10:41 lunedì 4 Aprile 2022

Effetto Ucraina su Pil Italia, Confindustria lancia alert recessione al governo Draghi

Tre sono gli scenari che Confindustria ha stilato sull’economia italiana, in particolare sugli effetti della guerra in Ucraina sul Pil dell’Italia:  il termine che ricorre è quello che mai si sarebbe voluto sentire, soprattutto dopo la forte ripresa post-pandemia del 2021, pari nel caso dell’Italia a un’espansione del 6,6%, a fronte di un deficit e di un debito in discesa. E invece la parola è stata proferita nell’intervento di sabato scorso 2 aprile da Carlo Bonomi, numero uno dell’associazione degli industriali.

C’è da dire che di pericolo recessione in Italia se n’é parlato molto nei giorni scorsi, anche in occasione dell’incontro “The Agenda for Italy” a Cernobbio (Como) nell’ambito del forum The European House – Ambrosetti.

A margine dell’evento, tra gli altri, ha parlato anche l’ex Commissario della spending review, ex Fmi e attualmente direttore dell’Osservatorio dei Conti pubblici, Carlo Cottarelli:

“Personalmente credo che se la guerra dura poco abbiamo ancora la possibilità di finire l’anno con una bella crescita, tenendo conto che anche con una crescita zero nel corso dell’anno partiamo già con un +2,4% del PIL acquisito. Se invece la guerra va avanti allora diventa tutto più difficile, dipende dalle circostanze con cui va avanti, però lì una recessione diventa più facile”.

Cottarelli ha sottolineato che “quello che si percepisce è una grande preoccupazione forse più di qualunque altro forum Ambrosetti che sono stato, anche più del Covid. La guerra è una cosa che preoccupa moltissimo in questo momento”. Detto questo, “il rallentamento comunque ci sarà, per tutte le cause che ben conosciamo, ma credo che per l’Italia l’obiettivo della crescita al 3% si possa raggiungere”.

E ha detto la sua anche il commissario Ue agli Affari economici e monetari Paolo Gentiloni, che si è mostrato meno pessimista di Confindustria: “Avremo certamente un rallentamento della crescita, avremo certamente un impatto di questa nuova crisi, ma non siamo affatto destinati a un percorso di crescita negativa o di recessione”, ha detto, parlando anche lui a margine del forum Ambrosetti. “Certamente noi abbiamo una previsione per l’Europa del 4%, per l’Italia del 4,2% ma sono le previsioni di gennaio – ha continuato Gentiloni – Io presenterò le nuove previsioni europee il 16 maggio. Ci sarà un rallentamento della crescita, certamente quel 4% europeo a oggi è ottimistico, che non raggiungeremo”. Ma “non credo che questo significhi di per sè una prospettiva di un rallentamento che si spinga fino a tendenze recessive – ha tenuto a precisare- perché con la crescita che abbiamo realizzato nel 2021 possiamo avere un moderato ottimismo di mantenere un livello più basso di crescita sostenibile anche nel 2022”.

L’alert recessione non è mancato invece nell’intervento di Carlo Bonomi, che ha presentato le nuove stime del Centro Studi Confindustria:

“Il rapporto di stamane è stato redatto sulla base di tre ipotesi diverse: una che è quella che oggi appare la migliore possibile e auspicabile, una intermedia, e infine una terza decisamente avversa. A seconda che le armi tacciano con un primo passaggio alla diplomazia entro 3 mesi, che invece un vero cessate il fuoco non ci sia fino alla fine dell’anno, o addirittura che arrivi ancora più avanti”.

“I numeri che se ne deducono – ha continuato Bonomi – sono tali da dare estrema e ulteriore concretezza all’allarme crescente e inascoltato che da mesi Confindustria ha lanciato. Nell’ultima parte del 2021 la produzione industriale aveva preso a diminuire rapidamente la sua crescita. Da dicembre era passata in territorio negativo”. Il risultato è che “oggi, anche nello scenario più ottimistico dei tre indicati, la conseguenza è che avremo una crescita del PIL 2022 sotto il 2% e non più oltre il 4% come atteso (dunque più che dimezzata) e dell’1,6% nel 2023. Cioè inferiore al solo effetto di trascinamento sul 2022 del vigoroso rimbalzo dell’anno precedente, con una recessione tecnica nei primi tre trimestri dell’anno non compensata dal ritorno alla crescita nella seconda metà del 2022. Nel secondo scenario, la crescita 2022 scenderebbe ulteriormente all’1,6%, e all’1% nel 2023. Nello scenario più severo, nel 2023 saremmo in recessione conclamata”. E ancora: “Anche nel migliore dei casi, la produzione industriale passerebbe quest’anno dal +11,7% del 2021 al +1,5%, se e solo se nella seconda metà del 2022 le cose miglioreranno. E gli investimenti fissi lordi, dopo l’incoraggiante +17% del 2021, quest’anno aumenterebbero solo del +4,5%. Colpendo la propensione a investire delle imprese proprio in questo 2022, che rappresenta il primo per partecipare e aggiudicarsi i bandi del PNRR. Questi scenari e questi numeri dovrebbero costituire un serissimo allarme generale per le istituzioni e la politica del nostro Paese”.

Bonomi ha ricordato l’avvertimento di Confindustria che, anche prima della guerra tra la Russia e l’Ucraina, aveva messo in evidenza come l’ascesa dei prezzi e dunque dell’inflazione non fosse un fenomeno temporaneo, o transitorio, come aveva rassicurato più volte, tra gli altri, la stessa presidente della Bce, Christine Lagarde:

 “Il tentativo in tutto il 2021, di fronte al nostro crescente richiamo agli enormi rischi della ascesa ripida dei prezzi energetici e delle commodities minerarie e agricole, è stato quello di ripetere che gli aumenti di costo e le difficoltà di approvvigionamenti alla produzione erano fenomeni effimeri e temporali. Per molti versi vediamo intorno a noi oggi un’analoga tendenza: credere che magari tra qualche settimana il conflitto in Ucraina finisca e tutto torni come nel 2019 pre-COVID”. E invece, “non è stato vero l’anno scorso, non è vero in questo 2022. È venuto il momento di abbandonare queste azzardate illusioni. E di adottare misure strutturali e adeguate”. Come? Bonomi ha fatto delle proposte molto chiare al governo di Draghi, in un contesto in cui l’Italia paga la sua forte dipendenza dall’energia, soprattutto, dal gas della Russia: “Se non si fa in Europa il tetto sui prezzi di mercato del gas si può e si deve fare in Italia”, ha chiesto il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, secondo cui le misure prese finora dal governo contro il caro-energia “non sono sufficienti”. “La risposta rapida e strutturale che aspettiamo l’abbiamo illustrata da settimane al governo. E’ un tetto al prezzo del gas. Non un calmiere stabilito discrezionalmente dalla politica – ha tenuto a precisare il Bonomi – non siamo dirigisti. Al contrario, una misura basata sulla precisa ricognizione dei prezzi di mercato oggi applicati ai contratti vigenti per gli importatori. Sono prezzi che nulla hanno a che vedere con il prezzo spot del gas fissato ogni giorno sul mercato olandese, che incorpora ogni volatilità e mutata aspettativa della guerra in corso. Il tetto era una misura da adottare in Europa, e riconosciamo al Presidente Draghi, come al premier spagnolo Sanchez, di essersi impegnati molto in tal senso all’ultimo Consiglio Europeo. Ma la contrarietà di tedeschi, olandesi e altri è stata fortissima. Se non lo si fa in Europa, il tetto su prezzi di mercato si può e si deve farlo in Italia”. A tal proposito, è stato ricordato che “il Governo ha conferito al regolatore ARERA tutti i poteri necessari per farsi comunicare i dati dagli operatori. È una misura che si può varare in 48 ore, commisurata a prezzo reale e durata reale dei contratti. Una quota crescente di energia da rinnovabili va poi esplicitamente dedicata per durata pluriennale all’industria. Il GSE in Parlamento si è detto favorevole, si tratta solo di deciderlo e non capiamo perché non lo si faccia. Le misure sin qui adottate dal Governo non sono sufficienti”. Bonomi ha sottolineato anche che “non siamo il Paese UE con il costo industriale più alto di benzina e gasolio ma con la più elevata quota di accise e IVA aggiunta al distributore”. Dunque, “decidere un taglio limitato a 30 giorni fa solo pensare che il Mef non intenda rinunciare strutturalmente a nulla di un prelievo così inaccettabilmente elevato. Se per le famiglie è lecito sperare che tra poche settimane i riscaldamenti nelle case degli italiani si spegneranno, le imprese hanno la cattiva abitudine di produrre tutto l’anno. E la risposta agli enormi sovraccosti attuali non può essere la cartolarizzazione di due mesi di bollette, comunque da pagare al prezzo olandese invece che a quello reale d’importazione e distribuzione in Italia”. Fondamentale è recidere il cordone ombelicale che lega l’Italia alla Russia: ” La necessità di liberarci entro 24 mesi dal vincolo dell’elevata quota di gas russo è una condizione oggettiva e strutturale, che modifica profondamente le priorità sin qui dichiarate. Va messa da parte ogni illusione che intorno al gas Mosca non continui a giocare una per noi molto rischiosa partita geopolitica. L’Europa è di gran lunga il suo primo mercato di sbocco e non si sostituisce in un anno con la Cina. Ed è da gas e petrolio e carbone che Putin ricava il finanziamento della sua economia di guerra. Ogni qualvolta il mercato fa scendere di una decina di euro a megawattora il prezzo quotidiano del gas, Mosca reagisce con nuove dichiarazioni su metodi di pagamento e il prezzo risale”. In quest’ottica, una stilettata ha colpito anche il Pnrr sfornato da governo Draghi: “Il Pnrr non aveva in programma ingenti investimenti per sostituire la quota di gas russo” nel giro dei prossimi 24 mesi. Per questo “è necessario modificarlo”. Lo ha detto il presidente di Confindustria Carlo bonomi in una conferenza stampa pe presentare il Rapporto di previsione del Csc. “Bisogna battersi perchè l’Europa capisca che in questo quadro enormi filiere industriali restano scoperte ha aggiunto”. D’altronde, “i dati odierni dimostrano che il PNRR da solo, concepito in altri tempi, non è in grado di generare effetti di crescita tali da contrastare adeguatamente l’enorme colpo portato dagli avvenimenti in corso. Alla sfida di realizzarlo al meglio, se ne aggiunge un’altra di assoluta emergenza: approntare e varare subito un’efficace strategia strutturale di crescita aggiuntiva con misure nazionali. Se le istituzioni assistono senza batter ciglio a un indebolimento così grave della competitività del nostro sistema industriale, che pagherà anche questa volta un prezzo più alto dei nostri concorrenti perché il nostro Paese ha commesso errori molto più gravi di altri nel suo mix energetico, significa accettare che la locomotiva industriale – traino di tutte le riprese nazionali del post 2011 – finisca di nuovo sul binario sbagliato. Errori come quelli commessi nell’ultima Legge di bilancio, dalla cancellazione del Patent Box al decalage pluriennnale di Industria 4.0, vanno corretti adesso. Per l’automotive servono incentivi a ristrutturazioni industriali e politiche attive del lavoro per riqualificare gli occupati. E nella delega fiscale devono finalmente e assolutamente comparire tagli strutturali e significativi al cuneo contributivo. Tutte misure non finanziate con debito pubblico aggiuntivo, ma con interventi seri nell’enorme aggregato dei 900 miliardi di spesa dello Stato”.

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