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NAPOLITANO FIRMA LO SCUDO FISCALE. E DI PIETRO ATTACCA: «ATTO DI VILTA’ E ABDICAZIONE»

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«Presidente non firmi lo scudo fiscale, lo faccia per le persone oneste». Inizia tutto da qui, dalla domanda che un cittadino di Rionero in Vulture pone al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al suo arrivo nel paese di Giustino Fortunato. Poi, da Roma, scatta l’attacco di Antonio Di Pietro che bolla come «vile» la decisione del Colle, mentre tutto il mondo politico, Pd in testa difende il presidente.

Nel cuore della Basilicata il capo dello Stato non sfugge alla domanda del cittadino, si avvicina e, dopo la nota di ieri, spiega perché l’appello ’non firmarè «non significhi niente». «Nella Costituzione c’è scritto che il presidente promulga le leggi e, se non firma oggi, il Parlamento vota un’altra volta la stessa legge ed io sono obbligato a firmare. Se dite ’non firmarè allora non sapete che questo non significa niente».

Le affermazioni di Napolitano scatenano l’ira dell’Italia dei Valori che, pur nel clima di scontro degli ultimi mesi, sferra un’offensiva senza precedenti contro la prima carica dello Stato. «Napolitano ha compiuto un atto di viltà e di abdicazione – tuona Di Pietro -. È proprio la Costituzione che affida al capo dello Stato il compito di rimandare le leggi alle Camere controllandone in prima istanza la loro costituzionalità. Così facendo Napolitano si assume la responsabilità di questa legge».

Non si fa attendere la risposta del Partito democratico, dal segretario in giù parlano tutti. Per Dario Franceschini l’atteggiamento del Quirinale «è ineccepibile», per Massimo D’Alema «Di Pietro che fa della legalità la sua bandiera dovrebbe rispettare le istituzioni democratiche», per Pierluigi Bersani si tratta di «un attacco inaccettabile». E c’è chi come il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti, denuncia che la misura è colma: «Mai più alleanze con l’Italia dei valori».

«Piena solidarietà» a Napolitano esprime il presidente del Senato, Renato Schifani, che punta il dito contro gli «attacchi ingiusti e offensivi» che gli sono stati rivolti dal leader di Idv Antonio Di Pietro. «Il prestigio, la levatura e l’autorevolezza istituzionale del presidente della Repubblica – sottolinea – sono talmente noti e apprezzati dai cittadini che non vengono minimamente scalfiti dagli ingiusti e offensivi attacchi a cui oggi è stato sottoposto».

Ma Di Pietro se la prende anche le altre forze di opposizione dalle quali, dice, vengono iniziative “cialtronesche”. “Noi al voto sullo scudo fiscale eravamo presenti in modo pressoché totale – dice il leader dell’Idv – e lamentiamo che l’opposizione nel suo complesso non abbia saputo fare quadrato almeno per respingere quella legge. Ma si sa, in Italia ci sono due opposizioni: quella dell’Idv, che è ferma e fa sentire la sua voce, perché ritiene che il governo Berlusconi faccia male al Paese, e poi c’è l’opposizione del giorno dopo, quella che dice che Berlusconi sta al governo per colpa di Di Pietro”. “Io – conclude il leader dell’Idv – dico che ci sta per colpa di una opposizione cialtronesca, che rinuncia a fare il suo dovere”.

“In una stagione che vede il presidente del Consiglio fautore di provvedimenti come lo scudo fiscale e il Lodo Alfano, cioè norme che introducono l’immunità di Stato a vantaggio delle mafie e della casta politica, il ruolo del presidente della Repubblica dovrebbe essere quello di farsi garante della dignità della democrazia”: lo afferma Luigi de Magistris, eurodeputato dell’IdV, che in una nota aggiunge: “La richiesta che l’Italia dei Valori ha rivolto al Capo dello Stato perché non firmasse lo scudo fiscale nasceva, al contrario di quanto sostengono vari detrattori politici, da un profondo rispetto verso le istituzioni. In questo momento, infatti, l’accondiscendenza e il silenzio significano sostenere l’aggressione che il Governo sta compiendo verso i principi fondanti della Costituzione”.

Il Pdl con il presidente dei deputati Fabrizio Cicchitto accusa l’Idv di perseguire «un disegno eversivo». E il sottosegretario Crosetto chiede alla magistratura di intervenire. Le parole di Di Pietro contro Napolitano sono un reato: «vilipendio del capo dello Stato», avverte il presidente dei senatori Udc, Gianpiero D’Alia, mentre per il segretario centrista Lorenzo Cesa «l’Italia dei valori è una vergogna per l’Italia».

“Le accuse al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a cui va la nostra piena solidarieta’, dimostrano che quello di Antonio Di Pietro e’ un atteggiamento irresponsabile, che manifesta la totale assenza di senso delle Istituzioni e una pervicace volonta’ di avvelenare il clima politico”. E’ quanto ha dichiarato il Presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini.

“Sono stupito e amareggiato per la firma che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha apposto al decreto sullo scudo fiscale. Si tratta di un decreto palesemente anticostituzionale in quanto, rappresentando una vera e propria amnistia di fatto, andava votata con la maggioranza qualificata e non la maggioranza semplice del Parlamento. Ecco perche’ sono, ribadisco, profondamente amareggiato dalla firma apposta dal capo dello Stato a tale decreto, che permette ai mafiosi, oltre che ai ladri, di fare quello che vogliono dei loro capitali”. Lo afferma il segretario Prc, Paolo Ferrero.

Non appena giunto al Quirinale, come previsto, Napolitano promulga con la firma la legge al centro delle polemiche. Le dichiarazioni di Di Pietro, secondo cui la decisione di Napolitano di firmare il decreto con lo scudo fiscale e’ “un atto di vilta’”, “vanno al di la’ di ogni possibile commento”.

E’ quanto affermano fondi del Quirinale, sottolineando che la Costituzione non attribuisce al capo dello Stato “alcun potere di veto, come invece si tende a far credere”. Dal Quirinale, in particolare, si rimanda alla nota diffusa ieri, con cui si e’ motivata la decisione del presidente della Repubblica di promulgare la legge; e si rileva inoltre che la prerogativa del capo dello Stato di promulgare le leggi, prevista dall’articolo 87 della Costituzione, e’ disciplinata dall’articolo 74 della stessa Carta fondamentale della Repubblica che stabilisce che “il presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, puo’, con messaggio motivato alle Camere, chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge questa deve essere promulgata”. “Si tratta di norme – ribadiscono le fonti del Quirinale – che non prevedono in alcun modo un potere di veto, come invece si tende a far credere”.

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Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, dopo i rilievi generali del Fondo monetario internazionale sugli “scudi fiscali”, difende a spada tratta il provvedimento appena varato dal Governo, che punta a far rientrare e a tassare i capitali occultati all’estero e frutto di evasione. E, parlando alla conferenza stampa finale del G7 di Istanbul, tenuta congiuntamente alla delegazione canadese, sottolinea come la legislazione italiana su questo tema è tra le più dure e rigorose a livello internazionale.

«Per quanto riguarda il rimpatrio di capitali – ammette il ministro rispondendo a una domanda sui rilievi del Fmi – certamente è una extrema ratio. Siamo un Paese strano, un paese dove nel meridione le banche non ci sono ma ci sono 21 banche italiane a Lugano. E questo forse è un elemento che dà l’idea di una qualche asimmetria nel sistema. In ogni caso – puntualizza – io sto studiando tutte le legislazioni di tutti gli altri Paesi: il grado di copertura penale offerto dagli altri Paesi (per chi fa rientrare capitali occultati, ndr) è enormemente superiore, a volte in modo ipocrita, ma è superiore a quello italiano. Perché quando leggi la formula “no prosecution”, vuol dire tax amnesty (amnistia fiscale, ndr) mentre il nostro sistema è più serio».

Sistema più serio, sostiene Tremonti, e anche più oneroso per gli evasori. «Il costo – sintetizza – è più elevato che in molti altri Paesi. Troppa confusione si fa in percentuale sul capitale e sugli interessi. E sugli interessi la nostra aliquota di prelievo è il 50% tra interessi, imposte e sanzioni, che non ci sembra piccola. È certo che è una misura una tantum, ma stiamo verificando che viene fatta in molti Paesi e progressivamente». Ma si combatte così l’evasione fiscale? Tremonti fornisce uno schema articolato. «Noi – afferma – stiamo verificando il modello Ocse e crediamo che in un momento come questo il contrasto ai paradisi si faccia in due modi.

Definendo una legislazione più efficace e più dura e noi abbiamo una norma credo tra le più rigorose nel mondo: tutti i capitali esteri si presumono illeciti se c’è un sospetto oggetto di evasione fiscale, salva la prova contraria. Abbiamo sanzioni tra le più alte. E il contrasto – aggiunge – si fa anche svuotando i paradisi fiscali: ci saranno meno capitali disonesti fuori e un uso più onesto dei capitali nel bilancio pubblico».

DRAGHI – A Istanbul era presente anche Mario Draghi. A chi teme che la finanza globale possa finire per soffrire un eccesso di regolamentazione al termine della crisi, il governatore della Banca D’Italia ha risposto: «Francamente mi sembra prematuro preoccuparsi di un eccesso di regole a questo punto. Sin dall’inizio abbiamo detto che gran parte della crisi è stata provocata da una leva troppo forte favorita da incentivi perversi. Vogliamo – ha proseguito il governatore – un sistema finanziario con meno leva, più capitale e immune da questi incentivi. È evidente che c’è da cambiare alcune cose».

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Aggiornamento: 4 ottobre ore 22:22

Di Pietro insiste: “Questa porcata non andava promulgata”

Il leader dell’Idv attacca Napolitano per la firma del dl anticrisi

ROMA – (ANSA) “Il Capo dello Stato non avrebbe dovuto firmare l’amnistia fiscale, né tanto meno negarne la gravità prima di farlo. Questa porcata non andava promulgata, e se fosse stata ripresentata invariata, il Presidente della Repubblica, firmando, avrebbe dovuto spiegare alla nazione che l’arroganza del governo, e di una certa opposizione, privava delle sue prerogative anche la Presidenza della Repubblica”: così Antonio Di Pietro sul suo Blog.

“Il 2 ottobre il governo Berlusconi IV, con il voto di fiducia, avrebbe potuto togliere le tende e tornare a casa riportando il Paese alle urne. Per soli 20 voti – prosegue il leader di Idv – l’Italia ha perso questo importante treno su cui viaggiava, oltre al proprio futuro, ed è stato approvato lo scudo fiscale. Venti voti di deputati del Pd e dell’Udc e, con rabbia devo riconoscere, anche di un deputato Idv. Gli italiani sono stati fregati da 32 escort ‘da Parlamento’ che si sono svendute a questa vergogna”.

Quindi “non accetto lezioni sul rispetto delle istituzioni dai tanti doppiopetto che dicono di fare opposizione in Parlamento ma che al momento opportuno, quello del voto, ritirano la mano e l’unica a cosa che sanno fare è denigrare ed inveire contro chi l’opposizione, quella dei fatti, la conduce senza sosta dentro e fuori il Parlamento: l’Italia dei valori”. “Le lezioni impartite dal Pdl, Fini incluso, quelle sono il canto delle sirene di Ulisse, non bisogna ascoltarle, ma – conclude – chi si traveste da salvatore della patria, manifestando in Piazza del Popolo per difendere la democrazia a parole, salvo poi assassinarla nei fatti in un’aula del Parlamento, non merita la stima dei giusti bensì l’ira degli onesti”.

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Scudo fiscale, Napolitano firma il Dl

di Paolo Cucchiarelli

Giorgio Napolitano motiva la promulgazione della legge sullo scudo fiscale e viene tacciato di “scelta vile” da Antonio Di Pietro. Uno scontro dai risvolti durissimi, bruciato nel giro di poche ore tra Rionero in Vulture, dove era Napolitano, e le due piazze delle manifestazioni di Roma: quella dei precari della scuola e quella per la libertà di stampa nelle quali si è affacciato un bellicoso Di Pietro.

Una sortita quella dell’ex Pm che ha generato un coro di solidarietà bipartisan verso Napolitano. Pdl e Pd, all’unisono, hanno difeso la correttezza istituzionale del Capo dello Stato, la sua scelta e soprattutto la piena rispondenza del suo agire al dettato costituzionale. Concetto che lo stesso Quirinale ha ribadito in serata quando, sentito dall’Ansa, ha sottolineato che le parole di Di Pietro “vanno al di là di ogni possibile commento”, e ha evidenziato che la Costituzione non dà al capo dello Stato “alcun potere di veto, come invece si vuol far credere”. Una presa di posizione che non ha fatto arretrare di un millimetro Di Pietro che ha ribadito il concetto che se il presidente della Repubblica non può intervenire su un provvedimento di questo tipo di fatto “abdica al suo ruolo”.

Il capo dello Stato ha parlato dello scudo fiscale stamane a Rionero in Vulture. Rispondendo ad alcuni cittadini che gli avevano chiesto di non promulgare il decreto, ha ribattuto che “non firmare non significa nulla” visto che la Costituzione prevede che a fronte di un nuovo sì delle Camere il Presidente della Repubblica sia obbligato alla firma. Di Pietro però ha respinto le parole del Capo dello Stato in maniera violenta: “Napolitano – ha detto – ha compiuto un atto di viltà ed abdicazione”.

Di Pietro ha ricordato il potere assegnato al Quirinale di rispedire alle Camere un provvedimento “controllando in prima istanza la loro costituzionalità”. Per Di Pietro con le parole pronunciate stamane il capo dello Stato “si assume la responsabilità di questa legge”. Poco dopo, alla manifestazione sulla libertà di stampa, è tornato ad attaccare: “Si tratta di un gesto oggettivamente vile perché (il capo dello Stato) viene meno alle sue prerogative costituzionali. E’ un gesto pilatesco che non possiamo accettare”.

Sul leader di Idv si è quindi scatenata la bufera, ma l’interessato, incurante del putiferio suscitato, è andato dritto per la sua strada.”Il rispetto è una cosa, la denuncia di omissioni è un’altra e oggi se il Capo dello Stato si è dovuto ridurre a dire che non ha rinviato la legge perché tanto il Parlamento l’avrebbe riapprovata, è anche perché ieri le forze di opposizione non gli hanno fatto sentire la loro presenza, lo hanno abbandonato”. Con quelle parole Di Pietro ha girato il coltello nella piaga delle assenze di ieri nelle file del Pd e durante la votazione finale sullo scudo fiscale.

In campo a difesa del Colle anche le più alte cariche istituzionali. “Il prestigio, la levatura e l’autorevolezza istituzionale del Presidente della Repubblica – ha detto il presidente del Senato Renato Schifani – sono talmente noti e apprezzati dai cittadini che non vengono minimamente scalfiti dagli ingiusti e offensivi attacchi a cui oggi è stato sottoposto”. Solidarietà anche dal presidente della Camera Gianfranco Fini per il quale Di Pietro ha un “atteggiamento irresponsabile” e “manifesta la totale assenza di senso delle istituzioni e una pervicace volontà di avvelenare il clima politico”.

Fabrizio Cicchitto(Pdl) ha parlato di “piano eversivo” da parte dell’ex Pm; Dario Franceschini (Pd) ha difeso Napolitano definendo la sua funzione “ineccepibile e importantissima”; Cesa (Udc) ha invitato tutti i partiti ad “isolare” Di Pietro in Parlamento e nelle istituzioni; per Anna Finocchiaro (Pd) Di Pietro “delira e passa il segno”; per Maurizio Gasparri (Pdl) quello dell’Idv è “teppismo parlamentare”; anche Pier Luigi Bersani (Pd) ha definito l’attacco a Napolitano “inaccettabile”.

C’é stato inoltre chi ha prefigurato o sollecitato l’intervento della magistratura nei confronti di Di Pietro per il possibile reato – dicono ad esempio Crosetto del Pdl e D’Alia dell’Udc – di vilipendio nei confronti del Capo dello Stato. Intanto nel Pd ma anche nel Pdl resta alta la tensione sulle assenze in aula di ieri al momento del voto. Il Pd sta studiando “sanzioni dure gravi e progressive” per i deputati che non avranno fondati motivi per giustificare l’assenza. Il rammarico era visibile anche a Piazza del Popolo dove Franceschini e Bersani hanno risposto alle “punzecchiature” della base. Il segretario del Pd ha parlato di un “errore grave”, D’Alema ha detto che qualcosa nel gruppo parlamentare “non ha funzionato” mentre il capogruppo Soro ha annunciato che “qualcuno pagherà”. (ANSA)