(WSI) – C’è un aspetto da non sopravvalutare e uno da non sottovalutare nel rapporto semestrale dei Servizi di informazione. È comprensibile che susciti particolare preoccupazione l’eventualità di attentati con armi di distruzione di massa in Italia. Ma si tratta, viene sottolineato, soltanto di una «possibilità» e di uno «scenario». In realtà, concordano i responsabili del Sismi e del Sisde, non vi è nulla di concreto. In camera caritatis confessano che è un’ipotesi avanzata a scopo cautelativo anche per prevenire eventuali accuse di «carenza di immaginazione», così come è successo all’ intelligence americana per non aver saputo prevedere la tragedia dell’11 settembre.
Ciò su cui invece bisogna seriamente riflettere è il fatto che l’Italia è diventata un bersaglio primario del terrorismo islamico. Non allo stesso livello degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, ma certamente tra i Paesi più esposti. Questa minaccia si è notevolmente accresciuta dopo la scadenza, lo scorso 15 luglio, della tregua avanzata da Osama bin Laden all’Europa. Si è registrata da allora un’inedita e massiccia campagna mediatica, addirittura in lingua italiana, volta a creare virtualmente un clima da guerra totale.
L’obiettivo è duplice: da un lato esercitare un’estenuante pressione psicologica sulle autorità e sull’opinione pubblica italiane per alimentare il panico, accrescere l’insicurezza e inasprire lo scontro politico e sociale interno; dall’altro sollecitare l’azione terroristica delle cellule islamiche attive e dormienti, nonché di singoli insospettabili elementi animati da uno spontaneismo che esplode all’improvviso.
Anche in quest’ambito vi sono un lato tranquillizzante e uno preoccupante. I nostri apparati di sicurezza ritengono che difficilmente in Italia potrebbe verificarsi un attentato terroristico in grande stile come la strage di Madrid dello scorso 11 marzo. Perché si baserebbe sull’azione di un gruppo consistente di terroristi che, si sottolinea, verrebbe con molta probabilità represso sul nascere. A differenza della Spagna, da noi l’opera di intercettazione e prevenzione è capillare e ininterrotta. Tutti i siti «caldi» sono costantemente monitorati e sotto controllo.
Ciò che invece preoccupa è il possibile attentato a opera di piccoli gruppi, di cellule dormienti che risiedono da anni in Italia in modo del tutto anonimo e defilato. E si teme in particolare il colpo di testa del terrorista «fai da te», come il marocchino Moustafa Chaouki che lo scorso 28 marzo si fece esplodere a bordo di un’autovettura carica di bombole di gas di fronte a un McDonald’s alle porte di Brescia.
Il rapporto del Cesis conferma che l’Italia è pienamente inserita nella trama del terrorismo islamico globalizzato. Non soltanto come bersaglio primario da colpire nel breve termine per costringerci a ritirare le nostre forze dall’Iraq. Ma soprattutto come terra di predicazione, formazione, arruolamento ed esportazione di combattenti e aspiranti kamikaze islamici. È una guerra globale. Che l’Italia sta affrontando con serietà ed efficienza. Ma dove il livello di rischio resta sempre molto elevato.
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