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(WSI) – LA STRATEGIA L’energia ha sempre più fame di mercati. E i listini cominciano a fare i conti con l’effetto energia. Secondo un report di Citigroup, il discorso vale soprattutto quando non si tratta di titoli strettamente collegati a elettricità o petrolio, «i cui manager – scrive la banca americana – dovranno considerare l’impatto del costo energia sul cash flow e sulle quotazioni. Ora, infatti, l’energy ora diventa più importante dell’esposizione su valute o tassi d’interesse».
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Un segnale indiretto di questa situazione arriva dalla voglia di trading energetico, come mostra l’Enel. Lo scorso 18 luglio, la società guidata da Fulvio Conti ha ottenuto il via libera per operare sul mercato del gas naturale in Gran Bretagna, e ha presentato domanda per fare altrettanto in Belgio e Olanda. La licenza inglese consente di importare ed esportare gas attraverso pipeline. Ma il primo obiettivo dichiarato di Enel è quello del trading, inteso come attività di compravendita non finalizzata all’approvigionamento fisico, bensì a operazioni finanziarie proprio come le coperture dal caro energia.
Enel ha bisogno di coperture sulle variazioni di prezzo degli idrocarburi, ma i mercati dell’energia sono tornati a essere un campo da gioco che consente lauti guadagni. Il mega-crac Enron sembra lontano. In Europa, da un trader puro, ossia assunto per giocare su contratti e derivati energia, ci si attende oggi almeno 1 milione di profitti annui.
DOPO LA BOLLA. «A fine anni Novanta – interviene Paolo Ghislandi, segretario generale di Aiget (Associazione italiana di grossisti energia e trader) – l’Europa e anche l’Italia vennero coinvolte dal miracolo dei profitti facili alla Enron. Qui arrivarono diverse società Usa come la stessa Enron e Mirant, finite poi in bancarotta». Passate la bufera e la bolla, in Europa si sta «creando un vero mercato – riprende il manager – molto più sano di quello iper-speculativo precedente: sono caduti i monopoli, si sono moltiplicati gli strumenti ed è decollata la gestione finanziaria dell’energia nelle aziende». Tra gli italiani, i maggiori operatori sono ovviamente Eni ed Enel.
Quest’ultima, destina il 5% della propria produzione alla Borsa elettrica italiana, e ha circa mille megawatt in gioco su Powernext (la borsa francese di cui Conti ha il 5%). Peraltro, Enel punta a sviluppare un mercato dei derivati in Italia con la recente creazione di un contratto forward (denominato Prezzo Sicuro) su cui costruire un future. Eni, con Enifin, è il maggiore player italiano attivo all’estero: scorrendo i bilanci si scopre che il nozionale dei derivati sulle commodity del cane a sei zampe nel 2005 ammonta a circa un miliardo di euro. Anche Eni, come Enel, «non stipula contratti derivati – si legge nel bilancio – con fini speculativi».
Ma c’è chi per mestiere gioca sull’energia proprio a fini speculativi: in Europa, sono principalmente le banche Barclays e SocGen, mentre Goldman Sachs è associata di Aiget. Queste sono controparti «di un comparto industriale – conclude Ghislandi – che inizia a costituire team dedicati alla gestione del rischio energia». In Italia, c’è l’esempio di Dalmine Energie, cui Tenaris ha affidato l’approvigionamento elettrico per le proprie industrie siderurgiche, ma che oggi vende l’80% dell’energia all’esterno del gruppo. Valga anche il caso di Eurofuels, trader del cementificio Holcim.
SCOSSA GENERALE. «I prezzi dell’energia si sono dimostrati negli ultimi anni più volatili di tassi e valute», scrive Citigrup in un report del 26 luglio. La banca Usa ha messo a confronto la sensibilità dei listini alle variazioni dei prezzi energetici nel triennio 2000-03 con quello 2003-06. Risultato: «Gli effetti energetici sono aumentati e sono diventati più pervasivi». In America e in Europa si registra un netto incremento nel numero di società con beta rilevante (ossia, con sensibilità oltre il 5% del rendimento del titolo in seguito a variazioni del 10% dei costi energetici). La quasi totalità dei titoli continua ad avere beta negativi (cioè una correlazione negativa all’aumento dei costi energetici). Ma dalle tabelle emerge come il valore medio della elasticità media si è ridotto, segno che ogni comparto sta migliorando nella gestione del rischio energetico. Grazie, appunto, al nuovo boom del trading energetico.
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