Bruxelles – In Italia il rischio di default puo’ aumentare rapidamente in assenza di risposte adeguate e, per raggiungere il requisito fondamentale del pareggio di bilancio nel 2013, il governo deve varare subito una manovra da 11 miliardi di euro.
Lo dice – secondo quanto riportato da La Repubblica – il documento sull’Italia che il commissario agli Affari economici Olli Rehn presenterà oggi all’Eurogruppo.
I ministri finanziari dell’Eurozona (Eurogruppo) si riuniscono questo pomeriggio a Bruxelles, per la prima volta con la partecipazione del presidente del Consiglio italiano, Mario Monti, nella sua qualità di ministro dell’Economia. La riunione sarà soprattutto un ennesimo tentativo di concretizzare la cosiddetta risposta complessiva alla crisi (in particolare attraverso l’aumento della potenza di fuoco del Fondo di salvataggio Efsf), secondo le decisioni già prese in linea di principio a due riprese dai capi di Stato e di governo dei Diciassette (il 21 luglio e il 26-27 ottobre), ma poi rimaste ‘impigliate’ nei dettagli.
Per il debutto di Monti all’Eurogruppo (e domani all’Ecofin) non potrebbe esserci definizione più appropriata di battesimo del fuoco, visto che fra gli altri punti in discussione alla riunione vi sarà proprio la situazione italiana: da una parte con la presentazione del programma anti crisi da parte del premier, dall’altra con il primo rapporto del commissario Ue agli Affari economici e finanziari, Olli Rehn, sul monitoraggio delle misure (soprattutto le riforme strutturali dell’economia e il pareggio di bilancio nel 2013) che già il precedente governo si era impegnato a prendere e che toccherà all’attuale Esecutivo realizzare.
Il rapporto di Rehn sarà basato sulle analisi degli esperti della Commissione, inviati a Roma nelle scorse settimane, e sulle informazioni aggiuntive raccolte dallo stesso commissario durante la sua visita a Monti e ai ministri Passera e Fornero di venerdì scorso.
Prima della riunione il premier italiano incontrerà a Bruxelles il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, e, sempre in bilaterale, altri ministri finanziari (il francese François Baroin e probabilmente il tedesco Wolfgang Schaueble).
Completato intanto il nuovo governo. Un nuovo ministro, Filippo Patroni Griffi alla Funzione pubblica, tre viceministri e 25 sottosegretari, tutti tecnici (o quasi). Dopo 12 giorni si e’ cosi’ completata la squadra di Monti, e si chiude una partita che negli ultimi giorni si era assai complicata, con il niet di diversi partiti della maggioranza a fornire propri uomini all’esecutivo.
Alla fine ha scelto Mario Monti, di concerto con i vari ministri, sulla base delle indicazioni di tecnici d’area fornite dai partiti. Una decisione che gli stessi partiti hanno appreso solo a cose fatte, e dalle agenzie. Se i partiti non vogliono metterci la faccia, allora decidiamo noi e basta, è stato il ragionamento dalle parti di palazzo Chigi. Ragionamento che qualche fastidio lo ha creato, nelle segreterie, tanto più se sommato allo scarso flusso di comunicazioni (finora) sulle misure economiche anti-crisi che saranno adottate lunedì 5 dicembre (ma forse già venerdì) e che comunque approderanno in Parlamento la prossima settimana, come confermato dal presidente della Camera Gianfranco Fini.
Ma che la partita dei sottosegretari si fosse complicata, lo si è capito anche dal ritardo con cui si è tenuto il Cdm per varare la lista: convocato alle 19, è iniziato solo alle 20:25, per poi chiudersi in appena 20 minuti. Un ritardo che, a quanto si è capito, è stato dovuto soprattutto alla nomina di Patroni Griffi a ministro della Funzione pubblica. La necessità di indicare un ministro vero e proprio per la P.A. era emersa nel corso del colloquio di Monti al Quirinale con il capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Ma sul nome un po’ di maretta sembra ci sia stata, nonostante quello di Patroni Griffi sia un nome bipartisan, vicino all’ex ministro del Pd Franco Bassanini ma anche all’ex ministro del Pdl Renato Brunetta, che lo ha nominato alla Covip. Tuttavia, sarebbe stato il sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà a sollevare qualche dubbio sulla scelta, dubbi poi comunque superati. Come sono stati superati i dubbi di Vittorio Grilli, in predicato da giorni di assumere la carica di vice all’Economia, ma con il giallo sulla possibilità di mantenere il doppio incarico di direttore generale dello stesso ministero di via XX settembre.
Dei tre vice si sa quasi tutto, sugli altri si sa ad esempio il passato, nella stessa carica ma col governo Prodi, di Giampaolo D’Andrea ai rapporti con il Parlamento insieme all’ex segretario generale di palazzo Madama Antonio Malaschini. All’editoria Carlo Malinconico, all’Informazione e comunicazione Paolo Peluffo, già portavoce di Ciampi, agli Affari Esteri Marta Dassù e Staffan de Mistura, all’Interno Carlo de Stefano, Giovanni Ferrara e Saverio Ruperto.
I sottosegretari alla Giustizia saranno in due: Salvatore Mazzamuto, già laico del Csm e consigliere di Angelino Alfano a via Arenula e Andrea Zoppini, alla Difesa Filippo Milone e Gianluigi Magri, già sottosegretario all’Economia in quota Ud nel secondo governo Berlusconi. Oggi all’Economia vanno, oltre a Grilli viceministro, i sottosegretari Vieri Ceriani e Gianfranco Polillo, già capo dipartimento Affari Economici di palazzo Chigi ma anche consigliere del Pdl.
Allo sviluppo Economico vanno invece Claudio De Vincenti, economista che ha collaborato con Vincenzo Visco alle Finanze, e Massimo Vari. Alle Politiche Agricole Franco Braga, all’Ambiente Tullio Fanelli, alle Infrastrutture Mario Ciaccia sarà viceministro, e Guido Improta sottosegretario. Il terzo viceministro sarà al Lavoro Michael Martone e Cecilia Guerra sottosegretario. Alla Salute Adelfio Elio Cardinale, all’ Istruzione Elena Ugolini e Marco Rossi Doria. Infine ai Beni Culturali Roberto Cecchi.