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MOLTO PEGGIO OGGI RISPETTO AI TEMPI DI LTCM

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(WSI) –
I sacerdoti dell’ottimismo paragonano la débâcle dei mutui subprime alla crisi del 1998, e da ciò traggono la conclusione che il ripiegamento in atto offre piuttosto un’occasione d’acquisto che di vendita. Al contrario, io guardo ai problemi attuali con soverchia preoccupazione, e con poca fiducia in una pronta ripresa. Ma facciamo un passo per volta, e ricordiamo i rapidi eventi di allora: il mercato azionario raggiunse l’apice nel luglio del 1998, dopodiché precipitò del 22% fino a toccare il minimo del 9 di ottobre. Lo scivolone avvenne in seguito al default del fondo Ltcm e al terremoto finanziario che mise in ginocchio la Russia e parecchie nazioni asiatiche.

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In seguito, quando si capì che la Fed avrebbe inondato il sistema di liquidità, le Borse decollarono all’istante, e l’anno chiuse con un rally del 33%. Se il modello tiene – pensano gli esperti – avremo un vigoroso recupero anche questa volta, con la prospettiva di salire a nuovi massimi entro la fine dell’anno.
Personalmente non nascondo il mio scetticismo, giacché il quadro economico e finanziario appare assai diverso rispetto al 1998. Per esempio, il dollaro guadagnava valore, mentre i tassi d’interesse, dopo aver invertito la rotta nel 1981, erano nel bel mezzo di una discesa generazionale. Allo stesso tempo, l’oro e le altre commodity non facevano altro che perdere terreno. Inoltre, il mercato immobiliare non mostrava alcun sintomo di esuberanza, l’industria dei prestiti subprime era allo stadio embrionale, e il fenomeno delle cartolarizzazioni muoveva appena i primi passi. Per converso, oggi il dollaro è sprofondato in una spirale deflativa di cui si fatica a intravedere la fine.

Nel 1998, il deficit americano delle partite correnti era del 2%, adesso sfioriamo l’8 per cento. Aggiungo che le risorse naturali sono tutte decisamente orientate all’insù. Vi è poi un’ulteriore ragione che rende il 2007 molto eterogeneo rispetto al 1998, vale a dire l’enorme moltiplicazione della carta finanziaria: nel 1998 il livello del debito era il 250% del Pil, nel 2007 siamo giunti al 330%. Se guardiamo alle famiglie, vediamo che il rapporto è cresciuto dal 65% al 100%. Il tasso di espansione delle passività segue una curva altrettanto inquietante, essendo balzato dal 4% annuo negli anni ’90 al 10% annuo dopo il 2002. Sicché per reflazionare l’economia occorrerebbe un’eccezionale marea di liquidità accompagnata a una seconda moltiplicazione del debito; è però appena il caso di menzionare che ciò creerebbe le premesse per maggiori e rinnovati problemi in seguito.

A peggiorare la prospettiva noto infine questa differenza non da poco: nel 1998, la Federal Reserve dovette intervenire in favore di un solo hedge fund, il celebre Ltcm. Oggi chi dovrebbe salvare? Gli istituti specializzati nei mutui subprime? I proprietari di case indebitati fino al collo? Il mercato dei debiti collaterali? Oppure le banche troppo esposte nei leveraged buy-out?
Insomma, mentre era relativamente semplice lanciare una ciambella salvagente al fondo Ltcm nel 1998, oggi la matassa è assai più ingarbugliata e difficile da districare. Ovviamente, la Fed potrebbe reagire tagliando drasticamente il costo del denaro e ricorrendo a misure straordinarie, come l’acquisto su larga scala dei titoli debitori meno solidi. Tutto può essere, per l’amor di Dio. Ma tali iniziative solleverebbero un gigantesco polverone, finanche sul piano politico. Ad esempio, perché la Fed dovrebbe tenere a galla gli speculatori, mentre le famiglie affogano nei debiti e finiscono in mezzo a una strada sotto l’ondata dei pignoramenti?

Voglio chiudere quest’articolo con un’ultima osservazione. Dal giugno 2004 all’agosto 2006, la Fed alzò il saggio base dall’1% al 5,25% in 17 mini-strette consecutive. Ma durante quell’arco di tempo non ci fu alcun innalzamento reale degli standard creditizi poiché la mossa dell’istituto centrale fu vanificata dalle banche, le quali allargarono i cordoni della borsa in modo sfacciato, ansiose di concedere mutui facili e prestiti al consumo. Adesso le medesime banche tornano sui loro passi e stringono i cordoni della borsa. Perciò ogni tentativo della Federal Reserve volto a immettere liquidità nel sistema rischia di essere frustrato dalla postura più rigorosa che hanno assunto le banche. Insomma il 2007 non è proprio come il 1998.

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