L’Italia come l’Uganda per libertà economica, anche se, per quanto riguarda la libertà d’impresa, di scambio e di investimento il Belpaese si aggiudica un buon punteggio. Male invece per quanto riguarda l’intervento dello Stato, che impone una notevole pressione fiscale per “finanziare un pervasivo Stato assistenziale”. E un altro neo è rappresentato dalla Pubblica amministrazione, considerata “inefficiente”. E’ il quadro tracciato dalla ricerca Index of economic freedom, condotta dalla Heritage Foundation e dal Wall Street Journal in collaborazione, per l’Italia, con l’Istituto Bruno Leoni, in cui l’Italia peggiora la sua posizione: dal quarantaduesimo posto dello scorso anno scende ora al sessantesimo.
I primi tre Paesi in classifica per grado di libertà economica sono Hong Kong, Singapore e Australia, seguiti dagli Stati uniti al quarto posto. Prima in Europa è la Gran Bretagna, al sesto posto della classifica generale. Tra i grandi Paesi della Ue anche Germania (diciannovesima), Spagna (ventisettesima) e Francia (quarantacinquesima) fanno meglio dell’Italia. Agli ultimi tre posti della classifica ci sono Libia, Cuba e Corea del Nord.
Secondo la nuova valutazione per il 2007 della Heritage Foundation l’economia italiana è libera al 63,4 per cento, situandosi così al sessantesimo posto nel mondo. Il punteggio complessivo è più elevato di 0,2 punti percentuali rispetto all’anno scorso, in parte per il ricorso a una metodologia leggermente diversa.
Per quanto riguarda la libertà economica della regione europea, l’economia italiana è ventottesima su 41 e il suo punteggio è in linea con la media europea. La penisola inoltre ha un buon punteggio per quanto riguarda la libertà d’impresa, di scambio, di investimento e in campo monetario. Avviare un’attività economica richiede infatti circa tredici giorni, ossia un valore ben inferiore alla media nel mondo. La libertà dall’intervento dello Stato, i diritti di proprietà e la libertà dalla corruzione sono relativamente deboli. Come avviene per numerose social-democrazie europee, la spesa pubblica e le aliquote fiscali raggiungono livelli straordinariamente elevati al fine di finanziare un pervasivo Stato assistenziale. Se raffrontata a quella di altri Paesi, la corruzione non è particolarmente grave, ma è elevata per un’economia avanzata. Il compito di garantire il rispetto delle leggi e delle sentenze giudiziarie viene ulteriormente ostacolato da un’amministrazione pubblica inefficiente.
Sui 157 Paesi del mondo presi in esame l’Italia si situa fra Perù, Bulgaria e Madagascar (che hanno un punteggio di poco inferiore) e Namibia, Belize, Slovenia e Kuwait (che sono più liberi del nostro Paese). Gli Stati Uniti sono classificati al quarto posto per grado di libertà, mentre le economie più libere del Vecchio Continente sono Inghilterra (sesta) e Irlanda (settima).
Come detto, avviare un’attività economica in Italia richiede in media 13 giorni, rispetto a una media mondiale di 47,5 giorni. Al fine di massimizzare la creazione di posti di lavoro e la crescita economica, avviare un’impresa dovrebbe comunque risultare più agevole. La politica italiana relativa agli scambi è identica a quella degli altri Stati membri dell’Ue. Nel 2005, la media ponderata delle tariffe doganali comuni dell’Ue equivale all’1,7 per cento. Nelle politiche delle autorità italiane ed europee si ravvisano tuttavia svariate barriere non tariffarie, tra cui si possono menzionare i sussidi al settore agricolo.
Le aliquote fiscali italiane sono molto alte. L’aliquota dell’imposta sul reddito può raggiungere il 43 per cento, mentre l’imposta sulle società ha un’aliquota massima del 33 per cento. La spesa pubblica complessiva, comprendendo i consumi e le attività di redistribuzione del reddito (pensioni, sovvenzioni, etc.), è estremamente elevata. Negli ultimi anni raggiunge il livello del 47,8 per cento del Pil, mentre lo Stato ottiene solo lo 0,9 per cento delle proprie entrate dalle imprese statali o da altre proprietà dello Stato. L’Italia è aperta agli investimenti dall’estero, ma il Governo può porre il veto all’acquisizione di imprese italiane che coinvolgano investitori stranieri. Lo Stato non vieta gli investimenti dall’estero e la normativa fiscale non fa discriminazioni ai loro danni. L’esistenza della corruzione è nettamente avvertita. Sui 158 Paesi classificati nell’edizione del 2005 del Corruption Perceptions Index di Transparency International, l’Italia occupa il quarantesimo posto.
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Ecco la top ten globale:
1) Hong Kong
2) Singapore
3) Australia
4) Stati Uniti
5) Nuova Zelanda
6) Gran Bretagna
7) Irlanda
8) Lussemburgo
9) Svizzera
10) Canada
L’Italia occupa soltanto la sessantesima posizione nella classifica mondiale