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Nel decreto sviluppo un mega condono, interventi per 100 miliardi

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Roma – Dopo il week end russo nella dacia di Vladimir Putin, due giorni avvolti nella più oscura riservatezza, Berlusconi torna ad Arcore e tenta di dare una brusca accelerata al decreto sviluppo.

A metà pomeriggio convoca Angelino Alfano e fa il punto della situazione. Nel Pdl sono forti le spinte a utilizzare il decreto come via d’uscita. E non solo. Qualcuno rilancia anche su una sorta di “mini-patrimoniale” per fare cassa. Il segretario del Pdl spinge perché si vada oltre, si arrivi alla resa di Giulio Tremonti soprattutto sul fronte condono fiscale.

Una soluzione odiosa e che in parte sconfesserebbe la linea adottata dal ministero dell’Economia che preme per avviare una forte campagna di lotta all’evasione fiscale.

Proprio in questi giorni sta partendo l’operazione nuovo redditometro, messa a punto dall’Agenzia delle Entrate. Operazione che porterà ad incrociare le spese (da 3630 euro in su vengono direttamente segnalate), i redditi e i conti correnti. Il direttore dell’Agenzia, Attilio Befera, ha detto proprio ieri di aspettarsi dalla lotta all’evasione ben 11 miliardi.

Allo stesso tempo Tremonti più volte ha ammonito sul fatto che il solo annuncio di un possibile condono in arrivo è un fortissimo ostacolo nella lotta all’evasione. Nel Pdl sono in tanti a chiedere al governo di procedere e almeno di avere mano libera in sede parlamentare, dove i deputati della maggioranza potrebbero sollecitare una loro iniziativa.

Berlusconi in verità aveva incontrato prima di Alfano in mattinata Paolo Romani, il ministro dello Sviluppo che sta coordinando il lavoro di raccolta delle proposte. L’ipotesi che si sta facendo largo nella maggioranza è quella che il capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri, chiama «un’operazione di portata storica».

Di cosa si tratta? Difficile immaginarlo, ma si possono delineare i contorni. Non un intervento con piccolo condono una tantum. Più probabile una mega-operazione di riduzione del debito pubblico. Che tra l’altro trapela anche nelle parole dell’altro capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto, che presiede i deputati: «Sarebbe utile per il debito».

Appunto, sarebbe utile. Ma non sarebbe l’unica carta da giocare. L’ipotesi Romani infatti prevederebbe una maxi-vendita dei beni dello Stato, la chiusura del contenzioso sui beni espatriati in Svizzera e i condoni fiscale, edilizio e previdenziale.

A questo punto si tratterebbe di un intervento di circa cento miliardi di euro che andrebbero ad abbattere il debito pubblico facendo entrare Berlusconi dritto dritto nei libri di storia per avere trovato senz’altro una delle soluzione più ardite di finanza pubblica degli ultimi decenni.

Sarebbe un lascito politico non da poco e l’idea lo solletica. Ce la farà Silvio? È presto per dirlo ma la direzione di marcia è chiara. Il Cavaliere non vuole perdersi a rincorrere deputati, malpancisti e frondisti, perdigiorno e singoli parlamentari in cerca d’autore, d’una parte in commedia.

Pensa piuttosto, il premier, al rilancio politico. Anche a una provocazione a chi, come l’Udc (ma non solo), insiste nel chiedere come condizione fondamentale per aprire una trattativa l’uscita di scena immediata del premier. Condizione a cui già Alfano ha risposto con un bel «vaffa» appena due giorni fa. Lo stesso Angelino già oggi dovrebbe vedere Claudio Scajola.

I fedelissimi del premier hanno capito che sotto sotto l’ex ministro dello Sviluppo ha due richieste fondamentali. Un cambio di strategia sul fronte economico tanto radicale, che porterebbe alle dimissioni di Tremonti. E in questo momento nessuno vuole imbarcarsi in una strada così dissestata. L’altra richiesta invece riguarda una posizione, un ruolo politico per Scajola. E su questo si può ragionare.

Escluso un suo ritorno al governo, si stanno studiando spazi all’interno dei partito. È vero che il politico ligure non pretende una seggiola, piuttosto punta a un riconoscimento. Magari come «leader della minoranza interna» o qualcosa di simile. Tutto sommato i capi del Pdl potrebbero studiare una mossa di questo tipo che comunque disarticolerebbe l’area che si va delineando come l’opposizione interna. E che vede sulla pista da ballo già lanciato Roberto Formigoni, che non fa mistero di prepararsi alle danze per le primarie. Se e quando ci saranno.

Un po’ in disparte assiste alla scena in attesa di decidersi anche Gianni Alemanno, sebbene la sua componente appaia meno granitica di un tempo. Capitolo a parte è Beppe Pisanu. Per ora ci ha messo la faccia, Ferrucio Saro invece è l’uomo che lavora dietro le quinte e finora ha portato a cena una decina di senatori.

Certo: un conto è mangiarsi due tagliolini in un bel ristorante al centro di Roma, un conto è votare per far cadere il governo. Quest’ultimo sfumò già nell’assalto guidato da Gianfranco Fini ormai un anno fa. Ragiona un big del Pdl: «C’ha provato Fini ed è il presidente della Camera che aveva messo in lista ottanta deputati, aveva un partito e poteva assicurare risorse e rielezioni: ha fallito. E Pisanu che può garantire? Chi davvero lo seguirebbe? Per fare che cosa?».

Al punto che Ignazio La Russa si può prendere la libertà di irridere i cosiddetti frondisti: «Anche Ali Babà ne aveva quaranta…». Poi si riprende: «Siamo preoccupati dalla situazione economica, non certo dai frondisti». E in serata gli scajoliani fanno sapere che stasera non faranno alcuna riunione, il loro documento (annunciato ormai da un anno) resta nel cassetto. Piuttosto per Arcore è partita soltanto una lettera con le ragioni del dissenso ma senza alcuna intenzione di procedere a uno strappo, rottura, o frattura. Fronda rientrata. Almeno per ora.

Tutto ciò non vuol dire che nella maggioranza ci sia un’aria serena. Infatti resta la tensione. La preoccupazione che un incidente non programmato possa esserci. Ma nessuno se la sente di escluderlo. Il clima è di grande incertezza. Nel Pdl, come è evidente. Per non parlare della Lega.

«Ma andate a guardare che succede a sinistra – è l’invito di Gasparri -. Franceschini lavora con Bersani, Veltroni che sogna di ritornare segretario del Pd perché già s’è pentito di essersi dimesso. Ormai tutti hanno capito che se cade Berlusconi si va a votare, e non vedo tutta questa voglia di elezioni in giro. Soprattutto se cominciamo a fare sul serio sulla riforma elettorale».

Insomma, fare previsioni è davvero arduo visto che le variabili sono molteplici. Tutto è in movimento. La situazione è fluida, come dicono quelli che fingono di saperla lunga. Ma stavolta sembra di essere davvero così.

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