Il 4 Aprile il Presidente del MIT, Charles Vest, ha annunciato che tutti i corsi del celebre Massachusetts Institute of Technology saranno accessibili gratis a chiunque sulla rete. Il nome della rivoluzionaria iniziativa: OpenCourseWare (OCW).
La notizia e’ di quelle che si notano subito, e fanno pensare. Una volta ultimata, OCW mettera’ quanto di meglio e di piu’ aggiornato esista nei campi piu’ disparati, dalla scienza dei computers alla bioingegneria, dall’architettura alla scienza dei materiali, a disposizione di chiunque in qualsiasi parte del mondo: bastera’ un computer e l’accesso ad internet.
Il beneficio per l’umanita’ e’ potenzialmente immenso: che si tratti di un insegnante delle medie che vuole perfezionare il suo corso di matematica, di un professionista che vuole aggiornarsi o addirittura di un governo di nazione in via di sviluppo che voglia costruire da zero una facolta’ di ingegneria, tutti avranno accesso ai corsi e ai materiali didattici di una universita’ che molti ritengono la migliore del mondo nei campi della scienza e della tecnica, senza pagare una lira.
Sembra un paradosso, va contro la logica del mercato, come sottolinea il Dott. Vest nel comunicato stampa, specialmente se si considera che una laurea del MIT normalmente costa molto cara: pressapoco come acquistare una Mercedes classe E all’anno per quattro anni, per usare il metro della societa’ dei consumi.
E allora uno si chiede: bello, ma dove sara’ il trucco?
Eppure trucchi non ce ne sono, e l’idea non e’ poi cosi’ pazza come puo’ sembrare. Ve lo posso assicurare perche’ ho avuto l’onore, la scorsa estate, di far parte del gruppo che ha sviluppato e lanciato questa iniziativa.
Tutto e’ cominciato con un semplice mandato: esplorare l’impatto della tecnologia sull’insegnamento, e delineare una strategia per l’Istituto. Piu’ o meno allo stesso tempo, molte altre universita’ americane si ponevano le stesse domande, e abbozzavano varie soluzioni generalmente fondate sul presupposto che ci sia un mercato disposto a pagare per avere accesso al sapere attraverso la rete.
Che soltanto il MIT abbia concepito di regalare cio’ che gli altri tenderebbero a vendere e’ dovuto, a mio parere, al gusto dell’avventura, al piacere di misurarsi con imprese grandiose che pervade la cultura di questa universita’.
In effetti, piu’ forse di chiunque altro, il popolo del MIT rifiuta di farsi intimidire dalla complessita’ di un incarico.
Intendiamoci, non si tratta di presunzione: al contrario, la gente qui affronta ogni problema con metodo e serieta’, direi quasi con umilta’.
Eppure, sia i docenti che gli studenti sembrano quasi fisiologicamente incapaci di farsi sfiorare dal dubbio dell’insuccesso. Questa mentalita’ va molto indietro negli anni.
Valga per tutti un esempio: quando il presidente Kennedy lancio’ la missione per mandare un americano sulla luna, gli scienziati della NASA, sapendo che l’ostacolo piu’ grave era la necessita’ di un sistema di navigazione abbastanza preciso da consentire di raggiungere la meta, decisero di consultare un famoso esperto del settore, il leggendario “Doc” Draper, direttore dell’ Instrumentation Lab del MIT.
Draper confermo’ subito che un sistema di navigazione tanto preciso ancora non esisteva.
Alla domanda se si sentisse in grado di inventarne uno, rispose immediatamente di si’, senza alcuna esitazione. “Ma sara’ pronto in tempo ? – gli chiesero; e Draper, uomo di pochissime parole, rispose – No, non sara’ pronto in tempo, sara’ pronto prima”.
E infatti procedette ad inventare un rivoluzionario sistema di navigazione inerziale computerizzato. Il meccanismo fu, come promesso, pronto assai prima della scadenza imposta dalla NASA, e funziono’ perfettamente in tutte le missioni Apollo.
L’iniziativa dei corsi gratis sulla rete coincide dunque con la mentalita’ dell’Istituto. Un po’ come i meccanismi di Draper promette molto e rischia molto.
C’e’ prima di tutto il rischio finanziario.
Il MIT sara’ anche un covo di idealisti, ma resta un’istituzione senza scopo di lucro e senza sussidi statali. Ogni iniziativa deve pertanto essere alla portata delle risorse finanziarie dell’universita’ e i fondi da destinare allo scopo devono essere chiaramente individuati prima della partenza.
OpenCourseWare costera’ circa dieci milioni di dollari l’anno, almeno nella fase iniziale: non e’ una somma enorme, ma e’ fuori dalla nostra portata e richiedera’ l’apporto di uno o piu’ sponsor disposti a sovvenzionare l’iniziativa.
Cio’ coincide con il nostro modello economico: ci riteniamo un’azienda con due gamme diverse ma complementari: il prodotto istruzione, che vendiamo agli studenti e alle loro famiglie, e il prodotto ricerca scientifica, che vendiamo ad enti pubblici od aziende private.
In secondo luogo c’e’ il rischio del prodotto.
Il MIT gode di un’eccellente reputazione nel campo scientifico. Una volta esposti al giudizio del pubblico mondiale, e’ possibile che ogni singolo corso (l’universita’ ne offre migliaia, nelle materie piu’ disparate) sia all’altezza della nostra reputazione, e non deluda le aspettative ?
E che dire dei continui aggiornamenti necessari in un epoca in cui anche i migliori libri di testo sono obsoleti nell’arco di pochi mesi ? Sono tutte domande che la task force si e’ posta ripetutamente. Eppure, senza sottovalutarne la difficolta’, e’ prevalsa la convinzione che, con molto diligente lavoro, l’alto livello qualitativo che il mondo si aspetta da noi possa essere raggiunto, e in certi casi persino superato.
Infine c’e’ il rischio piu’ grave: che la gente finisca per accedere ai corsi gratis sulla rete anziche’ iscriversi e frequentare l’istituto.
A prima vista, sembrerebbe probabile, eppure nessuno qui se ne preoccupa. OpenCourseWare rapresenta soltanto l’infrastruttura: utilissima alle masse che non potranno mai frequentare l’Istituto, ma ben diversa da una vera laurea al MIT, con quella esperienza unica, fatta di interazione a livello umano fra studenti e professori e fra studenti e studenti sul nostro campus.
OpenCourseWare ha un altro senso: fornira’ materiale didattico di altissima qualita’, utile sia per chi studia qui, sia per chi non puo’.
Come sottolinea il Professor Dick Yue, principale architetto di questa iniziativa: “MIT fallirebbe nella sua missione se si limitasse a raggiungere soltanto gli studenti entro le sue mura, e non quelli del resto del mondo”.
Il MIT e’ una comunita’ di oltre diecimila persone, quasi una citta’. Sono persone diversissime tra loro per tradizioni etniche e culturali, opinioni politiche e valori morali. La maggior parte, pero’ ha una cosa in comune: la convinzione di far parte di un’organizzazione che fa bene all’umanita’.
Le migliaia di messaggi di congratulazione pervenuti all’Istituto da ogni parte del mondo dopo il comunicato stampa sembrano confermare, almeno in questo caso, il senso di missione dell’Istituto.
*Stefano Falconi e’ il direttore finanziario del MIT.