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Montecitorio e Affittopoli: tutti i dettagli sugli sprechi

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(WSI) –Ecco l’Affittopoli della Camera dei deputati. Gli spre­chi, i canoni irrisori, gli affida­menti senza gara, i contratti top secret, le clausole cape­stro. I dati «fantasma» su Montecitorio rivelati dal Gior­nale grazie anche alle difficili investigazioni dei radicali e del parlamentare Pdl Ame­deo Laboccetta.

Comincia­mo dai canoni stellari, dun­que. I gioielli più costosi del mercato immobiliare, è noto­rio, si trovano al centro della capitale. Ma quelli che valgo­no oro sono rintracciabili a metà strada tra piazza Colon­na (dove si affaccia Palazzo Chigi) e piazza di Spagna. Un esempio che rende l’idea? Pa­lazzo Marini.

È un grande sta­bile sulla centralissima via del Tritone. Buona parte dei suoi uffici – canone 2010 – so­no stati affittati alla Camera per oltre 13 milioni di euro (per l’esattezza 13.269.346 eu­ro). Lo spazio è ampio. Serve ad alloggiare gli uffici di 235 deputati, oltre a tre apparta­menti di rappresentanza. I locali appartengono alla società immobiliare Milano 90 di Sergio Scarpellini.

Un partner affidabile per Monte­citorio, visto che l’istituzione ha affittato dalla sua società non un solo stabile di queste dimensioni e con queste fina­lità istituzionali, bensì quat­tro. E nessuno con gara o avvi­so pubblico. Per un totale di 12mila metri quadrati. Locali ovviamente chiavi in mano, cioè ristrutturati e arredati se­condo il bisogno del locata­rio e forniti anche del perso­nale di vigilanza, del servizio mensa e di assistenza ai pia­ni.

La Camera solo quest’an­no spenderà più di 46 milioni di euro (stando ai dati del Bi­lancio di previsione 2010) per far alloggiare i suoi depu­tati in questi uffici. Forse spendere più di 3.850 euro l’anno al metro quadro (320 euro al mese) è una cifra piuttosto consistente.

A nutri­re questo sospetto sono stati alcuni parlamentari (Rita Ber­nardini dei radicali e Ame­deo Labocetta del Pdl) che hanno chiesto lumi all’Uffi­cio di presidenza. Non si so­no limitati a questo; hanno osato chiedere addirittura la rescissione di questi contrat­ti considerati troppo onerosi scontrandosi con i vertici bu­rocratici e politici della Came­ra, che solo alla fine si sono dovuti arrendere, dando pub­blicità ad atti finora mai resi pubblici.

La cosa però è più complica­ta di quanto possa apparire anche a chi conosce bene i punti meno «battuti» del Co­dice civile (dove peraltro è scritto che i contratti di affitto per locali ad uso professiona­le possono sempre essere di­sdetti da parte del locatario). La Camera ha stipulato il pri­mo dei quattro contratti nel ’97. Il cosiddetto «Marini 1» impegna le parti per un perio­do di «9 più 9» anni.

Il 21 set­tembre scorso, però, l’aula di Montecitorio, durante la let­tura, la discussione e l’appro­vazione del Bilancio di previ­sione del 2010, è riuscita a far passare la rescissione del con­tratto. Dal 2012 gli oltre 200 depu­tati che hanno l’ufficio in via del Tritone dovranno cercar­si una nuova sistemazione. Questo è stato possibile per­ché il «Marini 1» è l’unico dei quattro contratti che non pre­vede una clausola che vinco­la il locatario al rinnovo auto­matico.

Un vincolo davvero insolito. Che non è presente nemmeno nel contratto del cosiddetto «Marini 2» (immo­bile di via Poli 14/20). Infatti è in una lettera redatta e spedi­ta sei mesi dopo la firma del contratto che viene scritta ne­ro su bianco la rinuncia alla disdetta anticipata della loca­zione. Il contratto è stato re­datto nel luglio del ’98.

E il 17 dicembre il Servizio ammini­strazione della Camera dei deputati spedisce alla Mila­no 90 una lettera in cui si scri­ve tra l’altro: «La presente Amministrazione rinuncia formalmente alla facoltà di re­cesso anticipato, contrattual­mente riconosciutale a far da­ta dall’inizio del decimo an­no di rapporto ».

Non è casua­le la specifica del «decimo an­no » visto che nei contratti c’è scritto che la disdetta non è possibile fino al decimo anno (il primo del rinnovo automa­tico). La Camera dei deputati, quindi, rinuncerà agli uffici di via del Tritone ma non si libererà dei contratti che la le­gano alla Milano 90 per gli im­mobili denominati «Marini 2», «Marini 3» e «Marini 4». Contratti stipulati tra il ’98 e il 2000 e che quindi vedranno la loro validità esaurirsi non prima del 2016.

Secondo un calcolo appros­simativo (in virtù del fatto che ogni anno gli importi dei canoni variano perché sog­getti all’indicizzazione Istat), alla fine la Camera dei depu­tati avrà versato nelle casse della «Milano 90» oltre 540 milioni di euro nel corso di 23 anni. «Secondo questo calco­lo- spiega l’onorevole Laboc­­cetta, che insieme con la Ber­nardini (Pr) ha sollevato il problema dei costi di questi immobili – con la stessa cifra e per la stessa metratura è co­me se la Camera avesse acqui­stato immobili per un prezzo che oscilla tra 41.600 ai 50mi­la euro al metro quadrato».

Non proprio a prezzi di mer­cato ( che nella zona del Trito­ne come in tutto il centro sto­rico si aggirano al massimo sui 10mila euro al metro qua­dro). Insomma il locatario (in questo caso la Camera dei de­putati) non ha badato a spese e non ha nemmeno sottilizza­to su un fattore tutt’altro che secondario.

Al momento di prendere in affitto i locali del cosiddetto «Marini 1» (il già citato palazzo su via del Trito­ne) il proprietario non sareb­be stato in condizioni di con­cedere il affitto i locali per uso ufficio. La destinazione d’uso era un’altra. Insomma la Camera affitta a prezzi piut­tosto fuori mercato e non tro­va nulla da ridire sul fatto che quegli stessi locali non po­trebbero nemmeno essere af­fittati come uffici.

Al proble­ma si rimedia in sede di con­tratto. L’articolo 14 al punto 1 spiega che «la conduttrice Ca­mera dei Deputati dichiara di essere edotta dell’attuale de­stinazione d’uso delle porzio­ni immobiliari oggetto della locazione». Al punto 2 dello stesso articolo si va ben oltre.

«La Camera dei deputati – è scritto – attiverà, entro e non oltre giorni 15 dalla data della sottoscrizione apposta in cal­ce, ogni necessaria procedu­ra di legge per conseguire il cambio di destinazione d’uso delle porzioni immobi­­liari oggetto della locazione». Solitamente dovrebbe essere il proprietario a impegnarsi alla modifica della destina­zione d’uso e non l’affittua­rio. Secondo quanto ricostru­ito dal Giornale , il Municipio I non ha subito concesso il cambio di destinazione d’uso.Questo è stato poi assi­curato direttamente dagli uf­ficio del Campidoglio (il sin­daco di allora era Francesco Rutelli).

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