate ai subprime, a causa del reset della gran parte dei mutui effettuati negli ultimi anni, e un assorbimento progressivo della liquidità.
Tenani: Personalmente credo che il rally si sia già visto. Dal minimo toccato dalle Borse a metà agosto i corsi azionari hanno messo a segno un forte recupero, man mano che l’appetito per il rischio tornava tra gli investitori e si invertiva il fly to quality. Comunque, ci sono almeno tre elementi a sostegno di un mercato «bullish»: la ricostituzione della fiducia nel settore bancario; l’iniezione di liquidità da parte delle Banche centrali; la flessione non troppo marcata del ciclo americano. Ma ci sono anche tre fattori cruciali che invitano alla cautela: in primis il credit crunch, i cui effetti di lungo periodo non sono stati interamente neutralizzati; poi c’è il rischio di un effetto-ricchezza negativo sulle famiglie, che potrebbe impattare sui consumi e quindi sulla crescita; infine stiamo entrando in una fase meno favorevole del ciclo economico, quella di rallentamento della crescita. Storicamente, in questa fase del ciclo i mercati tendono a soffrire. Anche se questa volta il risultato complessivo potrebbe essere mitigato dal buon livello delle valutazioni e dall’orientamento espansivo della politica monetaria.
Trivelli: Anche secondo noi ci sono elementi che giocano a favore di nuovi rialzi dell’equity: a partire proprio dalla liquidità iniettata nel sistema dalle banche centrali, fino ad arrivare alle buone previsioni in termini di rapporto prezzi/utili (p/e). A differenza dei colleghi che mi hanno preceduto, però, la nostra visione di base è negativa. Colpa di una crisi di liquidità che non è stata risolta del tutto e del momento difficile che sta attraversando il settore immobiliare Usa. Inoltre, oggi si comincia a vedere anche un po’ d’inflazione, soprattutto sul lato degli alimentari e dell’energia. Per tutte queste ragioni, riteniamo che il futuro dell’equity sia piuttosto incerto e preferiamo rimanere prudenti per il 2008.
Marcialis: Ci sono state diverse turbolenze sui mercati a causa dei subprime. L’intervento delle Banche centrali, però, è stato tempestivo e ha impedito che l’economia reale venisse contagiata dalla crisi dei mutui americani. Tra l’altro, non c’è stato alcun rallentamento dei flussi in entrata sui mercati azionari, anche perché in questo momento si fatica a trovare valide alternative all’azionario. I mercati, dunque, potrebbero far segnare una lieve accelerazione da qui a fine anno, ma non mi aspetto un rally deciso. Anche perché la corsa dei listini potrebbe dare l’opportunità ai gestori di modificare la struttura delle asset class, portando a casa i guadagni e «riaggiustando» il portafoglio in maniera opportuna già per l’inizio del 2008. Sono convinto che il futuro delle piazze finanziarie dipenderà molto dalle trimestrali societarie che saranno pubblicate nelle prossime settimane. In particolare, dalle stime di consenso di questo mese rileviamo un’attesa di riduzione degli utili di circa il 15 per cento. Previsioni che se dovessero essere confermate porteranno a un rallentamento più marcato del ciclo economico, deprimendo le Borse.
Fonzi: Anche noi siamo convinti che il rally possa proseguire sino alla fine del 2007, portandosi via anche una parte delle performance del prossimo anno. Il quadro congiunturale di fondo rimane costruttivo, grazie anche agli effetti della globalizzazione. Oggi stiamo vivendo uno sfasamento dei cicli mai visto prima. E questo ci porta a credere che le défaillance di America ed Europa possano essere tranquillamente compensate dalla crescita dell’Asia e di altre aree emergenti. Anche il quadro micro appare sano, a tutto vantaggio ovviamente dell’equity, oggi l’unica asset class interessante rimasta sul mercato. È proprio per questo che vediamo nel breve ancora del potenziale inespresso. Il 2008, invece, sarà un anno più incerto, a causa delle rinnovate pressioni inflazionistiche che rappresentano una seria minaccia per il quadro economico globale.
Rossi: Anche noi siamo positivi sulla componente azionaria, che oggi ha un peso nei nostri portafogli del 53 per cento. Quest’anno abbiamo assistito a un evento davvero unico: la decorrelazione tra le azioni e altri strumenti ritenuti più liquidi e sicuri. Mi spiego meglio: l’equity è stata sempre considerata un’asset class difficile da vendere nei momenti di crisi. Ma nel bimestre luglio-agosto è successo esattamente il contrario, con molti hegde fund in difficoltà che sono riusciti a vendere solo azioni. Ed è proprio da questo punto di vista che secondo noi l’equity andrebbe rivalutato.
Brambilla: Mi trovo perfettamente d’accordo con quanto detto finora. Siamo positivi sull’equity ed eventuali correzioni dovranno essere sfruttate per comprare a sconto e quindi generare valore. La creazione di alfa, comunque, dipenderà molto da un’attenta selezione dei Paesi in cui investire.
Casella: Secondo me è inutile guardare ai dati macro per fare delle previsioni sul futuro delle Borse. Anche perché i dati comunicati fino a oggi si sono rivelati sempre sbagliati. Credo, invece, che in una situazione di precario equilibrio come quella attuale a fare la differenza sarà la campagna utili.
2 Tra poche settimane ci saranno due appuntamenti importanti, prima con la Fed e poi con la Bce. Quali sono le vostre previsioni in tema di politica monetaria? Eventuali tagli dei tassi potrebbero favorire un ritorno ai bond?
Casella: La Federal Reserve e la Banca centrale europea non hanno motivi per mettere mano ai tassi d’interesse. Di conseguenza non considero molto attraente il mondo obbligazionario. Anzi. In questo momento credo che sia tatticamente sbagliato investire in bond. Suggerisco di stare lontano anche dalle emissioni corporate, che non offrono un rendimento tale da coprire il rischio.
Brambilla: Anche noi non ci aspettiamo grandi cambiamenti in termini di politica monetaria. Soprattutto da parte della Bce. In questo momento, quindi, conviene stare fuori dalle obbligazioni, dividendo il proprio portafoglio tra equity e cash. Un altro consiglio importante che mi sento di dare è di non puntare sugli investimenti in dollari. Personalmente, infatti, sono molto preoccupato sul futuro del biglietto verde. Sembrerebbe, infatti, che molti Paesi del Medio ed Estremo Oriente stiano valutando la possibilità di cambiare le loro riserve monetarie da dollari in euro. E questo potrebbe deprimere ulteriormente le valutazioni della moneta statunitense.
Rossi: Anche noi pensiamo che sia importante coprirsi sempre dal rischio di cambio, soprattutto nei confronti del biglietto verde. Gli Stati Uniti, infatti, hanno tutto l’interesse a mantenere un dollaro debole che, oltre a favorire una riduzione del deficit delle partite correnti, serve a compensare il forte aumento dei prezzi delle materie prime. In termini di politica monetaria, invece, pensiamo che la Bce abbasserà i tassi di 50 punti base nei prossimi sei mesi in due interventi successivi da 25 punti. Sul versante obbligazionario, abbiamo una piccola esposizione in bond, ma con una duration molto bassa: 1,4 anni.
Fonzi: Dal lato Bce non mi trovo affatto d’accordo. Penso piuttosto che il presidente Jean-Claude Trichet opterà per un prolungato status quo. Chi interverrà ancora sul costo del denaro, invece, sarà la Fed, con due tagli che potrebbero portare i tassi al 4,25% entro fine anno. Dal lato bond, invece, considerando l’eventualità di uno steepening, cioè di un irripidimento delle curve, anche noi siamo sottopesati in termini di duration.
Marcialis: Noi, invece, non vediamo grandi strategie né da parte della Fed né da parte della Bce. Per quanto riguarda il mondo obbligazionario, invece, riteniamo che in questo momento non vi siano opportunità d’investimento interessanti. Scommettere oggi sui bond vorrebbe dire assumersi del rischio non ripagato dal rendimento. Tuttavia, l’aria d’incertezza che si respira in questo momento sulle Borse suggerisce di tenere una parte del portafoglio investita in obbligazioni. Guardando ai fondamentali macroeconomici sembrerebbe ideale un investimento sulla parte media della curva americana. Anche se c’è da considerare il rischio valutario, che ora rende l’obbligazionario europeo un po’ più sicuro.
Trivelli: Noi vediamo una Bce ferma al 4% e una Fed pronta a tagliare di altri 25 punti base i tassi di interesse, portandoli così al 4,50 per cento. Per quanto riguarda i bond, pensiamo che la crescita dell’inflazione in Europa potrà generare un irripidimento della curva dei rendimenti. Quindi meglio stare lontani dalle scadenze medio-lunghe. La parte breve, invece, è quella che fa meno male, ma noi la consigliamo solo come parcheggio momentaneo della liquidità. Guardiamo con molto interesse, invece, al mondo delle emissioni societarie. I titoli corporate sono quelli che hanno sofferto maggiormente nella crisi del mese di agosto. Pertanto, visti l’allargamento degli spread e il mancato riassorbimento delle perdite, riteniamo che possano rappresentare interessanti opportunità di acquisto. Ma occorre fare tanta selezione e puntare sugli emittenti investment grade, cioè di elevata qualità creditizia.
Tenani: L’atteso rallentamento della crescita economica americana a fine anno potrebbe giustificare due ulteriori interventi al ribasso di 25 punti base da parte della Fed, impegnata ad allentare le tensioni sul mercato del credito al fine di ridurre l’impatto sulla spesa delle famiglie. La Bce si troverà, invece, in una situazione più complessa. Vincolata a un target unico sulla crescita dei prezzi, il suo orientamento dovrebbe essere di tipo restrittivo. Tuttavia, il costante apprezzamento dell’euro sta già di fatto agendo come una stretta monetaria e, a fronte di un possibile rallentamento della crescita nel Vecchio Continente, la Bce potrebbe essere forzata a intervenire al ribasso sul costo del denaro. Ma difficilmente questa ipotesi si concretizzerà nel 2007. Per quanto riguarda la possibilità di tornare sul segmento obbligazionario, vediamo un’opportunità, ma non nel breve periodo. La recente correzione che ha interessato i bond governativi ha in parte stemperato il rally obbligazionario iniziato a luglio. E difficilmente assisteremo a un’inversione del trend prima che si saranno verificati quei segnali di rallentamento reale attesi in America solo per la fine dell’anno e in Europa qualche mese dopo.
Ungari: Anche noi ci aspettiamo un taglio da parte della Fed di 25 punti base entro fine anno. Mentre, considerando che l’economia europea dimostra di essere ancora in salute e che l’inflazione è sopra i target, pensiamo che la Bce continuerà a navigare a vista. Guardando all’obbligazionario, invece, riteniamo che agli attuali livelli il mercato dei bond rappresenti un buon investimento. Preferiamo ancora gli Usa all’Europa.
Cesareo: Pensiamo che Fed e Bce non effettueranno alcuna manovra di politica monetaria. E in questo scenario, riteniamo che convenga investire in Europa sulla parte breve della curva, quindi 1-2 anni, eventualmente diversificando sul dollaro con un’ottica di medio termine.
3 Alla luce dello scenario macroeconomico che avete appena delineato, quali sono le aree geografiche e i settori più promettenti?
Ungari: Abbiamo deciso di sovrappesare gli Stati Uniti rispetto all’Europa, partendo dalle previsioni che l’economia nel Vecchio Continente potrebbe rallentare, mentre l’America dovrebbe crescere in linea con le attese del mercato o perfino fare meglio. Per quanto riguarda gli emergenti abbiamo aperto posizioni lunghe sull’Asia, in particolare sulla Borsa di Hong Kong. A livello settoriale ci piacciono l’energia in Europa e le materie prime in Cina, mentre manteniamo un sottopeso sui finanziari. Il Giappone, invece, resta ancora un punto interrogativo.
Tenani: Noi, invece, siamo proprio negativi sul Sol Levante. L’economia giapponese continua a soffrire e neppure l’effervescente attività di M&A riuscirà a sostenere i corsi azionari del listino di Tokyo. Siamo positivi sull’America, un mercato che consideriamo difensivo per la forte presenza di società di grandi dimensioni, che assicurano una maggiore resistenza agli sbalzi della volatilità. Anche l’Europa ci piace, nonostante il ruolo complesso che dovrà svolgere la Bce, divisa tra sostegno alla crescita e lotta all’inflazione. Per quanto riguarda gli emergenti, restiamo neutrali su Asia e Cina. La Borsa cinese ha corso parecchio e i prezzi di molte società sono ben al di sopra del valore dei fondamentali. Un esempio su tutti è China Airlines, il titolo più caro a livello mondiale nel comparto delle compagnie aeree. Vediamo, invece, del valore ancora inespresso nei mercati dell’Europa dell’Est, in particolare in Russia. In America Latina il sottopeso del Messico è compensato dal sovrappeso del Brasile. I settori più attraenti sono energia e beni voluttuari.
Cesareo: A livello geografico continuiamo a preferire l’Europa, in particolare la Germania. Per quanto riguarda i Paesi emergenti, invece, pensiamo che ci siano ancora margini per crescere, ma solo in un’ottica di medio periodo. Le aree più promettenti si confermano il Brasile e il Sud-Est asiatico. A livello settoriale restiamo cauti sui finanziari a causa della crisi del mercato del credito, in quanto non è ancora terminata e ci vorranno mesi prima che possa rientrare. Privilegiamo, invece, le utility.
Trivelli: Anche noi siamo per l’Europa. L’economia del Vecchio Continente rallenterà meno di quella americana, anche se il dollaro debole potrebbe favorire le esportazioni delle aziende americane. A livello settoriale i titoli più interessanti sono quelli legati al ciclo degli investimenti, cioè i tecnologici e gli industriali, che esportano nelle aree emergenti. Un altro settore su cui puntiamo molto è l’energia, con un prezzo del petrolio destinato a rimanere alto per la forte domanda proveniente dai Paesi emergenti. Una particolare attenzione va posta all’energia alternativa, solare ed eolica. Per finire con uno scenario di tassi stabili, puntiamo sulle utility. Siamo invece negativi su buona parte dei titoli finanziari, non solo per le perdite indotte dalla crisi dei mutui subprime americani, ma anche per la mancanza dei ricavi in quelle che in passato erano state importanti aree di business: private equity, credito, investment banking. Sul fronte degli emergenti, il rally in corso e le valutazioni di Paesi come la Cina e l’India ci inducono ad assumere un atteggiamento prudente, pur essendo consapevoli del fatto che nuovi flussi di capitali in entrata in queste aree potrebbero spingere gli indici su nuovi massimi nei prossimi mesi. Crediamo che i mercati più interessanti siano Brasile e Russia, in quanto produttori di materie prime, anche se in questi Paesi intravediamo qualche rischio politico a causa delle prossime elezioni. Invece Cina e India ci piacciono per il forte sviluppo delle loro economie e la crescita dei consumi.
Marcialis: Premesso che la nostra strategia d’investimento è basata su tecniche di tipo quantitativo, abbiamo incrementato le quote del nostro portafoglio su Stati Uniti e Canada, mentre le abbiamo ridotte in Europa. Sul Giappone restiamo neutrali, mentre abbiamo sposato un atteggiamento prudente per quanto riguarda l’Asia e i mercati emergenti. Il motivo è che i prezzi attuali non saranno sostenibili a lungo. Tra gli emerging market abbiamo leggermente sovrappesato Hong Kong, la Malesia, alcuni Stati dell’Europa convergente, la Russia e in America Latina puntiamo sul Brasile. Per quanto riguarda gli investimenti in termini settoriali, food and beverage e tecnologici sono in questo momento i settori che presentano ottimi fondamentali, una buona crescita degli utili e un indebitamento relativamente basso. Prevediamo che gli energetici possano continuare a sovraperformare il mercato grazie alla domanda di greggio che mantiene i prezzi del petrolio elevati e che contribuisce a migliorare i margini di redditività delle società petrolifere.
Fonzi: Partendo dagli emergenti, al momento la posizione più importante l’abbiamo sull’Asia, in particolare su Hong Kong. Dall’inizio dell’estate abbiamo investito negli Stati Uniti, beneficiando quindi del rally di Dow Jones e S&P500. E ci siamo riposizionati anche sull’Europa. Come società preferiamo le large cap, perché in termini di volatilità sono più difensive e hanno valutazioni più attraenti. Inoltre, ha ripreso quota come stile di gestione il growth, cioè la selezione dei titoli che incorporano potenzialità di crescita di lungo termine. Sulla base di queste scelte strategiche privilegiamo industriali, energetici, farmaceutici e tecnologici.
Rossi: Siamo ancora molto fiduciosi sulla crescita economica degli emerging market. Anche perché negli ultimi cinque anni gli emergenti hanno avuto notevoli miglioramenti strutturali nei bilanci pubblici, nell’assetto industriale come anche nell’economia. In particolare, i Paesi produttori di materie prime, come la Russia, hanno avuto l’opportunità di ripagarsi il debito pubblico. Noi abbiamo incrementato negli ultimi mesi Cina, Brasile e investiremo in Thailandia.
Brambilla: Guardiamo con attenzione all’Europa, in particolare alle large cap di Germania, Olanda e Svizzera. Siamo invece sottopesati sull’equity a stelle e strisce, dove non vediamo valore almeno sino alla fine del 2007. Per quanto riguarda gli emergenti, abbiamo aperto posizioni rilevanti nell’Est Europa, in particolare in Russia. Siamo poi convinti che il Medio Oriente sia destinato a diventare un’asset class davvero importante. Scendendo un po’ più nel dettaglio, investimenti importanti li abbiamo effettuati in Qatar, Oman, Bahrein e Arabia Saudita. E tra i nostri titoli preferiti c’è il colosso del petrolchimico Petronas, che è quotato alla Borsa di Kuala Lumpur. In America Latina, infine, siamo fuori dal Messico e neutrali sul Cile.
Casella: La percentuale preponderante del nostro portafoglio è in Europa. Nel mondo degli emergenti chi ha beneficiato di più finora sono stati i titoli ciclici. Credo poi che siano da tenere sotto osservazione i finanziari: è vero che quest’anno hanno ottenuto risultati deludenti in Borsa, ma le banche e le assicurazioni che riusciranno a espandersi in Asia torneranno a fare faville.
4 Parliamo infine dell’Italia. Quali sono le vostre valutazioni su Piazza Affari, considerando che da inizio anno è il mercato europeo con la peggiore perfomance? E con l’entrata in vigore della Mifid, le Sgr e le reti saranno pronte a recepire tutti i cambiamenti?
Ungari: Visto che l’M&A del settore bancario è sulla via del tramonto e che mancano le large cap legate al ciclo di crescita globale guidato dall’Asia, abbiamo deciso di focalizzarci sul risiko delle utility, come Edison, Enìa, Iride, Aem ed Hera. Un altro tema sono i titoli con valutazioni non elevate e buone prospettive di crescita, come Recordati, Campari e Autogrill. Per quanto riguarda la Mifid, riteniamo che non tutti saranno in grado di recepire a pieno la nuova normativa entro il 1° di novembre, a causa della profondità del cambiamento e del numero di soggetti coinvolti. I concetti cardine di adeguatezza e appropriatezza coinvolgono tutti i servizi finanziari, da un punto di vista sia formale sia sostanziale, ma soprattutto in termini di procedure e tecnologia che alcuni soggetti avranno difficoltà a gestire entro il 1° novembre.
Cesareo: Piazza Affari ha sofferto non solo per i risultati deludenti dei finanziari, che hanno un forte peso sull’indice milanese. Un altro motivo è costituito dai tassi di crescita: l’Italia è forse l’unico Paese occidentale ad avere una crescita così bassa e sappiamo bene che le Borse premiano in primis l’espansione economica. Ecco perché riteniamo che in Italia non vi siano, per il momento, molti settori su cui puntare. Tuttavia, effettuando un’attenta selezione, è possibile trovare delle piccole realtà aziendali, come Polynt e Trevi, su cui vale la pena tenere i riflettori accesi. Sulla Mifid penso che le società di gestione non siano ancora pronte per adeguarsi alla direttiva comunitaria e del resto anche i chiarimenti da parte di Consob sono giunti solo recentemente.
Tenani: Sull’Italia mi limito a dire che guardiamo con attenzione Gemina e Amplifon. Siamo convinti che entrambi i titoli possano creare valore, ma preferisco non aggiungere altro.
Trivelli: In Italia ci aspettiamo buone performance, soprattutto dalle aziende di media capitalizzazione, particolarmente attive nell’export verso l’Asia: è il caso delle società operanti nel settore del lusso, visto che da Paesi emergenti come Cina, India, Russia e Brasile arriva una richiesta sempre maggiore di prodotti di alta gamma. Crediamo, invece, che non sia il caso di scommettere sui finanziari, anche perché l’entrata in vigore della Mifid potrebbe provocare una forte riduzione dei profitti delle banche.
Fonzi: Sottopesiamo l’Italia rispetto alle altre Borse, ma Piazza Affari potrebbe recuperare se dovesse esserci un taglio dei tassi. Come titoli i nostri preferiti sono gli industriali come Fiat e Finmeccanica, mentre manteniamo un profilo conservativo sulle banche.
Brambilla: Concludo dicendo che anche per l’Italia vale la regola delle blue chip. Tra queste scegliamo Intesa Sanpaolo, tra i finanziari, nell’energia Enel e Brembo come titolo industriale.
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